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Cassazione Penale Sez. 4 del 10 febbraio 2025 n. 5187

ID 23449 | | Visite: 719 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/23449

Cassazione Penale Sez  4 del 10 febbraio 2025 n  5187

Cassazione Penale Sez. 4 del 10 febbraio 2025 n. 5187 / Mano incastrata nel rullo di un macchinario

ID 23449 | 12.02.2025 / Sentenza in allegato

Cassazione Penale Sez. 4 del 10 febbraio 2025 n. 5187 - Mano della lavoratrice interinale incastrata nel rullo di un macchinario. Obbligo formativo nella somministrazione di lavoro

Cassazione Penale Sez. 4 del 10 febbraio 2025 n. 5187
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore
Dott. CENCI Daniele - Consigliere
Dott. MARI Attilio - Consigliere

Fatto

1. La Corte di Appello di Venezia, pronunciando sul gravame nel merito proposto odierno ricorrente A.A., con la sentenza in epigrafe ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, il 11/04/2022, all'esito di giudizio abbreviato, lo aveva condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. equivalenti all'aggravante contestata, con la diminuzione per il rito, alla pena di giorni 40 di reclusione, con pena sospesa e non menzione, in quanto riconosciutolo colpevole del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. in relazione all'art. 583 comma 2 n. 3 cod. pen., perché, in qualità di datore da lavoro e legale rappresentante della società "GREEIMPACK Srl", con sede in O (T) via (Omissis), esercente l'attivata di fabbricazione di articoli di carta e cartone, per imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro dì cui appresso, così per colpa generica e specifica, cagionava alla dipendente B.B. lesioni personali (trauma mano sia con avulsione cute e amputazione falange distale primo dito) dalle quali derivava alla stessa una malattia ed una incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni di durata superiore ai 40 gg. (art. 583, comma 1 n. 1 cod. pen.); in particolare non assicurava, alla lavoratrice la necessaria formazione specifica in materia di salute °e sicurezza, in riferimento ai rischi connessi alle mansioni, alle attrezzature di lavoro adoperate (art. 37 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 81/2008 e succ. modifiche) ed inoltre consentiva e comunque non impediva che la lavoratrice operasse sulla macchina "PAPER HONTEYCOMB LAM1NATLOR MODEL HL 1600", i cui rulli contrapposti sono risultati privi di adeguati sistemi di protezione (art. 71 comma 1 e 70 comma 2 del D.Lgs.. 81/2008), di modo che la stessa, nel mentre era impegnata ad applicare del nastro adesivo sui nastri trasportatori in movimento, sentiva la mano sinistra trascinata all'interno dei rulli contrapposti rimanendovi incastrata, con le citate "gravi" conseguenze lesive. In O (T) il 15 gennaio 2018.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il A.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

In premessa il ricorrente evidenzia che l'apparecchiatura cui era addetta la lavoratrice al momento dell'incidente era in locazione finanziaria dal 19.06.2017 ed era conforme alla direttiva macchine 2006/42/EC, alla Direttiva EMC 2014135/EU; all'EN 60204-1:2006 e all'EN ISO 12100:2010, nonché munita di dichiarazione di conformità, rilasciata in data 14.11.2016, e non presentava alcuna modifica o manomissione.

La mattina dell'infortunio, la B.B. si apprestava a eseguire, prima dell'avvio del ciclo produttivo, una operazione di attrezzaggio della macchina, consistente nell'applicare del nastro adesivo di carta sui bordi laterali dei tappeti ad avanzamento contrapposto, al fine di preservare dalla colla i rulli che avrebbero dovuto poi pressare il prodotto finito. Attività che, come riportato dal contratto, presentava un tasso di rischio (per mille) pari a 48. Un'attività, quindi, semplice per la quale il ricorrente afferma che la lavoratrice aveva ricevuto, oltre alla formazione di base, un'ulteriore specifica formazione "sul campo" da parte di lavoratori anziani specializzati e adeguatamente formati: C.C., D.D., E.E. e F.F., i quali le avevano più volte spiegato il processo di attrezzaggio e la funzionalità del pulsante di blocco del macchinario da attivare in caso di emergenza.

La lavoratrice, probabilmente distratta dal passaggio di una collega, quella mattina, nell'atto di applicare le richiamate protezioni, non impiegava la mano destra (pur essendo destrorsa), ma sbadatamente, inseriva la mano sinistra tra i rulli sovrapposti, rimanendo incastrata. Non attivava tempestivamente il vicino pulsante di emergenza, cosa che invece fece il collega che la affiancava in quel momento, G.G., il quale, sentito il grido, azionava immediatamente il sistema di sicurezza, distanziando i rulli e allertando i soccorsi.

Lo stesso giorno, intervenivano gli ispettori dello S.P.I.S.A.L. dell'Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana (distretto di T) che effettuavano il sopralluogo e acquisivano sommarie informazioni testimoniali del Signor G.G. All'interno del rapporto conclusivo di infortunio redatto dagli Uff. di P.G. Bonnì e Marchesan si legge: "Al momento dell'infortunio la signora B.B. stava utilizzando la mano destra per l'applicazione del nastro sui tappeti quando a un certo punto si è trovata con la mano sinistra trascinata all'interno dei rulli trasportatori"

Si lamenta che la Corte veneziana, con una sentenza non solo carente dal punto di vista giuridico, ma addirittura mancante in alcune sue parti, come si vedrà, ha confermato la condanna del Tribunale di Treviso, dimostrando di non aver correttamente compreso la dinamica del sinistro, per il quale ha ritenuto comunque la responsabilità dell'imputato. A pag. 1 della sentenza l'estensore, infatti, nel ripercorrere lo svolgimento del processo, lascia sospesa la frase.

Con il primo motivo di ricorso, il difensore lamenta violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla ritenuta inadeguatezza della macchina operatrice rispetto ai requisiti di sicurezza in relazione alla condotta negligente e imprudente della lavoratrice.

Per il ricorrente i giudici di merito, erroneamente interpretando la dinamica dei fatti, sarebbero incorsi in un errore evidente, individuando la colpa del ricorrente esclusivamente sulla base dell'evento verificatosi, e ciò mediante una tipica valutazione ex post così sintetizzabile: posto che la lavoratrice ha subito lesioni per una distrazione se il datore di lavoro avesse dotato la macchina di "una qualche forma di barriera tra i rulli ed il nastro trasportatore avrebbe impedito il contatto con gli organi in movimento nei quali si è verificato l'infortunio", (cfr. pag. 3 quartultimo rigo), il sinistro non si sarebbe verificato.

In questa prospettiva la sentenza impugnata ritiene implicitamente violate le norme di cui agli artt. 70 e 71 comma 1 del D.Lgs.. 81/08 che impongono al datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori dispositivi idonei e conformi ai requisiti di sicurezza.

In altri termini la Corte, equivocando sull'esatta dinamica del sinistro - avvenuto, secondo il ricorrente, non tanto nella normale fase produttiva del macchinario ma in quella prodromica di attrezzaggio - avrebbe semplicemente preso le mosse dall'evento per poi andare a ritroso, interrogandosi su quali precauzioni avrebbero potuto impedirlo.

In questo modo si sarebbe data una risposta lapalissiana ma profondamente errata. Non era infatti possibile effettuare l'operazione di attrezzaggio dei nastri trasportatori con la presenza di qualsivoglia barriera di protezione. Evidenzia il ricorrente che può darsi che nella parte mancante della sentenza, ove si parla dello svolgimento del processo, l'estensore avesse chiarito diversamente il suo pensiero. Ma nessuno lo può dire né interpretare.

Il ragionamento dei giudici territoriali, cosi come svolto alle pagg. 3 e 4 della sentenza, dimostrerebbe per il ricorrente tutti i suoi limiti perché costruito sulla base del "senno di poi". Così argomentando, si renderebbe colposo qualsiasi comportamento umano causativo di danno poiché è quasi sempre possibile, dopo un evento, ipotizzare un comportamento alternativo, corretto ed idoneo ad impedirlo, anche se, nel caso di specie, i giudici territoriali hanno suggerito una soluzione assurda.

Il giudizio di colpa da fatto illecito - si sottolinea in ricorso - non deve essere condizionato da ciò che è successo ma, ha affermato la giurisprudenza di legittimità, "deve essere formulato sulla scorta di una attenta analisi della situazione antecedente il verificarsi dell'evento, tenendo conto delle informazioni conosciute (o conoscibili) dal soggetto (presunto responsabile) al momento delle sua decisione di assumere la condotta (commissiva o omissiva) causativa del danno" (il riferimento è a Sez. 4 n. 38908/2023).

Con un secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 35 e 37 D.Lgs.. n. 81/2008 in materia di obblighi dell'utilizzatore e vizio motivazionale con travisamento di una prova decisiva.

