Cassazione Civile Sez. Lav. del 10 dicembre 2013 n. 27520
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Cassazione Civile Sez. Lav. del 10 dicembre 2013 n. 27520
ID 21296 | 04.02.2024
Cassazione Civile Sez. Lav. del 10 dicembre 2013 n. 27520 - Tumore polmonare e nesso causale con l'attività lavorativa
Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro - rel. Consigliere
Dott. FILABOZZI Antonio - Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela - Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere
Fatto
Con ricorso, depositato il 5.09.2003, F.B., quale erede di B.I., esponeva:
- che il B. aveva lavorato dal 1959 al 1966 presso la MO. di (OMISSIS) e successivamente presso la ME. come manovratore dell'impianto di polimerizzazione del CVM (cloruro di vinile momumero):
- cha a seguito dell'esposizione a tale sostanza il B. aveva contratto un carcinoma polmonare, da cui derivava la sua morte in data (OMISSIS).
Ciò premesso, la F. conveniva in giudizio l'INAIL per sentirlo condannare all'erogazione in suo favore della rendita superstiti, negata in sede amministrativa. Con sentenza n. 1093 del 2007 il Tribunale di Venezia, espletata consulenza tecnica di ufficio, rigettava la domanda, escludendo la natura professionale della malattia.
La decisione anzidetta, impugnata dalla F., è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 342 del 2009 che ha ritenuto non provato il nesso di causalità tra il decesso del lavoratore per tumore polmonare e l'attività lavorativa svolta dal B..
La Corte territoriale ha osservato che gli unici dati specifici riferiti alla vita lavorativa del B. risultavano dagli atti del processo penale del cosiddetto Petrolchimico, nel cui ambito la situazione del B. era stata presa in considerazione quale persona offesa dal reato.
In questo ambito la Corte si è richiamata in particolare alle dichiarazioni rese dal consulente tecnico del pubblico ministero e valorizzate dal consulente tecnico di ufficio Dott. Z.N., da cui era emerso che gli unici dati significativi si traevano dall'anamnesi del lavoratore, che più volte aveva subito ricoveri ospedalieri per tabagismo, con esclusione quindi dell'esposizione a CVM come fattore causale o concausale della morte per carcinoma polmonare. IL CTU Z. aveva ritenuto di non aderire alle conclusioni del primo consulente tecnico nominato dal Tribunale, ossia del Dott. G., il quale aveva invece dedotto dall'esame della documentazioni e delle testimonianze acquisite che la malattia del B. fosse correlata proprio alle esposizioni da lui subite nell'arco del periodo lavorativo nella società MO. di Portomarghera presso il laborario ricerche, impianto pilota (PVC) e presso il reparto di produzione VT (PVC).
La F. ricorre per cassazione con due motivi.
L'INAIL resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente contesta l'impugnata sentenza sostenendo che il giudice di appello ha aderito all'elaborato peritale del Dott. Z. senza prendere minimamente in esame nè le specifiche contestazioni contenute nell'appello nè le istanze istruttorie articolate della parte assicurata.
In particolare le doglianze si riferiscono all'omessa considerazione di tutti i dati, emergenti dalla consulenza tecnica di ufficio svolta dal Dott. G. primo consulente nominato dal Tribunale, relativi alla vita lavorativa del B..
Con il secondo motivo la ricorrente rileva che la Corte territoriale ha invertito l'onere della prova ex art. 2697 c.c., e, di fronte ad una infermità neoplastica tabellata e causata da CVM con periodo di indennizzabilità illimitato, avrebbe dovuto ravvisare a carico dell'INAIL l'onere di dimostrare la diversa eziologia della seconda infermità. In relazione ai due esposti motivi sono formulati i relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..
Con riguardo all'omessa o adeguata motivazione sull'esposizione a CVM (cloruro vinile monomero), il quesito (pag. 17 del ricorso) è così articolato. "Dica la Suprema Corte se in presenza di specifica articolazione di prova sull'esposizione a rischio e sulle mansioni comportanti l'esposizione a cloruro di vinile monomero, la Corte territoriale fosse tenuta ad ammettere la relativa prova o quanto meno a motivare adeguatamente)".
Con riguardo all'onus probandi (a pag. 21 dello stesso ricorso) il quesito è così articolato: "Dica la Suprema Corte se nel caso di deduzione di malattia tabellata (voce 34 D.P.R. 13 marzo 1994, n. 336) e di deduzione di prova in ordine all'esposizione, si poneva la seguente alternativa: a) ammissione della prova dedotta; b) onere della prova a carico dell'INAIL".
L'INAIL da parte sua ha contrastato le doglianze della ricorrente, eccependone l'inammissibilità e comunque l'infondatezza, in quanto il giudice di appello, nel prestare adesione alla consulenza tecnica disposta in primo grado, in particolare a quella del Dott. Z., e nel valutare gli elementi probatori raccolti in giudizio, ha espresso, con motivazione coerente e logica una valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità.
2. Le doglianze del primo motivo sono fondate.
Nel caso di specie il giudice di appello ha completamente trascurato l'indagine svolta dal CTU Dott. G., nominato dal Tribunale, che in proposito aveva espresso parere positivo circa l'origine professionale della malattia mortale che aveva colpito il lavoratore, basando detto giudice il proprio convincimento, come già detto, sugli atti del procedimento penale a carico dei dirigenti del Petrolchimico e sull'abitudine al fumo da sigarette del lavoratore.
In questo modo il giudice di merito non ha fatto buongoverno del principio di equivalenza di cui all'art. 40 c.p., e all'art. 41 c.p., in materia di concorso di cause, in forza del quale causa di un evento è ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell'evento stesso, anche se di minore spessore quantitativo o qualitativo rispetto ad altri, salvo che sia dimostrato l'intervento di un fattore causale da solo sufficiente a determinarlo.
Proprio in applicazione di tale principio, il giudice di merito, come evidenziato, si è limitato a valorizzare l'abitudine al fumo del lavoratore, trascurando l'incidenza concausale dei fattori di rischio professionale ascrivibili all'esposizione, nel reparto in cui aveva operato il B., a vapori di cloruro di vinile monomero e a polveri di PVC. D'altro canto l'impugnata sentenza, non ha fornito una congrua e logica motivazione sulla mancata ammissione della prova per testi circa le mansioni svolte dal B. e sull'esposizione all'anzidetto rischio, prova chiesta in primo grado e la cui ammissione è stata reiterata in appello; motivazione che s'imponeva nel caso di specie, essendosi verificato un contrasto di vantazioni tra i due consulenti di ufficio Dott. G. e Dott. Z..
3. Fondato è anche il secondo motivo del ricorso, con cui, come già detto, la ricorrente fa riferimento alla violazione della presunzione legale della malattia tabellata e cita la voce 34 del D.P.R. 13 marzo 1994, n. 336.
Anche se quest'ultimo richiamo è inesatto, sussistendo nel caso di specie ratione temporis la presunzione nella voce 36 della tabella del DPR 9 giugno 1975, va osservato che sia la voce 34 sia la voce 36 di dette tabelle riconoscono la dipendenza nelle nella malattie neoplastiche (con fattore illimitato) dall'esposizione al cloruro di vinile e derivati (cfr Cass. n. 12108 del 24 maggio 2007).
La sentenza impugnata è pertanto censurabile sotto questo profilo per non avere preso in esame il problema della natura tabellata o meno della malattia riscontrata a carico del B., con ogni conseguenza circa l'onere della prova del rapporto di causalità.
Sotto questo ultimo profilo si fa riferimento alla costante giurisprudenza (cfr, tra le altre, Cass. n. 8638 del 2008; Cass. n. 14023 del 2004), secondo cui nell'ipotesi di malattia tabellata vi è l'onere per il lavoratore di dimostrare la presenza del fattore scatenante la malattia fra il materiale abitualmente adoperato nel lavoro, mentre l'istituto assicuratore è onerato di dare la prova dell'inesistenza del nesso eziologico, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la malattia sia stata causata da un diverso fattore patogeno, oppure che per la sua rapida evolutività, o per altra ragione, non sia ricollegabile all'esposizione a rischio, in relazione ai tempi dell'esposizione e di manifestazione della malattia.
3 In conclusione il ricorso merita di essere accolto e per l'effetto l'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, che procederà ad una più approfondita verifica dell'apporto causale di tutti i fattori di rischio (in particolare esposizione a cloruro di vinile) presenti nell'ambente di lavoro ove operava il lavoratore deceduto, tenendo in considerazione anche l'abitudine tabagica del de cuius e alla stregua della presunzione legale della malattia tabellata in ordine all'onere della prova del rapporto di causalità.
Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Brescia.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2013
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