Considerato in diritto
1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato oltre che ripetitivo di una doglianza contenuta nei motivi di appello cui la Corte territoriale ha dato congrua risposta a fol 6 e 7. Sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa formulata quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, di fronte - senza avere avuto alcuna possibilità di difesa - ad un fatto del tutto nuovo (Sez. 3, n. 9916 del 12/11/2009, Rv.246226; Sez. 3, n. 818 del 6/12/2005, Rv.233257; Sez.6, n.21094 del 25/02/2004, Rv. 229021; Sez. 3, n. 3471 del 9/02/2000, Rv. 216454; Sez. 4, n. 9523 del 18/09/1997, Rv.208784;Sez. 6, n. 10362 del 30/09/1997, Rv.208872). Il fatto, di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., va poi definito come l'accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Per fatto diverso deve, perciò, intendersi un dato empirico, fenomenico, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta, lo schema legale nel quale collocare quell'episodio della vita umana (Sez. 1, n. 28877 del 4/06/2013, Rv. 256785; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Rv. 205619). La violazione del suddetto principio postula, quindi, una modificazione - nei suoi elementi essenziali - del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana, originariamente contestato. Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza quando vi sia stata un'immutazione tale da determinare uno stravolgimento dell'imputazione originaria (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Con riferimento ai reati colposi, po i è stato dal giudice di legittimità affermato che, ove siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa rispetto ai profili contestati nell'originaria imputazione, non determina alcuna immutazione del fatto, e dunque nessuna modifica della stessa ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c. p. p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice. Ciò perché il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata, sicché egli è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell'evento di cui è chiamato a rispondere in ragione della posizione di garanzia allo stesso riconosciuta.
1.1. Orbene, nel caso di specie, la connotazione specifica del fatto, contestato anche sotto il profilo generico della "negligenza", è rimasta del tutto inalterata, e con riferimento ad esso, rimasto immutato, l'odierno ricorrente ha certo avuto la possibilità di esercitare proficuamente il proprio diritto di difesa, essendo state chiaramente enucleate le responsabilità di chi quale titolare della posizione di garanzia aveva effettuato anche una grave sottovalutazione del rischio concreto e non aveva previsto una corretto e doveroso sistema di protezione e sicurezza nel documento di valutazione dei rischi prevedendo un sistema di bloccaggio del macchinario autonomo e non rimesso alla diligente iniziativa del singolo lavoratore che poteva come nel caso di specie rimanere vittima eventualmente anche della sua stessa imprudenza.
2. Il secondo motivo è infondato. Va osservato che questa Corte anche con pronunce a Sezioni unite ( Sez.U n.1 del 1996 rv 203096; Sez.1 n.2809 del 18.02.1998 rv 210039;Sez.6 n.40625 dell0S.10.2009 rv.245288) ha più volte ribadito che l'effetto devolutivo dell'appello è connesso ai punti della decisione non alle questioni che vi si dibattono; per regola generale al giudice di appello è attribuita la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione impugnata ai quali si riferiscono i motivi proposti, non è certo inibito al giudice, nell'ambito di quel punto, assumere decisioni che vanno al di là di quanto richiesto nei motivi stessi. Ed entro il limite suddetto il giudice della cognizione di appello non incontra riduzioni alla radice. Nel caso di specie è stato devoluto al giudice di appello il tema della responsabilità per colpa, un punto autonomo e complessivo nel cui ambito rientrano certamente i tutti i vari profili connessi alla posizione di garanzia, alla efficacia della delega, alla violazione delle misure di sicurezza e di prevenzione degli infortuni sul lavoro, al nesso di causa. Come già affermato da questa Corte nell'ambito del giudizio sulla responsabilità per reato colposo il giudice di appello ha il potere dovere di indagare su tutti gli elementi di colpa contestati al prevenuto compresi quelli sui quali il precedente giudizio era stato a lui favorevole dovendo considerarsi gli accertamenti relativi a detti elementi attinenti a profili particolari della condotta dell'agente come argomentazione logica e non punti autonomi della decisione (Sez. 4 del 25.10.2007 n.47158 ).
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato oltre che ripetitivo della doglianza esposta in appello cui la Corte territoriale ha dato ampia ed esauriente risposta da fol 9 a14.
La Corte territoriale facendo corretta applicazione dei principi più volte affermati in sede di legittimità in tema di delega di funzioni in materia di compiti antinfortunistici da parte del datore di lavoro ha evidenziato che, nel caso concreto, l'atto è intestato formalmente "procura speciale", ha un ambito squisitamente produttivo/organizzativo in favore del Direttore di produzione-divisione pannelli e divisione colla, chiamato ad una personale responsabilità di gestione e manutenzione con riguardo ai processi tecnologici organizzativi e alle risorse umane. In aggiunta, al procuratore speciale era affidato il compito di porre in atto le politiche aziendali relative alla sicurezza predisposte dal Consigliere delegato, cioè il B.T., ponendo in esser una serie di attività esecutive, elencate a fol 11, quali l'attività di monitoraggio, di osservazione, di vigilanza, segnalazione e suggerimento che sono palesemente di supporto al datore di lavoro che però non si spoglia delle proprie responsabilità. Mancava, osserva correttamente la Corte territoriale il requisito dell'autonomia decisionale e organizzativa del delegato il quale, invece, nel caso di specie poteva solo proporre interventi per il mantenimento e il miglioramento della sicurezza.
4. Il quarto e il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati, al limite della inammissibilità, anche perchè ripropongono censure sostanzialmente già oggetto dei motivi di appello e ritenute infondate in maniera esaustiva dal giudice del gravame e presentano un difetto palese di correlazione e critica argomentativa con le ragioni esplicitate nella sentenza impugnata ( Sez. 6 n.203777 del 11.03.2009 rv 243838).
La Corte territoriale ha articolato, con dovizia di argomenti fattuali logico-giuridici, una diffusa ricostruzione degli accadimenti, ricavata anche dalla dettagliata analisi del giudice di primo grado, individuando i seguenti puntuali addebiti di carattere omissivo: -non avere il datore di lavoro approntato tutta una serie di accorgimenti, previsti dalla normativa antinfortunistica in particolare dall'art. 70 comma 2 e 71 comma 1 in riferimento allegato V part I punto 6.1 e 6.3. del T.U 81/2008 che imponevano la predisposizione di dispositivi di sicurezza che impedissero il movimento delle lame nel caso di avvicinamento dell'operatore al macchinario, una volta aperta la porta presente su una delle barriere perimetrali; -non avere altresì previsto adeguatamente la grave situazione di rischio nel DVR, a fronte di una prassi operativa che consentiva l'accesso all'area circostante il macchinario, da parte di ciascun operatore, attraverso una porta, la cui chiave era di norma inserita nella toppa o comunque a disposizione in loco; formalizzata e controllata non avere previsto una procedura di sicurezza adeguatamente per l'accesso all'interno della gabbia che circondava il macchinario che garantisse l'interruzione dell'alimentazione elettrica prima di procedere alla operazioni di pulizia. Ciò, ribadisce la Corte territoriale, a fronte di una illimitata possibilità di accesso all'area di azione della sega circolare in relazione alla necessità di ripulitura al termine di ogni turno di lavorazione e comunque ad una frequenza di accessi alta che concretizzava un grave e specifico rischio con una evidente pericolosità la cui evitabilità era rimessa sostanzialmente solo alla diligente osservanza da parte del singolo operatore di una procedura non codificata, limitata alla predisposizione della modalità manuale ( fol 17).
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.