Diritto
4. Entrambi i ricorsi sono fondati nelle parti in cui lamentano, all'interno dei vari motivi di doglianza (segnatamente, il primo, secondo, terzo e quarto del ricorso di G. ed il secondo e terzo motivo del ricorso di M.), una mancanza di motivazione in ordine al profilo della colpa addebitata agli imputati in relazione ai rilievi evidenziati dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio.
Va anzitutto posto in rilievo come la Corte territoriale, sia pure ai fini di delineare, in relazione alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio e alla determinazione delle percentuali di responsabilità gravanti su ciascuno degli appellanti, il comportamento imprudente ed imperito tenuto dal lavoratore R. D., abbia ricostruito, nella sentenza impugnata, la dinamica dell'accaduto in termini chiari ed inequivoci: il lavoratore, hanno infatti precisato i giudici del rinvio a pag. 15 della sentenza impugnata, ebbe "senza caschetto protettivo e privo di imbracatura peraltro non predisposta, facendo forse affidamento sulle proprie capacità di equilibrio e comunque nel rispetto della direttiva ricevuta, agendo senza il dovuto controllo da parte del G. e del M. oltre che del C." ad avventurarsi "sul cordolo alla sommità del muro in costruzione allo scopo di passare ai compagni di lavoro alcune tavole di lavoro per montare un ponteggio", così contribuendo al verificarsi dell'evento.
Ne consegue come, a fronte, del resto, dell'imputazione incentrata espressamente sulla mancata adozione delle "necessarie cautele", in tanto può essere addebitata agli imputati una condotta omissiva colposa in quanto siano individuate a loro carico condotte omissive (rispetto a doveri sugli stessi incombenti per legge) che si pongano in relazione di causalità con tale evento secondo il necessario parametro del giudizio cosiddetto "controfattuale" nel senso della necessità di verificare se lo stesso, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), si sarebbe ugualmente verificato.
Ciò posto, la Corte territoriale avrebbe dunque dovuto, per necessaria coerenza con quanto da essa stessa ricostruito in ordine alla dinamica dell'infortunio, individuare, all'interno di un percorso motivazionale che tenesse conto, altresì, delle indicazioni evidenziate dalla Quarta Sezione di questa Corte nella sentenza di annullamento, specifiche condotte che, ove tenute, avrebbero (come già affermato con riferimento all'imputato G.) evitato che il lavoratore si "avventurasse", appunto, sulla sommità del muro noncurante delle misure protettive (segnatamente caschetto ed imbracatura) e, in tal modo, cadesse a terra dall'alto.
Sennonché, mentre con riguardo al già condannato C., la condotta omissiva è stata propriamente individuata, come già posto in rilievo da questa Corte, nel non avere lo stesso, presente al momento del fatto in cantiere, impedito al lavoratore di salire appunto, in assenza di ogni possibile cautela, sulla sommità del tetto, ove era in costruzione un ponteggio, per passare agli altri operai il materiale da utilizzare per detta costruzione, con riguardo agli odierni ricorrenti la motivazione della sentenza impugnata si è soffermata, senza adeguatamente considerare i rilievi svolti nella sentenza di annullamento con rinvio, su condotte che, per come valutate in sentenza, appaiono di per sé non conferenti rispetto al già considerato necessario piano di causalità colposa.
E ciò anzitutto con riguardo all'addebito, sul quale la sentenza impugnata si sofferma con particolare attenzione, rappresentato dall'impartito ordine di realizzazione dell'impalcatura.
Secondo la sentenza impugnata, infatti (si vedano in particolare le pagg. 11 e 12), l'ordine di realizzare detta impalcatura venne dato, come confermato dal teste M., collega di lavoro di M., da quest'ultimo a G. affinché egli poi lo riferisse in particolare al capo operaio C. che era autorizzato, in assenza dell'agente tecnico, ad impartire le disposizione agli altri operai. E tuttavia, pur apparendo non sindacabile la valutazione delle prove che hanno logicamente condotto la Corte ad una tale conclusione (censurata da G. con sulla base di considerazioni tutte inammissibili giacché volte ad introdurre considerazioni fattuali e di natura alternativa esulanti dai limiti di cognizione di questa Corte), la sentenza non spiega, fondamentalmente ricadendo nell'impostazione già censurata nella sentenza della Quarta Sezione, perché un tale ordine (peraltro espressivo di una condotta commissiva e non omissiva), di per sé solo concretante né più né meno che una lecita disposizione di lavoro, dovrebbe integrare in sé solo considerato un profilo di colpa da porsi in relazione causale con un evento (la caduta dal tetto del casotto) da tale ordine dipendente solo per un fatto di consequenzialità occasionale.
