Considerato in diritto
1. Il ricorso non presenta profili di manifesta infondatezza ed impone, pertanto, di rilevare, agli effetti penali, l'intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione del reato maturato in data 13 gennaio 2018 e, dunque, in data successiva alla pronuncia di appello.
La delibazione dei motivi fa escludere l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza del B.F..
Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosicché la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Rv. 24427501).
Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato impone l’applicazione della causa estintiva.
2. Si soggiunge che, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'art.578 cod. proc. pen., è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, confermata dal giudice di appello.
2.1. Con riguardo, in particolare, all'impugnazione proposta anche in relazione alle statuizioni civili, secondo quanto già affermato da questa Sezione (Sez.4, n. 10802 del 21/01/2009, Rv.24397601), trova applicazione il principio cosiddetto di immanenza della costituzione di parte civile.
In ragione di tale principio, normativamente previsto dall'art.76, comma 2, cod. proc. pen., secondo il quale «la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo», il giudice di legittimità è tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti per l'affermazione della responsabilità penale ai soli fini della pronuncia sull'azione civile, allorché abbia rilevato una causa estintiva del reato. Tale principio comporta, infatti, che la parte civile, una volta costituita, debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, debba essere citata anche nei successivi gradi di giudizio anche se non impugnante e senza che sia necessario per ogni grado di giudizio un nuovo atto di costituzione.
2.2. Corollario di questo principio generale è che l'immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita - previsti dall'art.82, comma 2, cod. proc. pen., nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell'azione davanti al giudice civile - non possono essere estesi al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla norma indicata (Sez. 5, n.39471 del 04/06/2013, Rv. 25719901;Sez. 6, n.48397 del 11/12/2008, Rv. 24213201).
3. Ciò posto, si osserva che il ricorso va rigettato agli effetti civili.
4. Si premette, a tal proposito, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, le posizioni di garanzia del coordinatore per la sicurezza nella fase progettuale e del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva sono autonome rispetto a quelle del committente e del datore di lavoro, affiancandosi ad esse per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Rv. 256636; Sez. 4, n. 7443 del 17/01/2013, Rv. 255102).
Tanto premesso, la figura del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP), è prevista specificamente dall'art. 91, d.lgs. n. 81/2008, il quale gli attribuisce essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori (Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, , Rv. 240393).
La posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione dei lavori (CSE), è disciplinata dell'art. 92, d.lgs. n. 81/2008, con il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (Sez. 4, n. 31296 del 18/04/2013, Rv. 256427; Sez. 4, n. 18651 del 20/03/2013, Rv. 255106).
La Suprema Corte ha affermato che egli svolge una funzione di c.d. "alta vigilanza", ossia una funzione di autonoma vigilanza che ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto (Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Rv. 265661).
Tale funzione ha, dunque, ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Rv. 269046).
In definitiva il coordinatore della sicurezza ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di alta vigilanza, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Rv. 269046; Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013, Rv. 257167).
4.1.Tutto ciò considerato, i giudici di merito hanno correttamente ricostruito la posizione di garanzia gravante sul B.F. cui è stata in particolare rimproverata la violazione degli specifici doveri imposti dall'art. 92, d.lgs. n. 81/2008 di alta vigilanza e di raccordo fra i piani per la sicurezza (P.S.C. e P.O.S.) che costituiscono l'essenza della posizione di garanzia del Coordinatore per la Sicurezza nella fase progettuale.
In particolare è stato accertato che mentre nel P.S.C. lo specifico rischio di seppellimento da demolizione era previsto ed adeguatamente fronteggiato, non altrettanto poteva dirsi con riferimento al P.O.S., nel quale l'indicazione di tale rischio mancava.
La Corte distrettuale ha correttamente rigettato la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato sufficiente il rinvio contenuto nel P.O.S. al P.S.C., trattandosi di due documenti distinti, e rilevando, sul piano dell'esecuzione dei lavori, il primo di essi.
Ed ancora risultano congrue le argomentazioni dei giudici di secondo grado che sottolineano che la esecuzione delle opere di demolizione e di sbancamento era prevista nell'arco di poche settimane e, pertanto, doveva essere predisposto ab initio un adeguato puntellamento delle pareti anche verso l'interno del manufatto.
Tali considerazioni rivelano l'infondatezza delle censure articolate dal ricorrente in relazione alla circostanza dell'accelerazione dei lavori da parte della impresa edile, giustamente ritenuta dalla Corte distrettuale di per sè ininfluente ai fini della invocata esclusione di responsabilità del B.F..
5. Alla stregua delle sopraesposte considerazioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
Il ricorso va rigettato agli effetti civili.