Ritenuto in fatto
1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 16 novembre 2016 confermava la condanna resa dal Tribunale cittadino nei confronti di G.G., CA.P.e V.C. quali responsabili del reato di omicidio colposo ai danni dell'operaio C.P., deceduto all'interno dell'impianto di betonaggio, reparto produzione B, dello stabilimento della Aset s.r.l. di Chivasso.
2. Per detto evento erano stati imputati, il G.G., quale amministratore delegato, legale rappresentante della Aset s.r.l. e datore di lavoro del C.P., il CA.P. quale direttore di stabilimento, il V.C. quale responsabile del servizio di protezione e prevenzione.
La contestazione attribuita ad ogni singolo imputato riguardava profili di colpa generica e precise violazioni della normativa antinfortunistica di cui al D.Lgs. n.81/2008 avendo gli stessi consentito, cooperando tra loro con condotte indipendenti, che il C.P. eseguisse operazioni di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento di un impianto di betonaggio, installato presso la Aset s.r.l., senza che, da parte del G.G., fosse stato redatto un DVR che individuasse i fattori di rischio connessi alle dette operazioni, necessarie prima dell'inizio di ogni ciclo di produzione di calcestruzzo e che comportavano l'ingresso di un lavoratore in zona ad alto rischio; disponendo e consentendo, il G.G. ed il CA.P., che tali operazioni avvenissero in un impianto privo di una bobina di sgancio di minima tensione, con tutto il circuito elettrico di sicurezza (compresi i pulsanti di emergenza per l'interruzione dell'alimentazione e gli interruttori di sicurezza) isolato dal resto dell'impianto ed assolutamente inservibile, mettendo quindi a disposizione del lavoratore un'attrezzatura che presentava rischi di contatto meccanico e non idonea ai fini della salvaguardia della salute e della sicurezza sul lavoro; ancora, senza aver predisposto, i medesimi due imputati, una procedura di verifica, anche periodica, dell'efficienza delle sicurezze dell'impianto elettrico, sicurezze che impedissero la rotazione degli alberi durante la presenza dell'addetto all'interno della vasca per le operazioni di lubrificazione. Al V.C., nella indicata qualità, veniva invece ascritta la omessa individuazione dei fattori di rischio con riferimento all'esecuzione quotidiana delle attività di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento del detto impianto, e di non aver contribuito all'elaborazione di un adeguato DVR da parte del datore di lavoro, attestando tra l'altro in data 23.3.2011 che il manuale di previsione dei rischi della Aset s.r.l. era regolarmente aggiornato.
Altri due imputati, e precisamente il preposto M. ed il C., Responsabile dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e addetto alla cabina di controllo dell'impianto, erano stati separatamente giudicati ed avevano definito la loro posizione con applicazione della pena ex art.444 c.p.p.
2. Il fatto è stato così ricostruito dai giudici di merito.
L'impianto di betonaggio, sopraelevato rispetto al piano terreno, ed accessibile tramite una scala, era formato da una vasca di miscelazione degli inerti, posta su di un soppalco, accessibile mediante l'apertura di un coperchio soprastante.
A distanza di circa un metro e mezzo dalla vasca era ubicata una cabina di controllo, nella quale si trovavano l'armadio contenente il quadro elettrico e, affianco, la consolle dei comandi munita di "funghi" per l'arresto in sicurezza dell'impianto.
Il processo produttivo prevedeva che quotidianamente i due alberi rotanti interni alla vasca venissero ingrassati tramite un pennello, in modo da impedire che sugli angoli si depositassero residui di calcestruzzo; terminato l'ingrassaggio, dalla cabina di comando, previa impostazione delle quantità di materiale necessario alla preparazione dello specifico composto richiesto dal cliente, veniva dato impulso all'impianto, di talché gli alberi cominciavano a ruotare ed a mescolare gli ingredienti.
Terminata la lavorazione, il calcestruzzo veniva scaricato tramite un'apertura inferiore di cui era dotata la vasca e seguiva poi un processo serale automatico di lavaggio, tramite un'idropulitrice, per eliminare i diversi detriti ed approntare la vasca per la produzione del giorno dopo.