Avrebbe invece la Corte dovuto spiegare le ragioni per le quali in realtà, evidentemente, non tanto l'ordine in sé di realizzare l'impalcatura quanto quello di procedere ai lavori ad essa finalizzati in consapevole assenza delle necessarie regole di cautela (quale condotta del resto addebitata anche al già condannato C.) fosse ricollegabile e in che modo alla posizione dei due imputati.
E ciò senza trascurare, da un lato, le rispettive qualifiche dagli imputati stessi rivestite, peraltro all'Interno di una organizzazione che la sentenza stessa (vedi pag.10 - 11 della sentenza) ha definito come "piramidale" (da ciò derivando la necessità di tenere conto, nel contesto evidentemente gerarchico che contrassegna l'Ispettorato Forestale, della latitudine di spazi decisionali consentita ai vari soggetti in esso operanti), ed i conseguenti compiti da esse derivanti in concreto e, dall'altro, l'elemento della assenza dal cantiere, il giorno del fatto, dell'agente tecnico G..
Sotto il primo aspetto, in particolare, deve ribadirsi, quanto al direttore dei lavori M., che, come già ricordato dalla Sezione Quarta di questa Corte, la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro ben potendo l’incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto (Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003, Viscovo, Rv. 227070;Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti, Rv. 215165; Sez.3, n. 11593 del 01/10/1993, Telesca, Rv.196929). Si è infatti chiarito, sia pure con riferimento agli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547 del 1955 (essendo sotto tale profilo analogo il disposto degli attuali art. 17, 18 e 19 del d. lgs. n. 81 del 2008), che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori per conto del committente è tenuto alla vigilanza dell'esecuzione fedele del capitolato di appalto nell'interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche ove non sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l’individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo in equivoco l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere o l'esercizio di tali funzioni.
Sotto il secondo aspetto, poi, sempre questa Corte, con la sentenza di annullamento con rinvio, ha posto in rilievo la necessità di stabilire se la temporanea assenza comunque giustificata di G. potesse dare luogo a valido esonero dalle obbligazioni di garanzia che sullo stesso gravavano.
Entrambi tali aspetti, già evidenziati con la sentenza di annullamento di questa Corte, sono stati formalmente presi in esame dal giudice di rinvio; quanto al primo, avendo i giudici di appello definito, sulla base delle dichiarazioni del teste M., M. "principale gestore del cantiere" e non semplice incaricato della sorveglianza tecnica, e, quanto al secondo, avendo ritenuto che a nulla potesse valere,a fronte dell'omissione di cautele doverose, il fatto del contestuale impegno lavorativo presso altri cantieri, tanto più essendo emerse palesi carenze nella individuazione dei collaboratori.
Entrambe le risposte, tuttavia, si fondano sulla premessa, come già visto in principio, non corretta, che a fondare la colpa contestata sia stata di per sé sufficiente la sola prescrizione, rivolta, lungo la "catena" gerarchica, al lavoratore di procedere alla realizzazione dell'impalcatura mentre l'analisi dell'incidenza "esimente" dei due profili indicati nella sentenza di annullamento avrebbe dovuto essere, più correttamente, secondo i principi sopra esposti, parametrata sul nesso di causalità con l'evento verificatosi rispetto al quale tale realizzazione si poneva unicamente come antecedente storico.
Sicché, in definitiva, la sentenza impugnata ha finito per riproporre le cadenze di un ragionamento già ritenute non correttamente motivate, imponendosene, quindi, l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sopra evidenziati.