Considerato in diritto
l. Il ricorso impone le considerazioni che seguono.
2. Manifestamente infondato il primo motivo, con il quale si lamenta una violazione del diritto di difesa del F.F.. Il difensore dell'imputato infatti - come è incontroverso - non aveva chiesto la fonoregistrazione e trascrizione della sua arringa finale ed il giudice ben poteva disporre un rinvio per eventuali repliche, come consentito dal codice di rito. Del tutto assertiva poi l'affermazione che il tempo trascorso aveva fatto perdere memoria di quanto sostenuto oralmente dal difensore e che il giudice di primo grado non aveva tenuto in nessun conto gli argomenti addotti dalla difesa del F.F.. La completezza della sentenza di primo grado dimostra invece che la posizione dell'imputato è stata ampiamente vagliata, mentre è fisiologico di ogni pronuncia di condanna la mancata condivisione degli argomenti sviluppati nell'arringa difensiva volti a dimostrare la non colpevolezza, senza che ciò implichi dimenticanza o mancata considerazione.
3. Anche gli altri motivi che riguardano la responsabilità degli imputati non meritano di essere accolti, essendo peraltro ripropositivi di doglianze che già la Corte territoriale ha esaminato in sede di gravame ed ha disatteso con motivazione ampia ed immune da censure.
In particolare - pacifica la materialità del fatto, cioè il passaggio del rifilo (barra di metallo) che attinse la vittima attraverso i listelli orizzontali e verticali della macchina - la Corte di Bologna ha ritenuto non fondata l'obiezione della difesa secondo la quale il Manuale avrebbe disposto la larghezza massima di 8 mm. solo tra i listelli orizzontali e non anche tra quelli verticali, come si evincerebbe dal disegno tecnico che affianca la prescrizione 7.1 da cui sarebbero visibili nello "spaccato" della macchina unicamente listelli orizzontali.
La teste S.D., tecnico della Ausl, ha infatti affermato in maniera assolutamente logica che laddove il Manuale menziona i "listelli del tavolo" si riferisce evidentemente a quelli che corredano ed integrano quest'ultimo sia in senso verticale che orizzontale, e che nella specie presentavano distanze superiori quasi del doppio rispetto a quella massima consentita di 8 mm., rispettivamente 15,35 mm e 16,53 mm, talmente larghe da aver consentito il passaggio agevole di un rifilo avente la larghezza massima di 13,6 mm. Il rifilo, attraverso tali larghe feritoie, potè così raggiungere la camera della lama e da qui il condotto di aspirazione, perforandolo ed essendone poi espulso all'esterno ad una velocità calcolata dalla teste S.D. di circa 260 km/h, così trafiggendo il capo dell'operaio che stava lavorando ad un'altra macchina posta a circa 7 metri di distanza.
Il parere del consulente del pubblico ministero, che la difesa cita in ricorso a favore del proprio assunto, perché su tale specifico punto aveva sostenuto che il Manuale riguardava solo la distanza orizzontale delle feritoie, è stato disatteso dai giudici di appello sulla scorta di un ragionamento privo di aporie logiche ed in ogni caso la questione posta dal difensore del F.F. è stata ritenuta scarsamente rilevante, dato che il rifilo passò attraverso entrambe le file di listelli, sia orizzontali che verticali.
Mette conto, infine, ribadire che per quel che riguarda le valutazioni delle consulenze da parte dei giudici di merito, costituisce giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivato, l'apprezzamento delle conclusioni del consulente, come avvenuto nel caso di specie, laddove la Corte ha enunciato gli argomenti determinanti il proprio convincimento (Sez.4, n.23146 del 17/04/2012).
Immune da censure appare dunque la conclusione cui sono pervenuti i giudici di appello circa l'inesistenza di una carenza strutturale della macchina da porsi in correlazione con l'evento a processo e l'inesistenza di una ambiguità del testo del Manuale d'uso e manutenzione: l'incidente mortale non si sarebbe verificato se le distanze tra le labbra/listelli fossero state a norma, perché avrebbero trattenuto il rifilo che invece le oltrepassò alla elevatissima velocità impressagli dalla lavorazione per infilarsi nel condotto deputato all'aspirazione di residui minimi e fuoriuscire dalla macchina provocando il decesso dell'E.M.A.M..
