Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei limiti che vengono qui di seguito esposti.
2. Il terzo motivo è infondato in quanto propone una ricostruzione alternativa dell'evento, sollecitandone una rivisitazione non consentita in questa sede, peraltro esclusa da entrambe le sentenze di merito le cui argomentazioni, trattandosi di c.d. doppia conforme, confluiscono in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre fare riferimento per valutare della congruità della motivazione.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 12110 del 19/03/2009; Sez. 3, n. 23528 del 6/6/2006, Rv. 234155). Ed ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, Rv. 255542).
In altri termini, non vi è la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali, e ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46, in virtù del quale il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Del resto costituisce ius receptum il principio secondo cui la valutazione della prova testimoniale è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'Insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575); circostanza questa non ricorrente nel caso in esame.
2.1. Alla stregua di quanto sin qui esposto si osserva che risulta insindacabile la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito che, coerentemente alle emergenze istruttorie, hanno ritenuto comprovato il fatto che R.S. prestava quotidianamente la sua attività alle dipendenze della ditta individuale di A.V., pur non essendo regolarmente inquadrato, e che l'incidente è avvenuto proprio nell'ambito del predetto contesto lavorativo.
2.2. Quanto ai rilievi difensivi in ordine all'asserita condotta abnorme ed imprevedibile che avrebbe tenuto il R.S., ribaditi anche nella memoria del 29 maggio 2018, è sufficiente osservare quanto segue.
Tale motivo non considera che il comportamento del lavoratore è imprevedibile quando non è preventivamente immaginabile e non già quando l'irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare l'esatto contrario di quel che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni ( Sez. 4, n. 37001 del 07/07/2003, Rv. 225957).
La Suprema Corte (cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017- Rv. 269603) ha precisato che, se è vero che sul lavoratore incombe l'obbligo di osservare le prescrizioni cautelari che a lui si indirizzano, il piano della rimproverabilità del lavoratore per la violazione commessa e quello della causalità tra la condotta trasgressiva del datore di lavoro e le lesioni subite da quel lavoratore non coincidono, come dimostra il semplice rilievo che la violazione prevenzionistica del lavoratore, osservata sotto la diversa prospettiva, può risultare un esito proprio di quella imprudenza o imperizia che il sistema di tutela prevenzionistica incorpora come un ordinario fattore di rischio da considerare, valutare e neutralizzare od attenuare.
Va inoltre osservato che un consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, suggerisce di abbandonare il criterio dell'imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, perché ciò che davvero rileva è che tale condotta attivi un rischio eccentrico o, comunque, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (cfr. per tutte, Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261106). E' stato ulteriormente sottolineato che quando l'evento sia riconducibile alla violazione di molteplici disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della
sfera di rischio sino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro ( Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018 -, Rv. 273247).
2.3. Ciò posto, si osserva che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali coordinate ermeneutiche in quanto hanno diffusamente evidenziato che A.V. non ha valutato il rischio di schiacciamento a seguito del ribaltamento di tavole di marmo e, di conseguenza, non ha previsto le correlate misure antinfortunistiche né ha provveduto a fornire ai lavoratori appositi strumenti di lavoro. Ed ancora, il R.S., al pari degli altri lavoratori, non era stato informato sia sui rischi che sulle procedure adeguate per svolgere in sicurezza le relative operazioni di movimentazione.
Pertanto, del tutto correttamente, la Corte distrettuale ha rigettato gli assunti difensivi posto che, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato, oltre che dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, anche dalla mancata formazione del dipendente, nessuna efficacia causale va attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancata comunicazione da parte del datore di lavoro di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento.
3. Il secondo motivo è infondato atteso che la Corte distrettuale ha valorizzato, ai fini del diniego delle attenuanti generiche, il comportamento processuale tenuto dal A.V. sottolineando, in coerenza con le emergenze processuali, che il predetto non ha offerto alcuna collaborazione all'accertamento dei fatti «essendosi sottoposto all'esame solo all'ultima udienza e negando addirittura che la vittima fosse un suo lavoratore».
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell'alveo del costante dictum della giurisprudenza di legittimità in subiecta materia che ha più volte chiarito che, ai fini dell'assolvimento del relativo obbligo di motivazione, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Rv. 256172).
4. Il primo motivo merita, invece, accoglimento posto che, a fronte della specifica richiesta contenuta nell'atto di appello di concessione dei doppi benefici, la Corte distrettuale, pur obbligata ad esaminare la questione sottoposta al suo esame, ha omesso di pronunciarsi al riguardo (Sez. 2, n. 15930 del 18/04/2016, Rv. 266563; Sez. 1, n. 34661 del 30/06/2015, Rv. 264759; Sez. 3, n. 23228 del 12/04/2012, Rv. 253057)
5. Ne consegue che va disposto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli affinchè valuti, con giudizio che implica ulteriori accertamenti in fatto, e dunque non surrogabile in questa sede, se sussistono le condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Si dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli per nuovo esame sul punto. Il ricorso va rigettato nel resto.