Ritenuto in fatto
l. La Corte di appello di Venezia il 6 ottobre 2016 ha integralmente confermato la sentenza emessa all'esito del dibattimento il 19 novembre 2014 dal Tribunale di Vicenza, sentenza con la quale L.B., socio accomandatario della s.a.s. F.A.B. (poi divenuta s.r.l. F.A.B.) è stato riconosciuto responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti della dipendente B.T., e la società s.a.s. F.A.B. (poi divenuta, appunto, s.r.l. FA.B.) ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, fatti commessi il 14 ottobre 2010, con condanna alla pena stimata di giustizia.
2.1 fatti sono stati così ricostruiti dai giudici di merito.
La ditta F.A.B. svolge attività di lavorazione e fusione di articoli in alluminio a mezzo pressofusione, stampatura e trinciatura. Gestisce, quindi, una fonderia, all'interno della quale lavorava - anche - B.T., addetta alla sabbiatura, sbavatura e tranciatura dei pezzi. Nel momento in cui è accaduto l'infortunio, il 14 ottobre 2010, la donna prendeva da un cassone i pezzi da tranciare e li collocava nella pressa: terminata l'operazione, riaperta la porta del macchinario, stava riprendendo i pezzi ma, all'improvviso, si è staccato dal punzone un pezzo dello stampo, che le è caduto dall'alto sulla mano sinistra, provocandole serie lesioni (malattia di durata superiore a quaranta giorni e indebolimento permanente dell'organo della prensione). Gli stampi venivano sempre cambiati, a seconda dei pezzi da produrre (ad es., forchette, cucchiai) ed erano forniti di volta in volta dai vari clienti che commissionavano la realizzazione degli oggetti.
Al datore di lavoro è stato addebitato di non avere adottato idonee misure per garantire la corretta installazione e manutenzione nel tempo dei requisiti di sicurezza degli stampi applicati alla pressa che adoperava la dipendente, in violazione, dunque, dell'art. 71, comma 4, lett. a), d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
3. Ricorrono per la cassazione della sentenza sia l'imputato L.B. sia la società F.A.B., tramite distinti ricorsi affidati a diversi difensori, ricorsi ai quali sono allegati estratti di verbali di udienza e documentazione.
4. L.B. (con l'avv. OMISSIS, del Foro di Vicenza) si affida a tre motivi, con i quali denunzia violazione di legge (tutti i motivi) e difetto motivazionale (il secondo ed il terzo motivo).
4.1. Con il primo motivo, in particolare, lamenta inosservanza e/o erronea applicazione di norme di legge (arti. 24 Cost. e 533 cod. proc. pen.), avendo la Corte territoriale fondato la condanna dell'Imputato su una sua presunta mancanza di collaborazione all'attività di indagine, così violando il principio compendiato nel brocardo "nemo tenetur se detegere".
La circostanza, che si legge nella sentenza impugnata, che l'impossibilità di venire a conoscenza dei dati relativi al costruttore dello stampo ha reso impossibile la verifica sul rispetto delle procedure e che tale fatto è risultato sicuramente addebitabile all'imputato, che ha posto in essere un comportamento di occultamento (pp. 2-3 della sentenza impugnata), contrasterebbe con i principi fondanti il codice di rito penale, che esclude che l'imputato abbia l'obbligo di collaborare all'attività di indagine e di auto-accusarsi e che prevede l'adozione di sentenza di condanna soltanto "oltre ogni ragionevole dubbio".
4.2. Mediante il secondo motivo critica promiscuamente violazione di legge (artt. 191, 354 e 356 cod. proc. pen. e 114 e 220 disp. attuaz. cod. proc. pen.) e mancanza di motivazione, anche sotto il profilo di omissione di pronunzia circa il rigetto di uno specifico motivo di impugnazione: in particolare, la Corte di appello non ha risposto al quinto motivo di appello, con il quale si deduceva la inutilizzabilità dell'esito degli accertamenti degli ispettori S.P.I.S.A.L. (acronimo di Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro) della A.S.L.
Essendo, infatti, gli ispettori intervenuti nell'azienda dopo l'infortunio, quando cioè una compiuta notizia di reato era sorta, gli stessi avrebbero dovuto procedere applicando le regole del codice di procedura penale, che, invece, avrebbero "calpestato" (così alla p. 4 del ricorso), in particolare non dando gli avvisi di legge; così come sono state dagli stessi trascurate le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, che impongono la redazione di verbale.
Inoltre i giudici di merito hanno trascurato che il consulente di parte privata, ing. C.A., ha avuto accesso all'azienda ed ha visionato lo stampo, dichiarando di averlo trovati integro e di avere fotografato, spiegando perché lo stampo non debba essere provvisto di libretto di istruzioni, uso e manutenzione e perché non sia oggetto alla c.d. direttiva macchine. Avendo evidenziato tali aspetti nel terzo motivo di appello, lamenta il ricorrente non avere la Corte di appello fornito alcuna risposta.
4.3. Infine, con il terzo motivo il ricorrente si duole ulteriormente di violazione di legge (artt. 40 e 43 cod. pen. e 192 e 546 cod. proc. pen.) e di difetto di motivazione, anche sotto il profilo della omissione di pronunzia in relazione a tre specifici motivi di appello.