2.1. Il C.P., operaio addetto alla manutenzione ordinaria della macchina, precedente l'inizio della lavorazione vera e propria, si era introdotto all'interno della vasca per lubrificare gli alberi, circostanza desunta dal fatto che all'interno di essa erano stati trovati un secchio di grasso ed un pennello, mentre alla consolle si trovava il collega C., che aveva evidentemente dato avvio all'impianto senza avvedersi della persona all'interno, nonostante la vicinanza della cabina alla betoniera: gli alberi avevano quindi iniziato la loro rotazione ed il C.P. era rimasto schiacciato tra gli stessi, senza che il C. riuscisse a fermare l'impianto.
3. All'esito del sopralluogo, lo Spresal aveva evidenziato numerose violazioni della normativa antinfortunistica: i dispositivi di sicurezza individuali non erano adeguati; il corpo era entrato in contatto con gli organi in movimento; la manutenzione dell'impianto doveva avvenire a macchina ferma; il documento di valutazione dei rischi non comprendeva i rischi connessi alla specifica mansione di ingrassaggio e, dunque, nulla dettava in termini di misure di sicurezza necessarie, né, tantomeno, prevedeva un periodico controllo sulla sicurezza dell'impianto, tali non potendosi ritenere i verbalini di ispezione per controllo qualità. Era quindi violato l'art.71 e relativi allegati al D.Lgs.n.81/08, essendo possibile l'avvicinamento del corpo ad un organo in movimento, quando, invece, gli organi mobili devono essere protetti contro il contatto accidentale oppure in condizioni di sicurezza tali da garantire l'incolumità dell'operatore.
Si era quindi appurato che responsabile del completo stand by di tutte le misure di sicurezza era la bobina di sgancio sita in un alloggiamento coperto, all'interno del quadro / comandi: tale bobina, che costituiva il "cervello" del sistema di sicurezza, era totalmente X-J mancante, probabilmente da tempo. Ciò aveva comportato che, nonostante la vasca fosse presumibilmente aperta perché il C.P. vi era entrato sollevando il coperchio, quando il C. aveva azionato l'impianto di accensione, le pale avevano iniziato a girare, in quanto nessun messaggio di circuito aperto, dovuto al coperchio alzato, poteva essere registrato da una bobina di sgancio, appunto mancante. Il C. ad un certo punto era riuscito ad arrestare la macchina.
4. Concludevano i giudici di merito che la non contestata assenza della bobina aveva svolto un'efficienza causale nell'infortunio: se la bobina ci fosse stata ed avesse funzionato l'incidente non si sarebbe verificato, in quanto l'impianto non si sarebbe azionato a coperchio della vasca aperto. Sarebbe stata quindi sufficiente la previsione di un periodico controllo per verificare il sistema delle sicurezze, come pure vietare l'ingresso in vasca dell'addetto, almeno senza un previo disarmo dell'impianto, ma nulla di tutto ciò era stato previsto e prescritto.
4.1. Passando ad esaminare le posizioni di garanzia del datore di lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione - odierni ricorrenti - la Corte territoriale, conformemente a quanto già argomentato dal Tribunale, rilevava che effettivamente il DVR non contemplava affatto l'operazione quotidiana di ingrassaggio delle pale, e nulla quindi specificava su come tale intervento dovesse essere realizzato, se dall'interno o dall'esterno della vasca, né con quali dotazioni di protezione individuale, né con quali norme di sicurezza rispetto all'accensione dell'impianto; nulla si diceva altresì riguardo alle operazioni di manutenzione straordinaria, che veniva per forza svolta dall'interno della vasca. Si trattava dunque di un documento palesemente e incontestatamente lacunoso. A tali lacune non suppliva il sistema di qualità, invocato a difesa quale parte integrante e complementare del DVR, in quanto volto ad una finalità diversa, quella cioè di garantire la realizzazione del prodotto nel rispetto degli standards di qualità e sicurezza, in favore dei clienti. In ogni caso le istruzioni operative, che componevano il manuale del Sistema Qualità, elencavano semplicemente le operazioni da compiere, ma non si soffermavano sulle modalità di esecuzione ed i connessi rischi - anzi era prevista una pericolosa accensione della betoniera prima dell'ingrassaggio delle pale - e comunque non erano integrative del DVR, non presentando i contenuti legislativamente previsti per tale documento.