Si sottolinea che la Corte veneziana ha confermato la condanna del A.A., per aver violato l'art. 37 D.Lgs.. 81/2008, non assicurando alla persona offesa la necessaria formazione specifica in materia di salute e sicurezza con riferimento ai rischi connessi alle mansioni e alle attrezzature di lavoro adoperate. Ciò in quanto, diversamente dal giudice di primo grado, la Corte territoriale considera la società rappresentata dall'imputato come utilizzatrice del rapporto interinale, dimostrando di avere correttamente riqualificato il rapporto di lavoro tra la società Green Pack e la lavoratrice ma continuando ad applicare le previsioni normative che disciplinano gli obblighi - ben più gravosi - in punto di formazione specifica e informazione da parte del datore di lavoro. La lavoratrice interinale a tempo determinato, infatti, dipendeva dall'Agenzia Etica Spa,. sulla quale ricadevano gli obblighi ex art. 37 D.Lgs. n. 81/2008 richiamati nel capo di imputazione e imputati erroneamente all'utilizzatore. Di tali obblighi l'agenzia di collocamento interinale si era fatta carico al momento della stipula del contratto di somministrazione, che viene allegato al ricorso, il cui contenuto sarebbe stato del tutto pretermesso.

Altro dato fondamentale, ignorato dai giudici territoriali, sarebbero le dichiarazioni della persona offesa che ha affermato: "Non ho mai seguito corsi di formazione in materia di sicurezza sul lavoro. Al momento della firma del contratto di lavoro l'Agenzia per il lavoro Etica Spa mi ha consegnato il manuale per la formazione della sicurezza nei luoghi di lavoro".

Da qui la violazione del dettato dell'art. 37 D.Lgs. n. 81/2008, da imputarsi, però, al datore di lavoro - come espressamente previsto dal legislatore - e non anche all'utilizzatore, Green Pack Srl E in questo senso, l'art. 35 del successivo D.Lgs.. n. 81/2015 rafforza quest'obbligo, prevedendo al comma 4 che l'obbligo di formare, informare e addestrare all'uso delle attrezzature da lavoro, in conformità con il D.Lgs.. n. 81/2008, ricade sul somministratore a meno che il contratto di somministrazione non preveda "che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore".

Il legislatore - si sottolinea - ha voluto occuparsi specificatamente dei contratti di somministrazione di lavoro, ripartendo poteri e doveri del somministratore e dell'utilizzatore a tutela del lavoratore. Tale previsione è stata recepita anche dall'Accordo Stato-Regioni del 07.07.2016, punto 12.5, che prevede: "La formazione dei lavoratori in caso di somministrazione di lavoro ai sensi dell'art. 35, comma 4 del D.Lgs.. 15 giugno 2015 n. 81 viene effettuata a carico del somministratore che informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e li informa e addestra all'uso delie attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale essi vengono assunti.

Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore.

Il ricorrente sottolinea che nessuna interversione degli obblighi in materia di sicurezza si evince dal contratto di somministrazione di lavoro concluso tra Etica Spa e Green Pack Srl Quindi, spettava innanzitutto a Etica Spa fornire personale con una preparazione di base adatta al tipo di lavoro richiesto, non potendosi ritenere di certo garantita dalla mera consegna di un manuale di istruzioni (il richiamo è alle sentenze n. 35816/2021 e. 8163/ del 2020).

Si evidenzia che, in un certo qual modo, la Corte veneziana ha ammesso la sussistenza di detti obblighi in capo al somministratore, accertando che è "il titolare del rapporto di lavoro a dover informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive dell'utilizzatore". Ha altresì aggiunto che "tale informativa non può essere assolta se non sulla base dei dati raccolti dall'utilizzatore" (pag. 3).

Ebbene, per il ricorrente è un dato chiaro, noto al somministratore sin dalla stipula del contratto, che la ditta Green Pack Srl avesse Codice ATECO (Omissis) - Fabbricazione di altri prodotti cartotecnici, e, pertanto, fosse inserita tra le macrocategorie di rischio alto, dato già sufficiente a far emergere la necessità di una formazione cautelativa periodica e specifica, ma completamente trascurato dalla Corte territoriale in punto di valutazione della gravità dell'inadempimento formativo a monte, da parte dell'agenzia interinale.