In particolare, la Corte di merito non avrebbe accertato il nesso di causa, essendo rimaste del tutto ignote le cause del distacco dello stampo, avendo addebitato ad un atteggiamento stimato sleale dell'imputato l'impossibilità di visionare lo stampo, stampo che si è ritenuto in sostanza essere stato tenuto nascosto perché vi era, ma in base ad una mera supposizione sfornita di prove, qualcosa di irregolare da celare.
Peraltro, si sottolinea che nel corso dell'istruttoria era emerso che i dipendenti A.B. e V.B. - attrezzisti - erano stati incaricati dall'imputato di una procedura operativa, consistente nello smontare ed ispezionare attentamente lo stampo prima di affidare la macchina al lavoratore, procedura che, ove fosse stata puntualmente seguita, avrebbe evitato eventi del tipo di quello che si è verificato. In conseguenza, la causa dell'infortunio sarebbe da ricondurre ad un comportamento posto in essere dagli attrezzisti, forse in un fissaggio non sufficiente dello stesso, come ipotizzato da un ispettore della A.S.L. nel verbale del 13 dicembre 2013 (che si allega).
Tali considerazioni, analiticamente svolte nel primo, secondo e quarto motivo di appello, non sono state tenute in considerazione dai giudici di merito, che - si sottolinea - non vi hanno accennato nemmeno al fine di confutarle.
Oltre alla mancata dimostrazione del nesso di causalità, difetterebbe la prova della causalità della colpa, cioè che l'evento in concreto verificatosi rientri proprio tra quelli che la norma mirava a impedire, così che il comportamento alternativo lecito avrebbe avuto certa o probabile efficacia impeditiva.
Infine, difetterebbe la individuazione di una regola cautelare violata, in quanto «I giudici di secondo grado hanno ritenuto sic et simpliciter che il sig. L.B. abbia violato un obbligo di collaborazione, ma è di tutta evidenza che tale obbligo (oltre che insussistente) non ha alcuna portata cautelare ed è del tutto indifferente rispetto all'evento per cui è processo. La Corte d'appello aveva l'onere di chiarire che cosa il sig. L.B. avrebbe dovuto fare per evitare l'evento; invece non l'ha fatto. Di qui un palese vizio di omessa motivazione ed una altrettanto palese violazione degli artt. 40 e 43 c.p.» (così alla p. 9 del ricorso).
5. La soc. F.A.B. (avv. OMISSIS del Foro di Vicenza) si affida e tre motivi con cui censura violazione di legge (tutti) e difetto motivazionale (il terzo).
5.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge (artt. 25-septies, 69 e 71 del d. Lgs. n. 231 del 2001), per avere - illegittimamente ed erroneamente - la Corte di appello ritenuto sussistente un reato presupposto rispetto alla responsabilità dell'ente, mentre, in realtà, il responsabile dell'ente non lo ha commesso. Gli argomenti svolti sullo specifico punto sono i medesimi spesi nella difesa della persona fisica di L.B. (sintetizzati ai punti nn. 4.1., 4.2. e 4.3. del "ritenuto in fatto")
5.2. Mediante il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 5 69 e 71 del d. lgs. n. 231 del 2001, per avere la Corte di appello, omettendo di valutare le risultanze istruttorie nel loro complesso, ritenuto sussistente un interesse dell'ente alla commissione del reato-presupposto, in particolare sotto il profilo di una più celere e più proficua lavorazione, interesse che invece, ad avviso della difesa, non sussiste.
La Corte di merito avrebbe del tutto trascurato le emergenze istruttorie secondo cui lo stampo non doveva essere accompagnato da documentazione, non vi è prova che lo stampo non fosse a norma ed era stata prevista ed attuata una proceduta operativa idonea a prevenire eventi del tipo di quello in concreto verificato (si richiama e si allega il contributo dei testi - attrezzisti A.B. e V.B.), emergenze di cui non si sarebbe dato atto.
Inoltre, «nel corso del dibattimento di primo grado è stato [...] dimostrato che le macchine in dotazione in azienda erano tutte marcate CE; che esse erano oggetto di costante monitoraggio e controllo, oltre che di manutenzione periodica; che i lavoratori erano stati adeguatamente informati, formati ed addestrati; che dunque la politica aziendale era orientata a garantire [...] la sicurezza dei lavoratori. Sicché nel caso di specie non vi è prova (rectius, la motivazione dalla Corte di appello non dà conto dell'esistenza) di quella "tensione finalistica al risparmio di spesa" che, secondo la giurisprudenza più recente, deve caratterizzare il requisito dell' "interesse" nell'ambito dei reati colposi» (così alle pp. 7-8 del ricorso).
5.3. Con il terzo motivo, infine, la società F.A.B. lamenta ancora violazione di legge (arti. 6, 69 e 71 del d. lgs. n. 231 del 2001) e difetto motivazionale, specialmente quanto all'asserita omissione di pronunzia in relazione al terzo motivo di appello, con il quale si era argomentato e provato che la società incolpata, prima del verificarsi dell'infortunio, si era dotata efficacemente di un modello organizzativo conforme agli artt. 6 e 30 del d.lgs. n. 231 del 2001 ed idoneo ad impedire il verificarsi di eventi del tipo di quello in concreto realizzatisi.
La Corte di appello, in conseguenza, avrebbe dovuto escludere la responsabilità dell'ente ex art. 66 d. lgs. n. 231 del 2001 ovvero, in subordine, almeno motivare circa la inidoneità del modello e sulla presenza o meno di una sua elusione fraudolenta ex art. 6, comma 1, d. lgs. n. 231 del 2001.