4.2. Escludeva altresì la Corte di merito qualunque comportamento eccezionale o abnorme del C.P., interruttivo del nesso causale, atteso che dalla espletata istruttoria era risultato per nulla imprevedibile l'ingresso dell'operaio all'interno della vasca per le operazioni di ingrassaggio, che anzi avvenivano di frequente con quelle modalità.
In conclusione, stante la lacunosità del DVR e la sua incidenza causale nella produzione dell'infortunio - dato che se esso avesse previsto le modalità concrete di svolgimento delle operazioni di lubrificazione dall'esterno e con appositi dispositivi di protezione individuale, l'incidente non si sarebbe verificato - e considerata la non delegabilità del ruolo di valutazione dei rischi gravante sul datore di lavoro, era certa la responsabilità del G.G..
Sul punto, la impugnata sentenza evidenzia ancora la mancata previsione dello svolgimento della delicata mansione di lubrificazione dell'ingranaggio, e di un controllo periodico dei sistemi di sicurezza, gravante sul direttore di stabilimento e prima ancora sul datore di lavoro, data l'insufficienza delle schede di qualità, compilate dal M. per altre finalità: lo stesso preposto aveva del resto parlato di ispezioni su chiamata e principalmente visive, e dell'assenza di una manutenzione ordinaria e tantomeno di controllo periodico della sicurezza dell'impianto (n.4931 del 2013, dep. 31.1.2014).
Quanto alla posizione del V.C., si ribadiva che, "essendo quella di lubrificazione degli alberi un'operazione essenziale, quotidiana, delicata eppure non contemplata nel DVR e solo menzionata nelle istruzioni operative, sarebbe dovuto balzare agli occhi del RSPP una tale approssimazione. La pericolosità di tale operazione, legata al ciclo produttivo, era in re ipsa, consistendo nella manutenzione quotidiana di un organo potenzialmente in movimento. Il V.C. aveva rivisitato il DVR sei mesi prima dell'infortunio ed aveva rassicurato che le procedure erano le medesime e che nulla andasse aggiornato quanto alla valutazione dei rischi, né aveva segnalato che fosse mancante del tutto la parte relativa alla verifica dei sistemi antinfortunistici legati all'impianto di betonaggio, avendo proposto come suggerimenti solo dei corsi sulla sicurezza.
Riteneva, in definitiva, la Corte territoriale che il rischio inerente il compimento delle operazioni di lubrificazione/ingrassaggio degli alberi della vasca di mescolazione non fosse stato assolutamente previsto e dunque il DVR risultasse carente sul punto, così come conseguentemente non era stato in alcun modo valutato specificamente il rischio inerente l'eventuale contatto, anche accidentale, nell'esecuzione di tale operazione con le parti mobili.
Stante poi il carattere non delegabile dal datore di lavoro dell'obbligo di valutazione dei rischi inerenti l'attività aziendale, la collaborazione prestata dal RSPP nello svolgimento di tale attività e nell'individuazione delle misure atte a fronteggiare i rischi presenti in azienda, il G.G. avrebbe dovuto sottoporre il documento redatto dal professionista ad una approfondita analisi critica e ad una verifica circa la concreta individuazione e indicazione di tutte le situazioni di rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarle.
Di qui la pronuncia di condanna di entrambi gli imputati (oltre che del direttore di stabilimento CA.P. non ricorrente).
