Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso consentono una trattazione unitaria, vertendo sul punto dell'affermazione della responsabilità per colpa omissiva del datore di lavoro. Si tratta di motivi infondati.
1.1. In linea di principio, va premesso che l'intera normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro risente del principio di matrice eurounitaria (Direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE, 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE che avevano già trovato attuazione con d. lgs. 19 settembre 1994, n.626) per cui sicurezza significa, anzitutto, prevenzione e quindi non è oggi immaginabile un sistema di sicurezza del lavoro che non sia incentrato sul concetto di rischio. Il dovere principale che la normativa italiana impone ai datori di lavoro, ai dirigenti, ai committenti, ai preposti e, in definitiva, a tutti coloro che si definiscono «garanti» è, dunque, quello di organizzare un sistema atto a prevenire efficacemente gli infortuni. Per far ciò è indispensabile individuare quali sono i rischi presenti sul luogo di lavoro e, caso per caso, quale sia stato il rischio in cui si sia concretizzato l'evento ai danni del lavoratore.
1.2. Il capo d'imputazione era stato strutturato, nel caso concreto, con specifico riferimento alla condotta omissiva del datore di lavoro (art.40, comma 2, cod. pen.) e il rischio descritto nell'ipotesi accusatoria in conseguenza di tale condotta omissiva è stato più in dettaglio definito nelle sentenze: esso è stato identificato nella possibilità che, nel corso delle operazioni di distaffatura, una parte della struttura potesse cadere verso l'esterno dell'area di lavorazione e colpire chiunque si fosse trovato anche oltre la zona delimitata, anche se non direttamente coinvolto nel processo. Occorre, dunque, verificare i motivi di ricorso, inerenti alla insussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, alla luce di tale specifico rischio che, si ripete, concerne l'eventualità che la manovra mediante carroponte determinasse la caduta dall'alto di oggetti in «zone di pericolo», non solo all'interno dell'area in cui si svolgevano le operazioni di distaffatura ma anche all'esterno di tale area.
1.3. Il percorso causale che ha determinato la caduta del cilindro nella zona esterna alla lavorazione è incontestato ed è descritto nella sentenza di primo grado: il tubo era caduto sulla trave orizzontale situata a tre metri di altezza, posta a delimitazione e protezione dell'area di lavorazione, e da qui sul lavoratore, posizionato in area esterna a quella di lavorazione ma in corrispondenza di un'apertura della struttura di protezione. La ricostruzione della dinamica dell'infortunio indicata nel ricorso, in base alla quale il manovratore del carroponte avrebbe iniziato la manovra prima che il G.G. raggiungesse l'area esterna, rappresenta una deduzione in fatto, inammissibile in fase di legittimità e, in ogni caso, non contraddice frontalmente quanto descritto in sentenza a proposito del percorso compiuto dal cilindro metallico, segnatamente a proposito del fatto che il G.G. sia stato colpito mentre si trovava nell'area esterna alla lavorazione in corrispondenza di un'apertura della struttura metallica di delimitazione e protezione dell'area di distaffatura.
1.4. Le regole cautelari contestate erano: l'art.64 d. lgs. n.81/2008 che, letto in combinato disposto con l'art.63, comma 1, d. lgs.cit., impone al datore di lavoro di provvedere affinchè i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti indicati nell'Allegato IV del medesimo testo normativo. Tra tali requisiti, l'Allegato prescrive l'adozione di dispositivi che impediscano ai lavoratori non autorizzati di accedere a zone di pericolo in funzione, tra l'altro, del rischio di cadute di oggetti (1.4.6), l'adozione di misure appropriate per proteggere i lavoratori autorizzati ad accedere a tali zone di pericolo (1.4.7), la difesa tanto dei posti di lavoro quanto dei posti di passaggio dalla caduta o dall'investimento di materiali in dipendenza dell'attività lavorativa (1.8.1). Si tratta, in breve, del rischio correlato alla caduta di oggetti nel corso di una lavorazione in quelle che il legislatore definisce «zone di pericolo», estendendo tale definizione dai posti di lavoro ai «posti di passaggio». A monte, si contestava al datore di non avere valutato il predetto rischio (art.29, comma 1, d. lgs. n.81/08).
2. Tanto premesso, se ne desume la correttezza della decisione tanto sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, quanto della regola cautelare applicabile al caso in esame, rappresentata dalla necessità di prevedere, e di adottare misure appropriate, la caduta di un oggetto nel corso della lavorazione in «zona di pericolo». I giudici hanno ritenuto, in proposito, che la struttura di delimitazione dell'area di distaffatura non fosse sufficiente, per la sua conformazione discontinua, a garantire la sicurezza di un lavoratore posizionato all'esterno di essa. Su tale punto della motivazione il ricorso tace, ponendo l'accento sull'inizio della movimentazione del carroponte allorchè il lavoratore G.G. si trovava ancora nell'area di lavoro, omettendo di confrontarsi compiutamente con la dinamica dell'infortunio consegnata dall'attività d'indagine al giudizio mediante rito abbreviato e trascurando l'orientamento interpretativo della Corte di legittimità, a mente del quale non può configurarsi un rischio «eccentrico», concretato dall'imprudenza del lavoratore e idoneo ad escludere il nesso di causa tra la condotta o l'omissione del datore di lavoro e l'infortunio, in caso di assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242; Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321).
