Considerato in diritto
1. I primi due motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
2. La consolidata giurisprudenza di legittimità ha fissato il principio, relativo alla specificità richiesta dall'art. 581 cod. proc. pen., secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione nel caso in cui manchi la correlazione tra le ragioni poste a fondamento dalla decisione impugnata e quelle argomentate nell'atto di impugnazione, atteso che questo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, Rv. 286468 - 01; n. 19951 del 2008 Rv. 240109 - 01, n. 11951 del 2014 Rv. 259425 - 01).
La sentenza impugnata, nel respingere il motivo d'appello con il quale l'imputato aveva sollecitato l'espletamento di una perizia tecnica sul macchinario, finalizzata ad evidenziare se il costruttore avesse in effetti previsto la collocazione di un carter anche sulla parte inferiore del macchinario, ha affermato che tale richiesta non poteva ritenersi necessaria all'accertamento dei fatti, posto che gli stessi erano stati congruamente ricostruiti mediante l'intero compendio probatorio acquisito al processo. Tale laconica risposta, peraltro, va letta e considerata nella prospettiva dell'approfondimento operato dalla Corte territoriale in vista dell'affermazione di responsabilità, laddove l'imputato, con il primo motivo dell'appello, aveva devoluto al giudizio d'impugnazione i medesimi temi richiamati a sostegno della richiesta di espletamento della perizia tecnica.
In particolare, la Corte territoriale ha tratto prova del proprio convincimento da plurime fonti, poste in ragionato confronto critico. In particolare, alla pagina 2 della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha affermato con certezza che il macchinario a cui era adibito l'infortunato non era munito di un carter di protezione anche nella parte inferiore, ove erano alloggiati i contro coltelli in movimento durante il suo funzionamento. Il dato è emerso dalle dichiarazioni del lavoratore parte offesa, il quale aveva in passato effettuato la medesima operazione per ripulire l'aspirazione dello scarto della carta. Era necessario, su alcuni tipi di formato di scarto, sbloccare il refilo togliendo il tubo, tirando via il tappo e ricollegando il medesimo tubo. In genere, lo scarto si bloccava in punti più distanti da quello ove si trovavano i contro coltelli in movimento, ma in quella circostanza l'operatore fu costretto ad operare con le mani fino ai contro coltelli, senza che ci fosse alcuna protezione per le dita.
3. Il lavoratore aveva pure negato di aver mai ricevuto il manuale della manutenzione del macchinario e che gli avessero indicato di spegnere il macchinario in caso di blocco dello scarto, non trattandosi di operazione di manutenzione ma attinente alle proprie mansioni ordinarie.
La Corte ha pure dato atto che le contrarie affermazioni del teste manutentore, erano state smentite dal fatto che neanche il manuale recava tale stringente indicazione e, a tale proposito, ha riepilogato gli interventi di manutenzione relativi all'impianto ivi previsti. In particolare, la Corte territoriale ha dedotto che il punto fosse oscuro e che la prassi di considerare normale lo sblocco dello scarto mediante interventi a macchina in movimento fosse indice già di un consenso prestato alla realizzazione di una condotta particolarmente pericolosa. La sentenza ha quindi osservato che il datore di lavoro non aveva preso misure adeguate a prevenire il rischio, né il lavoratore era stato informato in modo adeguato su tale rischio e formato e addestrato in maniera specifica all'utilizzo della macchina, nonostante il documento di valutazione dei rischi (alla pagina 187, cap. 8 paragrafo 7 punto 6.6.) prevedesse tali adempimenti in relazione all'uso del macchinario in questione. Alla pagina 3 la sentenza impugnata ha espressamente rilevato che il DVR imponeva al datore di lavoro di proteggere mediante carter di protezione le parti in movimento della macchina, al fine di evitare il rischio di infortunio per i dipendenti. Anche il manuale d'uso del macchinario prevedeva alla pag. 56 lo stesso dovesse essere completamente inaccessibile durante il funzionamento e a pag. 57, nel paragrafo dedicato alla sicurezza antinfortunistica, espressamente vietava assolutamente di rimuovere i carter di sicurezza o di rendere inattive le sicurezze antinfortunistiche, riferendosi non a un singolo carter, ma a più carter. Era pure previsto il divieto di eseguire riparazioni provvisorie o interventi di ripristino non conformi alle istruzioni, oppure di affidare interventi o manutenzioni e riparazione a personale non addestrato dal costruttore.
4. Dunque, era rimasto provato che tali divieti erano stati ampiamente disattesi, tanto che la difesa del datore di lavoro aveva virato verso il giudizio di abnormità della condotta del lavoratore. Ma anche tale tattica non poteva essere accolta, posto che il lavoratore non aveva comunque ricevuto il manuale d'uso, né poteva ritenersi pacifico che l'intervento eseguito al momento dell'infortunio potesse definirsi come manutentivo, con obbligo per il lavoratore di spegnere il macchinario e richiedere l'intervento del manutentore. Modalità mai seguita dal lavoratore, che seguiva la prassi descritta già da prima dell'infortunio. Dalla stessa documentazione depositata dal datore di lavoro era emerso che al lavoratore non era stata impartita la formazione specifica riferita a quel macchinario Exeller Line tipo RW/01/2007; l'attestato di abilitazione rilasciato all'esito di un corso di formazione teorico pratico si riferiva ai lavoratori addetti alla conduzione di carrelli elevatori industriali con conducente a bordo e non il macchinario in questione. Non risultava che al lavoratore fosse stato mai consegnato il manuale d'uso, come dallo stesso lavoratore affermato. L'atto del lavoratore, seppure imprudente, non poteva definirsi abnorme, perché non eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente attribuite nell'ambito del ciclo produttivo.
5. A fronte di tale struttura della motivazione, il ricorrente, eludendo in modo evidente le chiare ragioni addotte a sostegno dell'affermazione di responsabilità, sposta l'attenzione su argomenti logici del tutto eccentrici rispetto al tema della omessa considerazione del rischio specifico, quale la asserita necessità di espletare una perizia, quando invece il ragionamento della Corte d'Appello relativo alla ricostruzione delle modalità di causazione dell'infortunio, è completo e congruo e fondato su fonti di cognizione di particolare evidenza probatoria.
Peraltro, per la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 (dep. 2016) Rv. 266820 - 01, Ricci).
6. Altrettanto inammissibile, perché basato su considerazioni di mero apprezzamento delle prove non deducibile in sede di legittimità, caratterizza il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di motivazione relativo al tema di stretta competenza del giudice di merito di apprezzamento del materiale istruttorio, in funzione della critica del punto della decisione che ha negato il carattere abnorme della condotta del lavoratore. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, poiché la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata" (così questa Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; in conformità v., già in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159 - 01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306; più recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 de 3C/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni Spa, Rv. 278196).
Anche in questo caso, il ricorrente si appoggia ad una parziale indicazione dei percorsi della motivazione, asserendo di trarne la prova della contraddittorietà.
Tuttavia, senza incorrere in salti logici, la sentenza impugnata, al capo 3.1. ha congruamente spiegato, come si è sopra descritto, perché l'atto del lavoratore seppure improvvido non poteva definirsi abnorme.
8. Da quanto si è sin qui detto, risulta evidente che anche il profilo, in verità residuale rispetto alle critiche rivolte alle valutazioni di merito sull'apprezzamento delle fonti di prova, che denuncia la errata applicazione dell'art. 71 TUSL è del tutto privo di correlazione con la motivazione della sentenza impugnata. Il ricorrente, infatti, non considera, come si è chiarito al punto precedente, che la rassegna delle condotte alternative omesse, concretando la causalità della colpa addebitata all'imputato, è stata rappresentata, in relazione alla formulazione del giudizio controfattuale, dopo aver adeguatamente spiegato i termini della palese violazione del DVR, laddove lo stesso aveva previsto il mezzo per contenere il rischio derivante dall'utilizzo del macchinario, ma era rimasto del tutto non adempiuto. Dunque, la sentenza non ha applicato in modo erroneo la previsione normativa e la denuncia del vizio di violazione di legge si fonda su considerazioni estranee al ragionamento seguito dalla Corte di merito e manifestamente infondate.
9. Sul punto, non pare ultroneo ribadire che l'art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008, norma dal chiaro tenore letterale, pone al centro del sistema prevenzionistico lavorativo il momento della valutazione e, dunque, della previsione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, previsione che spetta al datore di lavoro e deve essere completa, dovendo riguardare, per l'appunto, "tutti i rischi". Trattasi di norma che riempie di contenuto quella che pone l'obbligo datoriale per eccellenza, neppure delegabile, delineato all'art. 17, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, quello cioè di redigere il documento di cui all'art. 28 citato.
Già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il datore di lavoro è tenuto a indicare, all'interno di tale documento, in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali e i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori e, trattandosi di un dovere fondamentale del sistema prevenzionistico, il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355 - 01). Il che giustifica, altresì, la costante giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo cui il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, anch'egli debitore, in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, di un obbligo di garanzia (art. 20 D.Lgs. n. 81/2008), può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, soltanto allorquando questi abbia attuato anche le cautele che sono finalizzate a disciplinare e governare il rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242 - 01).
10. È fondato il terzo motivo.
Il Tribunale ha irrogato la pena di mesi due di reclusione ed Euro 400 di multa, con i doppi benefici della sospensione della pena e della non menzione, e la Corte d'Appello ha confermato integralmente la pronuncia.
Tuttavia, come rilevato dal ricorrente, l'art. 590 cod. pen., terzo comma, prevede, in caso di lesioni gravi, la pena da tre mesi a un anno di reclusione o della multa da Euro 500 ad Euro 2000 e non la pena congiunta della reclusione e della multa.
Pertanto, ferma la responsabilità penale accertata dalla Corte d'Appello, la sentenza va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio e, per tale aspetto, rinviata alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.