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Cassazione Civile Sez. Lavoro n. 26577 del 09 novembre 2017

ID 4996 | | Visite: 4109 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/4996

Infortunio sul lavoro e risarcimento danni

Respinto il ricorso del datore di lavoro

Civile Sent. Sez. L Num. 26577 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: LEO GIUSEPPINA
Data pubblicazione: 09/11/2017

Fatto
La Corte di Appello di Ancona, con sentenza depositata il 13 settembre 2011. in accoglimento del gravame interposto da N.C. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Pesaro il 14 gennaio 2010. accertava il diritto della N.C. al risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio sul lavoro del 24 ottobre 2003 e condannava il datore di lavoro B.P., titolare dell'omonima ditta individuale, al pagamento, in favore della lavoratrice, della somma complessiva di Euro 75.841.62 comprensiva della rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat e degli interessi legali sulle somme via via rivalutate sino alla data della pronunzia di secondo grado.
Per la cassazione della sentenza il B.P. propone ricorso articolando sei motivi e depositando memoria.
La N.C. resiste con controricorso.

Diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5. del codice di rito, un "errore di giudizio per violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c.". nonché “errore in procedendo per viziata motivazione sul giudizio di fatto decisivo della controversia: vecchia o nuova macchina segaossa in uso nell'occorso infortunio". In particolare, assume che la Corte territoriale avrebbe attribuito alle dichiarazioni della teste P.S. la valenza di deposizione "disinteressata e circostanziata”, qualificandola "testimone de visu sulla base dell’affermazione che l’attiguo laboratorio era visibile -pacificamente- anche dal vano negozio ove trovavasi la teste e che la sua visione dell'infortunio sarebbe coerente con la particolareggiata descrizione delle modalità dell’infortunio capitato alla N.C."; lamenta, inoltre, il ricorrente, al riguardo, che l'impianto decisionale della Corte d'Appello non risponderebbe al criterio del prudente apprezzamento del giudice nella valutazione delle prove, con conseguente violazione dell'art. 116 c.p.c. e dei principi della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale.

2. Con il secondo motivo il B.P.. deducendo, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 445 c.p.p. e dell'orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di riflessi civilistici della sentenza di patteggiamento, lamenta che la Corte distrettuale abbia attribuito espressamente al patteggiamento effettuato dal ricorrente la valenza di "ammissione (in sede penale) di colpevolezza del B.P. il quale ha pacificamente richiesto l'applicazione della pena", senza tener conto del fatto che la sentenza di patteggiamento non ha efficacia nel giudizio civile o amministrativo e non deve essere considerata come elemento unico ed imprescindibile atto a determinare le sorti del processo civile.

3. Con il terzo motivo viene denunciato, in riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 445 c.p.p. e dell'orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di riflessi civilistici della sentenza di patteggiamento nonché dell'art. 116 c.p.c.; ed altresì "errore in procedendo per viziata motivazione sul giudizio di fatto decisivo della controversia. Al riguardo, in particolare, ci si duole dell'"evidente errore di giudizio“ in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale censurando l'operato del Giudice di primo grado, il quale, invece, giustamente, aveva valutato il compendio probatorio penale prima di riconoscere che lo stesso non conteneva alcun elemento idoneo a supportare la responsabilità penale del datore di lavoro.

4. Con il quarto motivo il B.P. deduce, in riferimento all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.. la violazione e falsa applicazione delle norme di legge relativamente all'onere della prova; nonché "errore in procedendo per omessa motivazione sostanziale e motivazione contraddittoria", avendo i Giudici di seconda istanza affermato che il lavoratore infortunato non deve dare dimostrazione "anche della c.d. nocività dell'ambiente di lavoro poiché la normativa di riferimento pone, in tale ipotesi, una chiara inversione legale dell'onere della prova".

5. Con il quinto mezzo di impugnazione il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5. c.p.c., "errore in procedendo per contraddittorietà e vizio logico di motivazione", poiché la Corte di merito avrebbe errato nella valutazione delle prove, dal momento che la C.t.u. ha escluso l'incapacità lavorativa specifica e risultando, peraltro che la N.C., per tutto il periodo di inabilità temporanea, ha regolarmente percepito il proprio stipendio con conseguente esclusione di ogni danno patrimoniale.

6. Con il sesto mezzo di impugnazione viene dedotto, sempre in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5. c.p.c.. "errore in procedendo per vizio logico di motivazione, contraddittoria, insufficiente ed omessa", non avendo la Corte territoriale motivato le ragioni della propria adesione alle conclusioni del C.t.u..

7. I primi quattro motivi, da trattare congiuntamente, stante l'evidente connessione, non possono essere accolti, in quanto presentano evidenti profili di inammissibilità e mancano della localizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure in essi formulate, dell’accertamento concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374 del 2015; Cass. n. 80 del 2011).[...]

8. Il quinto motivo presenta, nella prima parte, profili di inammissibilità, in quanto, ancora una volta, la formulazione non risulta rispettosa del canone della specificità del motivo, poiché viene confuso l'error in procedendo con il vizio di motivazione, rendendo, in tal modo, impossibile scindere le ragioni poste a sostegno delfinio o dell'altro vizio, in una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l'operazione di interpretazione delle censure (cfr., ex multis, Cass. nn. 7394/2010, 20355/2008. 9470/2008). La seconda parte del motivo è infondata, poiché, con motivazione coerente e priva di vizi logici, nonché basata sulle risultanze istruttorie, ha riconosciuto la risarcibilità del danno patrimoniale quantificandola in ragione del reddito annuale percepito dalla lavoratrice e rapportandolo al periodo di inabilità temporanea.

9. Il sesto motivo è inammissibile, poiché, oltre al mancato rispetto del canone della specificità dei motivi, non riporta la c.t.u. oggetto della censura. E, per costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr.. tra le molte. Cass. n. 1435/2013; Cass. n. 23675/2013; Cass. n. 10551/2016). Il motivo è quindi inammissibile anche per difetto di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda, in violazione dell'art. 366, n. 6, c.p.c... in quanto, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Corte, perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell'art. 112 c.p.c.. fattispecie riconducibile ad una ipotesi di errar in procedendo ex art. 360. n. 4, c.p.c.. per la quale la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto processuale, il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali è condizionato, a pena di inammissibilità. all’adempimento. da parte del ricorrente, dell’onere di indicare compiutamente, e non già per riassunto del loro contenuto, gli atti processuali dai quali emerga il vizio denunciato (Cass. n. 6361/2007; Cass. n. 21226/2010).

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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