Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il giudizio sulla colpevolezza dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive.
Il Tribunale infatti, ha innanzitutto ricostruito la vicenda oggetto di giudizio in maniera puntuale, richiamando i documenti acquisiti (tra cui la fattura n. 5 del 21 novembre 2011 avente come causale l'acconto per i lavori di rimozione e bonifica di copertura in eternit) e la deposizione del teste F.C., funzionario dell'Asl 10 di Firenze, da cui era emerso che la ditta Leo Ambiente, di cui A.P. era titolare, aveva eseguito presso il condominio di via dell'Omissis, ai numeri civici 135-9 e 10, come rivelato anche dalla fattura dì acconto acquisita al fascicolo processuale, lavori di demolizione e rimozione dell'amianto, pur senza essere iscritta nell'albo degli smaltitori, non essendo peraltro tale impresa iscritta nemmeno alla Camera di commercio.
Nel corso delle indagini, invero, A.P. produceva soltanto documentazione attestante l'iscrizione all'albo di altra ditta, la Ecocoperture edili di C.A., di cui assumeva di essere socio; ditta che, secondo quanto accertato dal funzionario dell'Asl di Firenze, aveva presentato un'istanza di rinnovo dell'autorizzazione allo smaltimento, che però non era stata ancora rilasciata.
Alla stregua di tale ricostruzione fattuale, invero non contestata, correttamente è stata ritenuta la configurabilità della fattispecie oggetto di imputazione, risultando generiche e meramente assertive le doglianze difensive sul punto.
Non risulta infatti chiaro in cosa siano consistiti i "lavori preparatori" che la ditta dell'imputato si sarebbe limitata a eseguire, dovendosi precisare, per il resto,che a essere contestata non è la correttezza o meno dei lavori, ma la diversa circostanza che le operazioni di smaltimento dell'amianto sono state eseguite da ditta non autorizzata, risultando del tutto ininfluente, nella prospettiva dell'elemento soggettivo, qualificabile anche in termini di colpa, il fatto che il ricorrente sia stato socio di altra ditta, estranea ai fatti, che operava nel settore dello smaltimento, senza peraltro aver conseguito il rinnovo dell'autorizzazione.
Il giudizio sulla sussistenza del reato dal punto di vista oggettivo e soggettivo, in quanto saldamente ancorato alle risultanze istruttorie e sorretto da considerazioni coerenti e logiche, risulta dunque senz'altro immune da censure.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ed invero il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. è stato giustificato dal Tribunale sia in ragione degli interessi tutelati dalle norme violate, che attengono alla sicurezza del lavoro, sia alla luce del comportamento tenuto dal ricorrente, sottrattosi ripetutamente, sin dall'avvio del procedimento in sede amministrativa, alle conseguenze della sua condotta, pretendendo di dimostrarne la legittimità mediante l'iscrizione di altra società. Orbene, a fronte di un apparato argomentativo razionale, le censure difensive sono destinate a rimanere sullo sfondo, prospettando alternativi criteri di valutazione del fatto che tuttavia non smentiscono le considerazioni del Tribunale, di per sé idonee a giustificare, soprattutto attraverso il riferimento al comportamento tenuto dall'imputato, la non operatività dell'istituto invocato.
3. Venendo infine al terzo motivo di ricorso, deve parimenti escludersi che, anche rispetto al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede, dovendosi innanzitutto rilevare che, venendo in rilievo un reato punito con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il Tribunale ha optato per quest'ultima, applicando peraltro la pena pecuniaria in misura molto più vicina al minimo che al massimo edittale.
Il diniego delle attenuanti generiche e dei benefici di legge è stato poi motivato, oltre che con l'assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, anche con il richiamo alla personalità dell'imputato, il quale annovera a suo carico altre due condanne, una delle quali per fatti analoghi a quelli di causa, avendo peraltro già fruito in passato della sospensione condizionale della pena.
Le argomentazioni del Tribunale, in quanto prive di elementi di illogicità, resistono dunque alle censure difensive, prospettate peraltro in termini generici.
4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.