Disastro della motonave Elisabetta Montanari 1987
L'incidente sul lavoro più grave della storia italiana del dopoguerra italiano con 13 vittime.
Il 13 marzo 1987 a Ravenna avvenne il disastro della motonave Elisabetta Montanari, un incidente sul lavoro durante le operazioni di manutenzione straordinaria della omonima nave gassiera: L'evento fu scatenato da un incendio nella stiva n. 2 dell'imbarcazione: le esalazioni sprigionate della combustione causarono la morte per asfissia di 13 operai impegnati nel cantiere di manutenzione.
L’INCIDENTE
Il 13 marzo 1987 nel cantiere Mecnavi, di proprietà dei fratelli Arienti, al porto di Ravenna tredici operai morirono soffocati dai gas tossici sprigionati durante un incendio nella stiva della nave gasiera Elisabetta Montanari. Un incidente che tocca particolarmente la città che si considera «un territorio con una cultura del lavoro alta» spiega Elsa Signorino, assessore alla Cultura.
In contemporanea sulla nave stanno lavorando due squadre che non sanno l’una dell’altra: nella stiva si usa la fiamma ossidrica per tagliare delle lamiere, mentre nei doppifondi i picchettini, gli operai addetti a questo tipo di pulizie, stanno lavorando nei cunicoli, stesi sulla schiena o sul ventre, in uno spazio che non va oltre gli 80-90 cm di altezza. Le scintille della fiamma ossidrica incendiano dell’olio combustibile che scatena gas tossici che asfissiarono gli operai, senza via di scampo. L’allarme scattò verso le 9, l’ultima salma fu estratta poco dopo le 14.
Mancava completamente un piano di sicurezza dell’intera nave: gli impianti elettrici, i ponteggi, le opere provvisionali, i parapetti, l’illuminazione e la segnaletica non erano a norma di legge.
Secondo la perizia depositata nel dicembre del 1988: «per nessuno degli operai rimasti intrappolati nella stiva dopo lo sviluppo dell’incendio vi era alcuna possibilità di fuga perché non erano state previste vie alternative d’uscita».
IL PROCESSO
Il processo cominciò tre anni dopo la strage: in primo grado i fratelli Enzo e Fabio Arienti, proprietari della Mecnavi, furono condannati a 7 anni e mezzo. Due anni dopo in appello le condanne passarono da 9 a 13, la Cassazione estromise i sindacati come parte civile e dispose un nuovo processo di secondo grado. Nel ‘94 gli Arienti furono condannati a 5 anni, pena diminuita a 4 dopo pochi mesi e a pene inferiori due dirigenti.
LE VITTIME
Tredici le vittime che morirono in quel terribile giorno, tre non ancora ventenni, otto non in regola, per alcuni era il primo giorno di lavoro, per uno era l’ultimo prima della pensione. Filippo Argnani, 40 anni, Marcello Cacciatore, 23, Alessandro Centioni, 21, Gianni Cortini, 19, Massimo Foschi, 26, Marco Gaudenti, 18, Domenico La Polla, 25, Mohamed Mosad 36, Vincenzo Padua, 60, che stava per andare in pensione, e si trovò lì per puro caso, chiamato all’ultimo momento in mancanza di personale, Onofrio Piegari, 29, Massimo Romeo, 24, Antonio Sansovini, 29, e infine Paolo Seconi, 24.
I responsabili del cantiere corsero a casa dei dipendenti per recuperarne i libretti di lavoro e tentare di metterli in regola.