5. Il ricorso di G.G. è affidato a tre motivi.
5.1. Con il primo motivo si insiste nell'incompetenza del Giudice monocratico del Tribunale di Torino, in luogo del Tribunale di Ivrea, eccezione tempestivamente sollevata davanti al giudice di primo grado e respinta con ordinanza in data 25 novembre 2013, impugnata anch'essa con l'atto di appello. Sostiene il ricorrente che in base alla corretta interpretazione del decreto "Severino" n.155/2012 di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e della tabella A ad esso allegata, era divenuto territorialmente competente il Tribunale di Ivrea per i fatti consumati a Chivasso, con decorrenza dal 13 settembre 2013. Ciò imponeva al G.I.P., quando aveva pronunciato il decreto ex art.429 c.p.p. il 20 maggio 2013, di fissare la citazione degli imputati, successiva al 13 settembre 2013, dinanzi al Tribunale di Ivrea e non di Torino, come invece avvenuto. Rileva che quando era stato emesso il decreto che disponeva il giudizio non era stato ancora emanato il decreto del Presidente del Tribunale di Torino n.62/2013, pubblicato il giorno 1 agosto
2013, che aveva disposto la prosecuzione davanti al Tribunale di Torino dei procedimenti pendenti davanti alle Sezioni di Ciriè e di Chivasso, pur entrando il territorio di tali Sezioni distaccate a far parte del circondario del Tribunale di Ivrea, e che per procedimenti pendenti doveva aversi riguardo al momento dell'irretrattabile esercizio dell'azione penale, momento che si identifica con l'emissione del decreto di citazione a giudizio. La difesa aveva obiettato che il decreto del Presidente del Tribunale di Torino contrastava con il chiaro disposto dell'art.9, comma 1, del decreto Severino, che imponeva che le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l'entrata in vigore del decreto medesimo (12 settembre 2012) e la data di efficacia stabilita dall'art. 11, comma 2 (13 settembre 2013), fossero tenute presso i medesimi uffici, mentre quelle fissate per una data successiva dinanzi all'ufficio competente a norma dell'art.2, e dunque la questione della pendenza o meno del procedimento dinanzi alla Sezione distaccata non doveva neppure porsi. La Corte d'Appello, nel rigettare l'eccezione di incompetenza, aveva risolto il dubbio interpretativo richiamando una pronuncia della Corte di legittimità in base alla quale dovevano considerarsi già pendenti davanti al Tribunale che costituisce sede principale, i procedimenti penali relativi a notizie di reato acquisite o pervenute presso gli uffici del P.M. presso di esso entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del d.lgs.n.155 del 2012, come chiarito dalla disposizione interpretativa contenuta nell'art.8 del d.lgs.19 febbraio 2014, n.14. Il ricorrente censura tale interpretazione insistendo nel sostenere che per tutti i processi per i quali la notizia di reato era pervenuta agli uffici della Procura della Repubblica della sede principale del Tribunale prima del 13 settembre 2013, ma per cui vi fosse udienza fissata in data successiva, doveva essere applicato inderogabilmente l'art.9, comma 1, del decreto Severino e dunque la competenza fissata a norma dell'art.2, nel nostro caso presso il Tribunale di Ivrea.
5.2. Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale in tema di colpa del datore di lavoro per il caso di insufficienza di analisi e di carenza di indicazioni di procedure idonee a prevenire il rischio contenute nel documento di valutazione; manifesta illogicità della sentenza in punto attribuzione della responsabilità al datore di lavoro. Osserva che, con riferimento all'impianto di produzione di calcestruzzo, era emersa una insufficienza di formalizzazione in merito alle procedure di ordinaria manutenzione dell'impianto per quanto riguarda l'attività di lubrificazione ed ingrassaggio preventiva di alcuni organi mobili, la cui carenza è stata posta dalla Corte territoriale in relazione causale con il decesso del lavoratore. Tuttavia, rileva che al G.G. erano attribuite funzioni di natura commerciale e di stretta amministrazione, svolte in una sede diversa da quella in cui avveniva la produzione, e proprio per tale ragione egli era coadiuvato da una organizzazione aziendale che faceva capo al direttore di stabilimento CA.P. ed al preposto M., cui erano attribuite specifiche mansioni di manutenzione dei macchinari e produzione, entrambi ritenuti responsabili dell'illecito in contestazione. L'adeguatezza delle procedure di manutenzione dell'impianto, di quelle atte a prevenire il rischio di infortuni, nonché la rispondenza alla normativa tecnica di prevenzione antinfortunistica dell'impianto stesso costituivano materia altamente tecnica, alla cui conoscenza era stato deputato il responsabile della prevenzione, alle cui valutazioni si era positivamente attenuto il datore di lavoro. L'affermazione contenuta in senza circa il fatto che il datore di lavoro avrebbe dovuto sottoporre il documento di valutazione dei rischi redatto dal professionista, tecnicamente competente, ad una analisi critica e verifica circa la concreta individuazione di tutte le situazioni di rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarle, costituiva una motivazione carente e non convincente della responsabilità personale dell'imputato, nel contesto di un'allargata affermazione di responsabilità estesa a diversi soggetti operanti a vario livello all'Interno dell'azienda.