3. Dal concetto di rischio la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261106) ha desunto altri due concetti:
- il concetto di garante come gestore del rischio: l'obbligo di proteggere il lavoratore dai rischi spetta a colui che riveste una determinata qualifica, che ha un determinato ruolo, che deve garantire l'integrità del lavoratore dai rischi che corre nello svolgimento delle sue mansioni;
- il concetto di area di rischio: è garante è colui che ha il potere di gestire un determinato rischio e, d'altro canto, risponde a condizione che l'infortunio possa ricondursi all'area del rischio che quel soggetto ha il potere di gestire.
3.1. I giudici di appello hanno replicato alla censura concernente l'asserita correttezza dell'operato del datore di lavoro precisando che il DVR, ove dunque il rischio di caduta di oggetti era stato previsto, indicava una procedura non idonea ad evitare il rischio di caduta dall'alto del tubo in relazione al reale stato dei luoghi, connotato dalla presenza di un segmento non protetto dell'area esterna alla lavorazione.
3.2. La motivazione va esente da rilievi, posto che rappresenta obbligo di diligenza del garante, oltre che prevedere il rischio, indicare nel DVR e, quindi, adottare misure appropriate a prevenirlo. Il datore di lavoro aveva individuato il rischio, tanto che aveva previsto una procedura secondo la quale il manovratore del carroponte avrebbe dovuto attendere la fuoriuscita del collega dall'area di distaffatura. Tuttavia essa era inadeguata in relazione alla conformazione dell'area di lavoro, considerato che, in ragione della movimentazione del tubo e delle sue caratteristiche, questo, t>Ve caduto, avrebbe potuto raggiungere anche l'area esterna alla recinzione, in corrispondenza del varco in essa presente. E ciò fonda adeguatamente la colpa. La redazione del documento di valutazione dei rischi e persino la previsione e l'adozione di misure di prevenzione non precludono il giudizio di responsabilità quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nella identificazione delle misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione.
4. L'applicazione del principio di colpevolezza esclude, poi, qualsivoglia automatico addebito di responsabilità a carico di chi ricopre la posizione di garante del rischio, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto di regole cautelari (generiche o specifiche) e della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire: l'individualizzazione della responsabilità penale impone, infatti, di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (ciò che si risolve nell'accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (generica o specifica) (ciò che si risolve nell'accertamento dell'elemento oggettivo della colpa), ma anche se l'autore della stessa (qui, il titolare della posizione di garanzia in ordine al rispetto della normativa precauzionale) potesse prevedere ex ante quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.
4.1. In quest'ottica, i giudici di merito (le argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado sono state integralmente riportate e fatte proprie dai giudici di appello) hanno ritenuto che la pericolosità dell'area in cui si è verificato l'infortunio fosse evidente e che fosse prevedibile che nel corso della distaffatura una parte della pesante struttura potesse cadere verso l'esterno attraverso l'unico segmento non protetto del perimetro, richiedendosi al datore di lavoro una, esigibile, condotta alternativa consistente nel delimitare la zona di lavorazione mediante una struttura priva di soluzioni di continuità e nell'assicurare il tubo di colata con un sistema idoneo a impedire che scivolasse al suolo. La sentenza impugnata ha, dunque, fatto corretta applicazione di tali principi, giacché, dopo aver chiaramente delineato la posizione di garanzia di P.M., nella qualità di datore di lavoro tenuto al rispetto di una serie di regole cautelari specifiche inerenti al rischio di caduta di oggetti e alla correlata pericolosità di determinate aree afferenti la lavorazione, ha individuato nella completa delimitazione dell'area di lavorazione, oltre che nell'approntamento di un sicuro metodo di aggancio del tubo di colata, il comportamento alternativo corretto che sarebbe stato esigibile, così fornendo con valutazione ex ante una motivazione coerente e logica all'affermata causalità della colpa, non censurabile in questa sede.
4.2. Ancorchè la condotta alternativa corretta, secondo i giudici di merito, fosse stata cristallizzata nelle misure di protezione adottate dalla società successivamente all'evento, non può condividersi l'assunto difensivo secondo il quale il giudizio a posteriori abbia in via assorbente sorretto l'affermazione di responsabilità dell'imputato.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen.