Considerato in diritto
1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delie doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, secondo cui il datore di lavoro non aveva alcun obbligo di predisposizione dei parapetti in quanto il sito ove è avvenuto l'infortunio non era una postazione di lavoro, bensì un piano di caricamento asservito alla movimentazione delle merci.
L'odierno ricorrente, in sede di gravame del merito, aveva posto l'accento sul fatto che il teste M. avesse puntualizzato come le merci venivano caricate sul piano direttamente dai camion e quindi smistate verso l’interno; infatti al di là del piano vi erano gli uffici. E aveva sostenuto che una conferma di ciò si ricava anche dalla circostanza che la ASL, dopo l’infortunio, ha acconsentito all’adozione delle catenelle amovibili che non rappresentano un presidio contro il rischio di caduta servendo solo a delimitare l’area. Dunque, trattandosi di piano di caricamento, secondo la tesi difensiva non erano apponibili parapetti che ne avrebbero inibita l’utilizzo. Infatti, il punto 1.7.3 dell’allegato IV del D.Lvo 81/2008 esclude l’obbligo di parapetti o altre protezioni per i piani di caricamento inferiori ai 2 mt. di altezza. Il piano ove è avvenuto l'infortunio del F.M. - era stato dedotto- è operativo da oltre 20 anni e nessun rilievo il personale della USL ha mai sollevato durante le varie ispezioni e controlli che si sono succeduti.
3. La Corte territoriale, tuttavia, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, aveva già confutato tali tesi.
La vicenda che ci occupa- ricorda la sentenza impugnata- si verificava il 5 luglio 2013 all'interno dello Stabilimento B. di Pistoia, oggi Hitachi Rail Italy, dove la società Palumbo svolgeva attività di logistica nei magazzini di proprietà della committente.
L'infortunio del F.M. ebbe a realizzarsi in un magazzino di proprietà della committente dove, per favorire lo scarico delle merci era presente un piano di caricamento sopraelevato di circa 110 cm rispetto al piano di lavoro, piano rialzato denominato anche "ribalta" in virtù della sua funzione di asservimento alla movimentazione delle merci. Sul tale piano rialzato il personale effettuava operazioni di caricamento e la differenza in altezza era necessaria per agevolare le operazioni di carico da e per i camion che venivano a caricare/scaricare il materiale.
Il F.M. si trovava all'interno del piano di caricamento (ossia la ribalta) quando inciampava e nel tentativo di riprendersi cadeva rovinosamente dal dislivello riportando lesioni, consistite in fratture costali multiple, frattura della colonna anteriore dell'acetabolo dx, frattura del polso destro, che avevano determinato uno stato di malattia per 119 giorni.
Il profilo di colpa contestato al N.D. è quello di non avere provveduto, in violazione degli artt. 63 e 64 D.lvo 81/2008, a dotare di parapetti o altre difese il posto di lavoro sopraelevato rappresentato dal suddetto piano rialzato nel quale venivano solitamente compiute operazioni di carico e scarico di materiale.
Ebbene, come ricordano i giudici del gravame del merito, nel corso del dibattimento la dinamica del sinistro è stata ricostruita sulla base delle dichiarazioni di testi ed in particolare della persona offesa. Il F.M. si trovava in ginocchio sul piano rialzato per mettere una "reggetta" ossia del nastro per legare un carico appoggiato su detto piano, nel mentre stava per alzarsi in piedi ha inciampato nel coperchio di una cassa appoggiato lì vicino cadendo al piano sottostante e procurandosi così le lesioni descritte.
La sentenza impugnata dà atto che sono stati sentiti anche i tecnici del servizio di prevenzione della ASL i quali hanno riferito di avere effettuato un sopralluogo solo nel gennaio dell'anno successivo constatando che il piano rialzato era privo di protezioni atte ad impedire la caduta in basso, di avere quindi impartito la prescri-zione di installare un parapetto ovvero eliminare il piano rialzato. E che altri testi hanno descritto come si svolgeva l'attività lavorativa: le merci venivano caricate sul piano rialzato con mezzi meccanici e poi processate per le varie destinazioni.
A seguito dell'infortunio - si legge ancora nella sentenza impugnata- la ditta appose, in adempimento delle prescrizioni, temporaneamente, un parapetto consistente in una catenella all'interno del perimetro a circa un metro e mezzo dal bordo, successivamente la B. eliminò il piano rialzato.
Ebbene, già il giudice di primo grado ritenuto la colpevolezza dell'imputato osservando come fosse del tutto evidente che se vi fossero state delle adeguate protezioni ovvero fossero state date ai lavoratori adeguate indicazioni circa la distanza da tenere dal bordo l'evento non si sarebbe verificato.
Come ricordano i giudici del gravame del merito, già dalla descrizione della dinamica del sinistro offerta dalla parte offesa, non contestata dalla difesa, si evince che il F.M., allorché inciampò nel coperchio di una cassa e cadde al di sotto del piano su cui stava operando, era intento a compiere operazione di imballaggio di merce, ergo stava compiendo una operazione lavorativa diversa da quella del semplice carico o scarico ma semmai preliminare ad essi.
La sentenza impugnata dà anche atto: 1. che il teste C. della ASL ha dichiarato di avere osservato il piano in questione nel corso del suo sopraluogo rilevando che esso era utilizzato sia per il deposito che per compiere altre operazioni in quanto su di esso erano presenti dei macchinari; 2. che il teste Ba. ha riferito che il piano in questione, oltre ad essere utilizzato normalmente come passaggio per accedere agli uffici posti al suo margine interno era normalmente utilizzato per eseguire l'imballaggio delle merci.
Logica appare essere stata la conclusione, in virtù delle sopra richiamate univoche risultanze che il piano rialzato in esame fosse anche un luogo di lavoro e come tale non era dotato di provvidenze atte a contrastare il pericolo di caduta, e che la difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi appropriati.
Né il richiamo ai più generici doveri in capo al datore di lavoro di cui all'art. 18 d.lgs. 81/08 porta -come lamenta il ricorrente- ad una modifica sostanziale dell'editto accusatorio.
4. Non va trascurato, in proposito, infatti, che questa Corte di legittimità ha in più occasioni sottolineato come in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161 in un caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.