Ricorda ancora il ricorrente che, più specificatamente, per le realtà economiche a rischio alto, l'Accordo Stato-Regioni 21.12.2011, al punto n. 4 (in conformità col dettato di cui alla lett. b), co. I e al co. 3 dell'art. 37 D.Lgs.. 81/2008), prevede che il datore di lavoro debba sottoporre i propri dipendenti a un percorso di formazione, tenuto da un formatore qualificato e della durata di 4 ore di formazione generale e di 12 ore di formazione specifica. Invece, in via residuale, all'utilizzatore rimane, ex art. 35 D.Lgs.. 81/2015 n. 4, ult. capoverso, il compito di provvedere ai soli "obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti".

Sotto questo profilo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte, particolarmente scrupoloso e diligente sarebbe stato l'operato dell'imputato, il quale: a. ha garantito una specifica formazione sul campo (FSC), affidando la B.B. a colleghi esperti, operai specializzati e appositamente istruiti in materia di sicurezza, che l'hanno addestrata all'uso dei macchinari e al rischio specifico connesso all'uso dei medesimi, che ripetutamente le hanno indicato i sistemi di blocco del macchinario, assicurandosi che la donna comprendesse e assimilasse le informazioni recepite; b. nello svolgimento delle mansioni, ha affiancato la B.B. ad altro operaio, G.G.; c. ha dotato la B.B. dei dispositivi di protezione individuale, in conformità con il dettato di cui all'art. 18 del D.Lgs., n. 81/2008. Tutte precauzioni che dimostrerebbero un agire conforme alle regole di comune diligenza, nonché una rigorosa gestione del rischio (e non una sottovalutazione del medesimo) in quanto atte a proteggere la dipendente, garantendole di lavorare in sicurezza e ridurre il rischio di infortuni in conformità, peraltro, con il dettato dell'art. 2087 cod. civ.

Ci si duole che le stesse siano state liquidate dalla Corte come "oggettivamente insufficienti", sottolineando, altresì, la mancata fornitura di una procedura scritta e di un manuale di istruzione per l'uso di macchinari. Tuttavia, si precisa che non sussiste alcun obbligo in capo all'utilizzatore di ricorrere a detta modalità informativa e, ad ogni modo, detti adempimenti non possono sostituire ex se quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato" e che dovevano essere trasmesse mediante l'organizzazione di appositi percorsi da parte dell'Agenzia interinale (il richiamo è al dictum di Sez. 4 n. 6301/2024). Inoltre, proprio l'art. 37 richiamato dalla Corte non stabilisce in maniera espressa le modalità di adempimento del dovere di informare e addestrare il dipendente. Da qui, la possibilità di provvedervi con modalità atipiche, purché l'informazione sia sufficiente e idonea secondo un giudizio ex ante e mai secondo una valutazione ex post.

Per il ricorrente i giudici di merito non hanno dato prova di aver eseguito alcun accertamento di questo tipo, indispensabile per poter dimostrare la causalità tra l'insufficienza delle informazioni fornite dall'utilizzatore e la condotta (come vedremo, temeraria e negligente) assunta dalla persona offesa.

Si sottolinea in ricorso che la giurisprudenza di legittimità è oramai concorde nel ritenere che la mancanza di formazione, informazione e addestramento rilevi, ai fini dell'accertamento della penale responsabilità, solo ove possa dirsi causale rispetto all'evento infortunistico subito dal lavoratore. Dalla lettura della sentenza, invece, emergerebbe l'omessa valutazione delle circostanze del caso concreto, per stabilire se e in che misura le asserite mancanze dell'utilizzatore avrebbero inciso sulla capacità della lavoratrice di rendersi conto dei rischi e delle cautele da adottare al fine di impedire l'evento dannoso. In altri termini, la Corte territoriale sarebbe venuta meno anche all'obbligo di accertare, all'esito di un giudizio controfattuale, che le ulteriori informative richiamate avrebbero escluso l'evento lesivo.

Con un terzo motivo si lamenta errata applicazione degli artt. 70, comma 2, e 71, comma 1, D.Lgs.. n. 81/2008 e vizio di motivazione in punto di inesigibilità delle cautele ulteriori richieste.

Si evidenzia in ricorso che i giudici veneziani hanno fatto espresso richiamo al concetto di "rischio" insito nell'utilizzo del macchinario "Paper Honteycomb Lami-nator model HL 1600", di cui A.A., quale legale rappresentante della Green Pack Srl sarebbe il responsabile.

Ebbene, tale riferimento sarebbe del tutto generico, confondendosi la fase di attrezzaggio con quella di produzione, all'interposizione di una qualche forma di barriera tra i rulli e il nastro trasportatore... in aggiunta o in alternativa, anche dispositivi di blocco automatico con sistema fotoelettrico. Hanno così giustificato l'esigibilità di una condotta alternativa lecita da parte dell'imputato-garante, responsabile per non aver posto in essere quelle cautele ulteriori atte a impedire l'evento.

Sotto questo profilo, si ricorda che è stata prodotta in giudizio la documentazione rilasciata dall'azienda costruttrice, da cui risultava la conformità del macchinario alla direttiva macchine 2006/42/EC, alla Direttiva EMC 2014/35/EU, all'EN 60204-1:2006 e all'EIMISO 12100:2010, oltre alla regolare marcatura CE (come risulta dalla dichiarazione di conformità rilasciata il 14.11.2016). E che si trattava di un macchinario che, evidentemente, non rientrava tra le attrezzature da lavoro cui si riferisce il comma 2 dell'art. 70 D.Lgs.. n. 81/2008, del quale viene contestata all'imputato la violazione.

Si sottolinea poi come il relativo manuale d'uso non prevedesse l'installazione di ulteriori sistemi di protezione contro il rischio di impigliamento, trascinamento e schiacciamento. La macchina, quindi, presentava tutti i requisiti funzionali per lavorare in sicurezza e in conformità con le indicazioni di legge. Pertanto, nessuna particolare e ulteriore verifica doveva chiedersi all'imputato, data l'assenza di anomalie di costruzione o di altri vizi percettibili rispetto alle prescrizioni antinfortunistiche. Viene quindi ritenuto improprio l'espresso richiamo che la Corte territoriale opera alla sentenza n. 37060/2008, con cui si accertava la penale responsabilità del datore di lavoro che colposamente aveva ignorato un vizio chiaramente e facilmente percepibile del macchinario, realizzato senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.

Si ricorda che, pure a voler riconoscere in capo al garante l'inosservanza dell'obbligo di predisporre ulteriori sistemi dì protezione e sicurezza, "il giudizio sulla causalità della colpa presuppone un'attenta verifica, tramite un giudizio contro fattuale ipotetico, della valenza impeditiva del comportamento alternativo lecito ovvero, nel caso di specie, se il rispetto della regola cautelare, concernente l'adozione della misura di protezione imposta dalla disciplina normativa sarebbe stata in grado di scongiurare, con apprezzabile probabilità, l'evento infortunistico" (il richiamo è a Sez. 4 n. 14070/2024).

In questo senso, il giudizio espresso dalla Corte d'Appello di Venezia si sarebbe arrestato sulla inattuazione di una cautela non prevista da una specifica disciplina normativa, né dal manuale d'uso, né dalla c.d. Direttiva macchine in vigore al momento dell'acquisto in leasing del macchinario.

Una regola cautelare, insomma, formulata dalla Corte veneziana attraverso un processo creativo e pertanto ricavata ex post, com'è stato sostenuto nel primo motivo.

Inoltre, per il ricorrente, anche volendo sostenere la sussistenza di una efficienza causale nelle condotte omissive contestate all'imputato, il nesso causale sarebbe stato comunque interrotto dalla manovra assolutamente imprudente della lavoratrice, lontana dalle condizioni e dalle caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere e pertanto eccentrica rispetto alla sfera di rischio governabile dal gestore.

Con un quarto motivo si deduce motivazione insufficiente ed illogica laddove non sarebbe stata presa in considerazione la condotta esorbitante della persona offesa ai sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen. e l'impossibilità per il ricorrente di prevedere e impedire l'evento.

Si sottolinea che l'operazione di attrezzaggio che ha dato luogo al successivo trascinamento della mano sx della lavoratrice, infatti, era assolutamente estranea alle mansioni attribuitele dall'imputato, quindi esorbitava - ancora una volta - dalla sfera di rischio da lui governata. Quindi, l'elusione da parte dell'infortunata delle cautele predisposte doveva considerarsi non prevedibile e non evitabile, tanto da sollevare l'utilizzatore da responsabilità data l'eccezionalità dell'evento, mai verificatosi in precedenza all'interno di Green Pack Srl

Si richiama il principio di auto-responsabilità del lavoratore che, come in questo caso, tiene una condotta interruttiva del decorso causale. E si ricorda che l'art. 20 D.Lgs.. n. 81/2008, impone al lavoratore di agire con diligenza, prudenza e perizia, di utilizzare correttamente le attrezzature da lavoro e segnalare qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui venga a conoscenza. Infilare la mano all'interno del macchinario e, così, dei rulli in movimento è una manovra all'evidenza gravemente imprudente, la cui pericolosità è intrinseca e perciò immediatamente percepibile anche dal quivis de populo.

