Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza, emessa all'esito di giudizio ordinario, dal Tribunale di Firenze che ha ritenuto A.R. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. perché, quale dirigente con delega agli "interventi ed adeguamenti strutturali, manutenzione di uffici e impianti" per il Centro Meccanizzazione Postale (CMP) di Sesto Fiorentino delle POSTE ITALIANE Spa, cagionava al dipendente M.C. lesioni personali gravi, consistenti in frattura pluriframmentaria alla gamba destra guarita in 387 giorni.
2. Intorno alle 17 del 14/05/2012, M.C., all'epoca dipendente delle POSTE ITALIANE, Impiegato nel reparto "ricevimento/invio", con la mansione di addetto allo scarico e al carico delle merci, si trovava sotto la pensilina in corrispondenza della banchina di carico e stava provvedendo al carico di "roller" (carrelli con struttura "a gabbia", contenenti plichi da recapitare) su un camion, quando, tirando all'indietro uno dei carrelli e non essendosi accorto della fine della banchina, cadeva all'indietro, finendo sul piazzale sottostante. Il carrello, bloccato dalle cinghie, non cadeva sul lavoratore ma ne investiva le gambe.
All'epoca dei fatti, l'imputato rivestiva l'incarico di responsabile dell'area Centro 1, con delega conferita per assicurare la rispondenza dei luoghi di lavoro alle disposizioni normative vigenti, con poteri di spesa nell'ambito del budget approvato annualmente dall'azienda.
3. I Giudici del merito hanno ritenuto sussistere il profilo di colpa contestato e ravvisato nella violazione, da parte dell'imputato, degli artt. 63 comma 1 e 64 comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008, non avendo garantito che la banchina di carico fosse tale da assicurare i lavoratori dal rischio di caduta, in particolare non avendola dotata di barriere di protezione. Il primo Giudice aveva osservato che, indipendentemente dalla condotta non ortodossa della persona offesa, vi era un concreto rischio di caduta dal bordo della banchina, assai prossimo allo spazio di manovra a disposizione, in considerazione della configurazione dei luoghi, del tipo di manovra da compiere col carrello, del peso delle merci, della limitatezza dello spazio a disposizione. L'eventuale distrazione del lavoratore non poteva esimere da colpa l'imputato.
4. Avverso la sentenza di appello l'imputato, a mezzo del difensore, ricorre per cassazione, articolando tre motivi. Con il primo, deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione, risultante dai verbali delle dichiarazioni testimoniali acquisite, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un nesso causale tra l'asserita violazione di regole cautelari e l'evento lesivo. La sentenza impugnata utilizza un unico dato probatorio, costituito dalle dichiarazioni del teste C., le quali non erano state affatto valutate dalla sentenza di primo grado e, comunque, erano state contraddette da altre dichiarazioni testimoniali quanto alla ricostruzione del fatto storico, del tutto diversa da quella ritenuta in sentenza. Nell'assumere quale unico riferimento probatorio la testimonianza del C., la Corte di appello considera la situazione che solitamente si verificava durante le operazioni di carico su quella banchina e non la reale situazione nel momento in cui l'infortunio si è verificato. La caduta del M.C., diversamente da quanto assume il teste C., si è verificata quando la banchina era ormai del tutto sgombra, visto che la persona offesa stava movimentando l'ultimo dei carrelli da caricare sui furgoni postali, circostanza confermata dal teste B.. Questi, nella sua deposizione, aveva evidenziato che la responsabilità ricadeva unicamente sul lavoratore infortunato che aveva sbagliato nell'andare indietro. Quanto all'affermazione resa dal teste C. secondo cui egli stesso ed altri colleghi avevano fatto presente al datore di lavoro, tramite i rappresentanti sindacali, il rischio, essa costituisce palese travisamento della prova da parte della Corte di appello giacché il C. non ha detto di aver portato all'attenzione del datore di lavoro la situazione di rischio né, in conseguenza, ha ricevuto dallo stesso l'invito ad usare la massima attenzione nel muoversi su quella banchina. Con il secondo motivo, si eccepisce l'erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., nonché degli artt. 63 e 64 e dell'Allegato IV, punti 1.3.13 e 1.3.14 del d.lgs. 81/2008, con riferimento all'individuazione dell'omessa installazione delle barriere protettive sui bordi della banchina quale causa dell'evento che si è verificato. Diversamente da quanto assunto nelle sentenze di merito, il combinato disposto dei punti 1.3.13 e 1.3.14 del d.lgs. 81/2008 prevede unicamente che le banchine di carico debbano "offrire una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possano cadere", atteso che laddove il citato decreto reputi unica misura idonea ad eliminare o mitigare il rischio di caduta l'installazione di balaustre lo contempla esplicitamente. Una "banchina di carico" come quella su cui si è verificato l'infortunio occorso non è altro che una particolare specie di luogo di lavoro rientrante nel più ampio genere dei "piani di caricamento", per i quali la norma prevede l'installazione "su tutti i lati aperti" soltanto se l'altezza è superiore ai 2 metri. Nel caso in esame, l'altezza era inferiore. Peraltro, anche se apposte, le balaustre non avrebbero evitato la caduta del lavoratore. Il dibattimento ha consentito di accertare l'adozione di una puntuale procedura aziendale in tema di movimentazione dei carrelli postali, la formazione dei dipendenti (inclusa la persona offesa), la dotazione di attrezzature di sicurezza. Ciò vale di per sé ad escludere la sussistenza di qualsiasi omissione penalmente rilevante ai sensi dell'art. 40, comma 2, cod. pen. In ogni caso, la condotta posta in essere dalla persona offesa ha interrotto il nesso causale. Sono le stesse dichiarazioni del teste B. a qualificare come assolutamente "esorbitante" ed abnorme il comportamento dell'infortunato. Con il terzo motivo, si lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'esatta individuazione dell'area di rischio di cui l'imputato poteva considerarsi gestore, in considerazione della concreta posizione dallo stesso rivestita nell'ambito della struttura organizzativa della società e del tenore della delega conferitagli dal datore di lavoro. I Giudici si sono limitati a tener conto della delega senza considerare che il suo reale contenuto andava ricavato dagli ulteriori elementi acquisiti. Il riferimento è, in particolare, alla valutazione espressa dall'ispettore della ASL, Alessio F., il quale ricordando gli esiti degli accertamenti svolti quale ufficiale di polizia giudiziaria delegato alle indagini, ha attribuito esclusivamente al datore di lavoro, dott. Capra e alla dirigente da questi delegata, dott.ssa Carcione [coimputata non appellante], le omissioni dallo stesso reputate penalmente rilevanti. La delega conferita all'ing. A.R. gli attribuiva di attuare, da una parte, gli interventi indicati nel Piano annuale stabilito dal datore di lavoro, dall'altra, gli ulteriori interventi richiesti dal datore di lavoro o dai dirigenti.