5.3. Il terzo motivo attiene alla mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di erronea affermazione di responsabilità penale del G.G., che doveva essere assolto per difetto di elemento soggettivo, posto che non era prevedibile per il datore di lavoro l'evento verificatosi nell'impianto di betonaggio Lorev perché non prevedibili ed eccezionali erano state sia la condotta di chi aveva azionato l'impianto (C.), sia del manutentore, ed inoltre perché non gravava sul medesimo la posizione di garante del rischio occorso durante la lavorazione di manutenzione dell'impianto di betonaggio, posto che l'operazione era soggetta al controllo in primis del preposto e ASPP M., cui in ogni caso era sovraordinato il direttore di stabilimento Ing. CA.P.. Richiama una recente sentenza di questa Corte (Sez.4, n. 37738 del 13/9/2013), che ha definito chiaramente la latitudine delle diverse posizioni di garanzia evocabili nelle organizzazioni complesse, quale era la Aset all'epoca del fatto, e porterebbe alla conclusione della non ascrivibilità al datore di lavoro dell'infortunio mortale, verificatosi nella fase esecutiva della lavorazione e non derivato da scelte gestionali di fondo.
6. Il ricorso di V.C. consta di un solo motivo, con il quale si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt.40 cpv., 589 c.p. e degli artt.17, 28 e 29 del D.Lgs.n.81/2008, nonché manifesta carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alle doglianze dedotte con l'atto di appello. Osserva che nei motivi di gravame era stato ampiamente argomentato circa la completezza del documento di valutazione del rischio redatto dall'imputato ed, in particolare, in ordine alle misure ivi previste per evitare la realizzazione di eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. Il documento di valutazione del rischio indicava, nell'integrativo manuale della "Qualità", l'esistenza di schede - denominate "di ispezione settimanale" e "ispezione visiva giornaliera", affisse sopra la consolle dei comandi della mescolatrice, - aventi la precisa funzione di realizzare un controllo dei sistemi antinfortunistici e di segnalare malfunzionamenti in genere. Nel caso in esame nulla era stato segnalato dal preposto M. nella scheda di ispezione settimanale e nemmeno in quelle visive giornaliere. Secondo la tesi difensiva sviluppata dal ricorrente, la compilazione di tali schede, facenti parte del sistema integrato qualità/sicurezza della ASET, avrebbe certamente impedito, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'evento mortale, atteso che, in presenza di un sistema con sicurezze totalmente disabilitate, solo una previa verifica circa il suo corretto funzionamento avrebbe evitato l'evento morte ed interrotto dunque il nesso causale. La Corte di Appello, condividendo quanto già espresso dal Tribunale, aveva disatteso la prospettazione difensiva, limitandosi ad affermare che le schede di controllo servivano unicamente a garantire standard di qualità nel calcestruzzo fornito alle ferrovie dello stato e dunque il richiamo ad esse, contenuto nell'aggiornamento del DVR, non costituiva adempimento al dovere imposto dagli artt.12, 28 e 28 D.lgs.n.81/2008. Con tale assunto i giudici di merito, si erano discostati sia da quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità circa i compiti attribuiti al responsabile del servizio di protezione e prevenzione, inoltre avevano ignorato la disciplina tecnica della norma OHSAS 18100 emanata dal British Standard Institution nel 1999 che identifica uno standard internazionale della sicurezza e della salute dei lavoratori, "sviluppato coerentemente con gli standard ISO 9001 e ISO 14001 allo scopo di facilitare l'integrazione dei sistemi di qualità, ambiente e sicurezza, come auspicabile", così come avevano ignorato la normativa in materia di qualità regolata dalla norma ISO 9001 che afferma che "Le varie parti dei sistemi di gestione di un'organizzazione possono essere integrate, assieme al sistema di gestione per la qualità, in un unico sistema di gestione, utilizzando elementi comuni", auspicando quindi l'integrazione tra il sistema di qualità e quello relativo alla sicurezza.
Di qui l'esclusione di ogni sua responsabilità rispetto all'evento a giudizio, avendo egli adempiuto ai doveri insiti nella sua posizione di garanzia.