Con il quinto e ultimo motivo si lamentano violazione di legge e vizio motivazionale, con travisamento per omissione di un documento decisivo nella parte in cui è stata esclusa la responsabilità del preposto.

Si evidenzia che la Corte d'Appello di Venezia, nel sottolineare la posizione di garanzia dell'imputato, fa riferimento per ben tre volte all'obbligo di vigilanza e all'osservanza delle norme aziendali antinfortunistiche, rimasti evidentemente inadempiuti (pag. 5).

Ebbene, sul punto, per il ricorrente, i giudici del gravame del merito hanno dato prova di non avere assolutamente considerato la documentazione prodotta dal difensore dell'imputato, dalla quale si evince l'avvenuto trasferimento esclusivo della posizione di garanzia a F.F., ben prima dell'evento lesivo.

Risale, infatti, al 31.08.2017, infatti, la nomina a preposto, incaricato di adempiere diligentemente all'obbligo di informare i lavoratori, sovraintendere e vigilare sulla osservanza degli obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza, tanto più se esposti ad un rischio grave e immediato.

Su quest'ultimo, quindi, gravava l'obbligo di vigilare sul rispetto di quanto indicato ai fini della protezione collettiva e individuale dal S.P.P. aziendale.

Ci si duole che la Corte veneziana si sia limitata a riprendere le considerazioni espresse dal giudice di primo grado, non meglio motivando in punto di trasferimento della posizione di garanzia ed esclusione della responsabilità del preposto.

Partendo dall'aspetto afferente l'entità della formazione, si ricorda che sono stati acquisiti gli attestati di frequenza ai corsi di formazione, tenuti da docenti accreditati, da parte del Rava, il quale: oltre ad aver seguito un "Corso di formazione particolare "aggiuntiva per preposti", aveva altresì frequentato un "Corso di aggiornamento per addetto alla prevenzione incendi, lotta antincendio, gestione delle emergenze in caso di incendio" e un "Corso di aggiornamento triennale per addetti al primo soccorso nei luoghi di lavoro gruppo A".

Una formazione, dunque, specifica, tutt'altro che modesta e anzi conforme alle previsioni di cui all'art. 37 D.Lgs.. n. 81/2008 che, per fugare ogni dubbio circa la sua adeguatezza, doveva essere verificata in concreto, cosa che né il Tribunale, né la Corte d'Appello hanno fatto.

Si sottolinea che era il preposto che aveva l'obbligo di intervenire per far fronte a situazioni di pericolo, segnalando comportamenti anomali o inadeguatezza dei macchinari. E che non è esigibile la presenza continua del datore di lavoro/utilizzatore, che solo a fronte di una precisa segnalazione avrebbe potuto rilevare i profili di rischio che richiedevano cautele ulteriori. Va da sé, quindi, che le manovre scorrette - anche abituali - poste in essere dal lavoratore ma non segnalate dal preposto al datore di lavoro non possono rientrare nel patrimonio di conoscenze da lui governabili.

Conclusivamente, per il ricorrente, il preposto F.F., oltre a non aver adempiuto diligentemente agli obblighi giuridici attribuitigli, non ebbe a collaborare con il datore di lavoro con la conseguenza che, in relazione a tali suoi compiti, doveva essere chiamato solo lui a rispondere quale garante nella causazione dell'evento, in concorso causale con una condotta gravemente negligente e imprudente della dipendente.

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

3. Le parti hanno reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.

Diritto

1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati.

Le censure del ricorrente, invero, si sostanziano, per lo più, nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, T'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

Ne deriva che il proposto ricorso va rigettato.

2. Ed invero, pur non potendo esimersi il Collegio dal rilevare che effettivamente la sentenza impugnata appare redatta in modo disordinato, con evidenti parti mancanti e non consequenziali, il percorso motivazionale - tenuto conto che si tratta di una doppia conforme affermazione di responsabilità e, dunque, che le due sentenze di merito vanno lette come un tutt'uno - appare comunque congruo nella confutazione dei profili di doglianza proposti.

Di contro, il ricorso odierno insiste su censure del tutto inconsistenti, afferenti: a. alla conformità del macchinario alle previsioni di legge e, in particolare, alla Direttiva Macchine; b. all'impossibilità tecnica di apporre al macchinario in questione ulteriori presidi antinfortunistici; c. alla circostanza che il A.A. non era il datore di lavoro; d. alla sussistenza di un comportamento della lavoratrice a tal punto esorbitante dalle funzioni assegnatele da interrompere, in ogni caso, ogni nesso causale con le eventuali inadempienze del ricorrente.

Inoltre, non vi è alcun elemento atto a suffragare la tesi del ricorrente secondo cui l'incidente alla lavoratrice non sarebbe avvenuto nella normale fase produttiva del macchinario ma in quella prodromica di attrezzaggio.

3. Va evidenziato che è lo stesso ricorrente che riconosce come la Corte veneziana abbia correttamente inquadrato la posizione della lavoratrice interinale richiamando il dictum di Sez. 4 n. 11432 del 09/02/2017, Ghidoni, non mass, relativo ad un caso, sovrapponibile a quello che ci occupa, in cui veniva contestata la violazione degli artt. artt. 36 e 37 del D.Lgs.. n. 81/2008, in quanto la società riferibile all'imputato aveva affidato ad un lavoratore interinale il compito di manovrare una determinata macchina, senza avere prima provveduto ad un'adeguata formazione, ed informazione sull'uso specifico della stessa, così che il lavoratore, per l'assenza di misure di sicurezza, restava con la mano incastrata negli ingranaggi, riportando lesioni personali al polso destro.

Ebbene, richiamando conferentemente quell'arresto giurisprudenziale con riferimento alla posizione di garanzia in capo a A.A. rispetto all'obbligo di formazione del lavoratore, i giudici del gravame del merito offrono una motivazione logica e coerente - che la Difesa tenta invano di confutare richiamando le medesime argomentazioni già affrontate e superate dalla Corte territoriale - sul corretto rilievo che, in caso di contratto di somministrazione, il datore di lavoro, anche nella sua veste di utilizzatore, deve comunque ottemperare a un dovere di vigilanza e scrupolo nell'addestramento anche nei confronti del lavoratore interinale (ossia di un dipendente non stabilmente inquadrato dell'azienda, pur già dotato di una formazione da parte dell'agenzia fornitrice), dovendone ad ogni modo assicurare un'adeguata e specifica formazione rispetto alle mansioni cui verrà adibito e ai macchinari che dovrà utilizzare.

Con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, la Corte territoriale evidenzia come nel caso in esame le informative da parte dell'utilizzatore, asseritamente demandate a mere disposizioni orali da parte dei dipendenti dell'impresa guidata dal A.A. "sulla cui precisione ed efficacia nulla è stato dimostrato, non sono oggettivamente apparse sufficienti e non risulta, peraltro, che all'infortunata sia stato messo a disposizione il manuale di istruzione per l'uso del macchinario (onere di specifica pertinenza dell'utilizzatore, con rappresentazione delle conseguenze pericolose dell'eventuale inosservanza delle istruzioni ricevute)" (così pag. 3). Nel caso di specie, osserva la Corte territoriale che "fermo restando che non era stata fornita una procedura scritta, né un manuale per l'uso e la manutenzione della macchina non è dimostrato che la prassi verbalmente tramandata venisse generalmente osservata" (pag. 3). E con tali rilievi l'odierno ricorso non si confronta criticamente.

4. Quanto al rispetto della normativa prevenzionale afferente ai macchinari, che secondo la tesi proposta in ricorso graverebbe sul solo produttore, già il giudice di primo grado aveva conferentemente richiamato il dictum di Sez. 4 n. 11713 del 25/02/2021, Pacetti, non mass, secondo cui è comunque onere dell'utilizzatore assicurarsi che, nell'ambito del ciclo di lavorazione, siano approntate tutte le dovute cautele antinfortunistiche. Come rileva correttamente la Corte veneziana "che il macchinario fosse stato giudicato di per sé conforme alla normativa non esime dall'adottare, nell'ambito del suo utilizzo pratico, cautele ulteriori rispetto a quelle individuate in sede di omologa originaria. Conferente in tal senso appare il richiamo dei giudici del gravame del merito al dictum di Sez. 4 n. 37060/2008 che ha chiarito come il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica, del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità" (pag. 4). È stato affermato - e va qui ribadito - che, in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (così Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948 - 01 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità; conf. Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259229 - 01; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta, Rv. 275114-02 in una fattispecie relativa a macchinario privo di "carter" di protezione, in cui la Corte ha ritenuto che il pericolo era evidentemente riconoscibile con l'ordinaria diligenza, dovendo gli organi in movimento dei macchinari essere sempre segregati per evitare contatti pericolosi con la persona del lavoratore; Sez. 4, n. 41147 del 27/10/2021, Fava-retto, Rv. 282065-01 nel caso relativo a macchinario denominato "linea di spianatura e taglio trasversale bandellatrice", acquistato dieci anni prima dell'infortunio e dotato di marchio CE nonché di un meccanismo di segregazione delle parti mobili pericolose, agevolmente apribile, ma privo di un sistema di blocco automatico delle parti in movimento, in cui è stato ritenuto immune da censure il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro in relazione alle lesioni occorse a un lavoratore mentre lo stava ripulendo, per non avere adeguato gli standard di sicurezza alla luce dei progressi della tecnologia e non avere installato meccanismi di blocco automatico).