E' sempre la teste S.D. - come chiaramente riportato in sentenza - ad avere evidenziato che il controllo regolare delle distanze tra i listelli/labbra della macchina sarebbe stato necessario e doveva essere inserito in un programma di manutenzione, mai istituito; che nessuna check-list era stata consegnata dalla Almet srl, la quale non aveva nemmeno adempiuto a risolvere le carenze verificate nel precedente controllo ispettivo; che in seguito al sinistro si era accertato che la società aveva istituito delle schede mensili di controllo per la manutenzione, risultate tuttavia aggiornate fino a novembre 2008 e nelle quali erano stati annotati i cambi delle lame ma nulla si diceva circa la verifica della distanza tra le labbra/listelli, non menzionata neppure nella check list dei controlli in uso ai manutentori della Schelling.
Un grave comportamento omissivo dunque, nonostante gli "eventi-sentinella" di cui aveva parlato il P. (e di cui subito si dirà), che dovevano indurre alla valutazione del rischio specifico di fuoriuscita di rifili da lamelle orizzontali e verticali distanziate oltre il limite previsto dal manuale della macchina.
Sul punto, non appare pertinente il continuo richiamo della difesa al Manuale di istruzione della macchina ed ai punti concordati con la casa costruttrice per la manutenzione, atteso che ripetutamente i ricorrenti invocano la completezza del documento di valutazione dei rischi - la cui redazione asseriscono affidata a società specializzata - documento invece assolutamente carente per quanto riguarda il rischio connesso alla larghezza dei listelli superiore a quella consentita, e soprattutto completamente autonomo rispetto al contenuto del Manuale operativo.
4. Quanto alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento, la difesa sostiene il travisamento della deposizione del teste P., persona che, pur se priva di particolari qualifiche tecniche, provvedeva alla manutenzione delle macchine - riferendone ai responsabili, non avendo egli poteri di iniziativa autonoma e di spesa - in caso di interventi semplici, quale quello di sostituzione dei listelli orizzontali e verticali (così la deposizione del manutentore della ditta costruttrice C.G., di cui si legge a pag.10 della sentenza).
Nel ricorso il difensore degli imputati analizza le dichiarazioni dibattimentali del P., senza confrontarsi con quanto si afferma in sentenza circa l'acquisizione e la utilizzazione non già di tale deposizione, resa a distanza di circa dieci anni dai fatti da persona anziana ed in precarie condizioni di salute, ma delle sommarie informazioni testimoniali assunte dalla polizia giudiziaria subito dopo l'incidente.
In tali verbali - evidenzia la Corte di Bologna - il P. aveva riferito le seguenti circostanze di particolare rilievo probatorio: era già accaduto, non solo che i rifili di alluminio fossero entrati nel condotto di aspirazione, cosa anzi usuale, ma anche che fossero a volte fuoriusciti dal condotto medesimo, tanto che i fori in tal modo prodotti erano stati ricoperti dagli operai con del nastro isolante; del problema dell'ingresso dei rifili nel condotto di aspirazione ne aveva parlato "con responsabili dell'azienda", cercando anche di spiegare come procedere per evitare tale "brutto inconveniente"; nell'agosto 2008 (cioè otto mesi prima dell'evento a processo) sfruttando il periodo di fermo delle macchine per ferie, avendo notato l'anomala ed eccessiva distanza tra le labbra della Schelling 3000 (quella usata dalla vittima al momento dell'incidente) ne aveva informato il preposto N.M. ed era stato da lui autorizzato ad eliminare l'inconveniente, cosa che aveva fatto artigianalmente predisponendo i pezzi con cui sostituire quelli usurati; aveva poi avvisato il N.M. della medesima necessità in relazione alla Schelling 4000 (quella che determinò l'infortunio) senza ottenere l'autorizzazione ad operarvi.
