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Ordinanza CC n. 29611 dell'11 ottobre 2022

ID 18404 | | Visite: 2585 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/18404

Ordinanza CC n  n  29611 del 11 ottobre 2022   Tecnopatia indennizzabile

Ordinanza CC n. 29611 dell'11 ottobre 2022 / Tecnopatia indennizzabile anche se malattia non tabellata Testo Unico n. 1124/65

ID 18404 | 19.12.2022 / Download scheda

Depressione e ansia del lavoratore: sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro anche se non tabellate nel D.P.R. n. 1124 del 1965.

L'Ordinanza ha statuito che non rileva, ai fini dell’indennizzabilità da parte dell’Inail, solo il rischio specifico della lavorazione, ma anche il rischio specifico improprio, ossia quello non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione lavorativa, ma genericamente collegato con la prestazione lavorativa stessa.

Nell’ambito del sistema del testo unico n. 1124/65, infatti, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che esso riguardi la lavorazione in sé e per sé considerata, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica sia psichica. Ne consegue che ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata dall’Inail, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo, in tale caso, il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
_________

Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 ottobre 2022, n. 29611 - Depressione e ansia del lavoratore: sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro - Presidente Berrino – Relatore Calafiore

Rilevato che:

con sentenza n. 267/2016 la Corte d'appello di Brescia ha rigettato l'impugnazione proposta da P.L. nei confronti dell'INAIL avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda della stessa tesa ad ottenere la condanna dell'Istituto ad erogare l'indennizzo per danno biologico da malattia professionale (disturbo dell'adattamento con umore depresso ed ansia compatibili con situazione lavorativa anamnesticamente avversativa); la Corte ha ritenuto estranea alla copertura assicurativa dell'INAIL il danno psichico subito dai lavoratori per situazioni di costrittività organizzativa dopo l'annullamento da parte del Consiglio di Stato della circolare INAIL del 17.12.2003 e del D.M. n. 134 del 2004;

avverso tale sentenza ricorre P.L. con un articolato motivo;

resiste l'INAIL con controricorso.

Considerato che:

con l'unico motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 1,2,3.4,13 comma 2 lett. a) e ART. 139 (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e ciò per avere la Corte d'appello negato l'indennizzabilità della malattia professionale non tabellata di natura psichica dipendente dal cosiddetto stress lavorativo, anche in base al D.M. n. gennaio 2008 che ritiene non annullato dalla sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato;

il motivo è fondato e va accolto, in continuità con diversi precedenti di questa Corte di cassazione;

in particolare, (Cass. 17/08/2018, n. 20774; Cass. n. 5066 del 2018) si è affermato che rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002" Cass. 5354/2002);

lo stesso orientamento è stato riaffermato, a proposito dell'art. 3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, situazione ritenuta meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente;

l'evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a livello normativo nell'ambito dell'infortunio in itinere, ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12, il quale esclude in realtà qualsiasi rilevanza all'entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto; apprestando tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori (Cass.7313/2016);

rileva, dunque, che la Corte Cost. n. 179 del 1988 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata", talché, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577 del 1998, l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro;

pertanto, non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata e secondo cui sarebbe da escludere che l'assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle; posto che, al contrario, nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l'origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell'identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU;

tale interpretazione è oggi confermata testualmente dalla L. n. 38 del 2000, art. 10, comma 4 dal quale risulta che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale";

deve dunque affermarsi che, nell'ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008);

in conclusione, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata;

a tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell'art. 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sé; ed è questo e non la prima l'evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. l'"oggetto della tutela dell'art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (sentenza n. 100 del 2.3.1991);

nella stessa ottica, pertanto, non può neppure sostenersi - al contrario di quanto affermato dalla sentenza impugnata - che il premio assicurativo abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle, assolvendo invece la precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini fin qui ricostruiti: "il distacco dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (distacco che può considerarsi compiuto con la sentenza di questa Corte numero 179 del 1988) è sollecitata da un'interpretazione dell'art. 38, comma 2, coordinata con l'art. 32 Cost. allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori" (ancora Corte Cost. n. 100/1991);

sulla scorta delle precedenti considerazioni il ricorso va quindi accolto e la sentenza cassata, con rinvio della causa per un nuovo esame al giudice designato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi sopra formulati in materia di tutela della malattia professionale discendente dall'organizzazione del lavoro e provvederà altresì alla statuizione sulle spese di questa fase del giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione.

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