Coerente con i sopra rilevati principi appare il rilievo della Corte veneziana (pag. 4) che la macchina in questione non soddisfacesse il requisito, imposto in via generale, dell'adozione di dispositivi che assicurino in modo assoluto la posizione di fermo del macchinario durante le fasi di pulizia, ovvero evitino il contatto con l'operatore intento alla pulizia dei rulli. Ne consegue che l'omissione addebitabile all'imputato appaia causalmente collegata alla verificazione dell'evento infortunistico che ha rappresentato la concretizzazione proprio di quel rischio, prevedibile ed evitabile, che le caratteristiche stesse del macchinario e l'aver adibito il lavoratore a tale attività sottintendeva (conferente il richiamo a Sez. 4, n. 43645 del 11/10/2011, Putzu, Rv. 251930 - 01 e a Sez. 4 n. 1819 del 03/10/2014, dep. 2015, Di Domenico, Rv. 261768 - 01).

Né pare comprensibile l'affermazione del ricorrente secondo cui non sarebbe stata esigibile, come indica la Corte territoriale a pag. 3 della sentenza impugnata, "l'interposizione di una qualche forma di barriera tra i ruli e il nastro trasportatore (che) avrebbe impedito il contatto con gli organi in movimento nei quali si è verificato l'infortunio". Ovvero "in aggiunta o in alternativa, anche dispositivi di blocco automatico con sistema fotoelettrico (che) avrebbero consentito l'arresto del movimento dei rulli all'avvicinarsi degli arti dell'operatrice".

5. Infondata risulta anche la doglianza dell'insussistenza di culpa in vigilando a carico dell'imputato, in ragione dell'esistenza di un preposto, avendo la Corte territoriale adeguatamente superato la censura in questione sulla base della considerazione assorbente per cui, in ogni caso, non sarebbe gravata su tale figura professionale l'osservanza degli obblighi di prevenzione e manutenzione in ordine alla funzionalità dei macchinari.

Questa Corte di legittimità, sul punto, ha più volte sottolineato che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E che, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile; Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).

E, ancora, va qui ribadito che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così questa Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).

6. In ultimo, inconsistente si palesa la doglianza secondo cui la lavoratrice avrebbe posto in essere un comportamento esorbitante rispetto alle mansioni che le erano state affidate, ovvero quelle di applicare del nastro adesivo sui nastri trasportatori in movimento.

Del resto, anche la linea difensiva del A.A. si è attestata non sul fatto che la lavoratrice infortunata fosse stata adibita a non meglio specificate altre mansioni diverse da quelle in atto al momento dell'infortunio, ma sul fatto che la stessa sia stata "probabilmente distratta dal passaggio di una collega" (così a pag. 4 del ricorso).

La decisione della Corte territoriale di escludere la configurabilità di un comportamento abnorme della lavoratrice è, perciò, pienamente conforme al principio secondo cui, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia eccezionale ed imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. nel solco dei principi enunciati da Sez. U, n. 38343 de! 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione, Sez. 4, n. 46841 del 03/10/2023, Bovini, non mass.; Sez. 4, n. 51455 del 05/10/2023, Fiochi Rv. 285535 - 01; Sez. 4, n. 27759 del 20/04/2023, Scopelliti, non mass.; Sez. 4, n. 43852 del 19/07/2018, Bartolini, Rv. 274266 - 01; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603;).

Ciò nel solco del consolidato dictum secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis Sez. 4 n. 7364 del 14/01/2014, Rv. 259321).

Costituisce, infatti, ius receptum il principio secondo cui in tema di infortuni sul lavoro, il principio informatore della materia è quello per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore.

All'interno dell'area di rischio, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2025

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