La Corte di merito si è soffermata anche sulla credibilità del teste, rilevando che le dichiarazioni del P. avevano trovato riscontro tecnico nelle affermazioni del consulente del Pubblico Ministero, e da quanto riferito dai testi A., responsabile del c.d. Centro Metalli di Almet, e dal teste B. circa il fatto che non vi era in azienda nessuno che si occupasse della distanza tra le lamelle e che era normale che i rifili finissero nel condotto di aspirazione visto che non c'era alcuna procedura riguardante le loro dimensioni.
Ed allora, posto che nell'odierno ricorso la difesa continua a rimarcare la perfetta efficienza del sistema di scambio di informazioni all'interno dell'azienda, per le specifiche procedure adottate dal F.F. e dal L.M. (al quale sono state estese - come già detto - le considerazioni svolte nell'interesse del datore di lavoro) appare immune da censure la motivazione dell'impugnata sentenza nella parte in cui sottolinea le gravi omissioni degli imputati, i quali, benché consapevoli dei numerosi "eventi-sentinella", non avevano valutato, ciascuno in base alla posizione di garanzia ricoperta, tale specifico rischio della lavorazione e predisposto idonee misure di prevenzione, misure in realtà alquanto semplici poiché si risolvevano nella periodica ispezione dei listelli della macchina e nella sostituzione di quelli che consentivano un'apertura superiore ad 8 mm.
5. Come terzo argomento difensivo, si sostiene che la Corte di Bologna, senza alcun supporto tecnico, aveva affermato che il gomito della macchina, anche se costruito con materiale diverso, non avrebbe comunque trattenuto il rifilo.
Anche tale assunto è privo di pregio, poiché la causa dell'evento è stata individuata nella eccessiva distanza non regolamentare tra le lamelle di cui si è più volte detto, distanza che, qualora rispettata, avrebbe impedito la fuoriuscita di un listello di dimensioni superiori ad 8 mm. alla velocità elevatissima impressagli dalla lavorazione. Per tale ragione è stato escluso ogni nesso di causalità con lo stato del condotto che - come accertato dal tecnico della Ausl - era usurato, ammaccato, già forato ed addirittura aggiustato artigianalmente, ma che comunque, anche se costruito con materiale più robusto, come poi indicato dalla ditta Schelling, non doveva resistere a sollecitazioni diverse da quelle connesse alla sua ordinaria funzione di asportare, veicolandole al magazzino, scorie sottili di lavorazione quali polveri e trucioli leggeri e quindi non affatto destinato a trattenere nel suo percorso "a gomito" una barra di metallo larga mm.13,6 scagliata fuori alla velocità di almeno 260 km/h.
6. Da quanto sin qui detto appare di tutta evidenza l'infondatezza della doglianza difensiva riguardante il mancato espletamento di una perizia sulle cause del sinistro, avendo la Corte di merito analizzato in maniera approfondita il copioso materiale acquisito in atti, tutto deponente nel senso di "una lunga e risalente serie di trascuratezze, di negligenze e di inadempienze alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro che resero la macchia estremamente pericolosa" (così a pag.9 della sentenza) dalle quali ha tratto origine l'infortunio.
Contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, il giudizio di fatto che ha portato la Corte di Bologna a disattendere la richiesta difensiva è sorretto da adeguata motivazione, conformemente a quanto imposto dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (S.U., n.39746/2017 citata dai ricorrenti)
7. Anche l'ultimo motivo di doglianza, riguardante il trattamento sanzionatorio, è del tutto privo di pregio.
Per giurisprudenza assolutamente pacifica, infatti, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.pen. ; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro ed altro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142). Conseguentemente, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).
Tali principi debbono essere estesi - nel caso in disamina - al giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza, e non della invocata prevalenza, delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante ed al mancato riconoscimento dell'attenuante dell'avvenuto risarcimento del danno, avendo la Corte di Bologna evidenziato che si è trattato di una soluzione meramente transattiva, pur se accettata dalle parti lese, e che comunque non poteva portare al riconoscimento di una pena minore - quale quella di una pena pecuniaria sostitutiva che risulta essere stata richiesta in appello - per la gravità del reato e la intensità della colpa.
8. I ricorsi vanno conseguentemente dichiarati inammissibili ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero.