Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Tutti e tre i motivi di ricorso esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni della decisione. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre [Sez. U., sent. n. 930 del 13/12/1995, (dep. il 29/01/1996), Clarke, Rv. 203430) cui la giurisprudenza successiva delle sezioni semplici si è uniformata.
3. Ciò premesso, si rileva che la sentenza di appello si appalesa congrua, adeguatamente motivata, del tutto immune dalle sollevate doglianze. La sentenza ricorda che l'esistenza del perno centrale era stata dichiarata dall'operaio infortunato che, pur avendo il dubbio che esso fosse ancora presente, era certo che esistesse in passato; dal teste C. che aveva montato la macchina, dotata del perno, nell'officina del U.T. alla fine del 2008, e dai testi P. e Co.. La Corte di appello ha reputato provato che: l'infortunio si era verificato per l'assenza del perno o di un qualunque meccanismo che impedisse alle due ante di protezione di scorrere lasciando così scoperta la mola nel corso della lavorazione; il perno in questione esisteva al momento dell'acquisto e della installazione del macchinario che, in ragione della velocizzazione del lavoro, era stato successivamente modificato dal datore di lavoro o da altri dipendenti i quali avevano senza dubbio agito o con il suo assenso o a sua insaputa, approfittando della sua negligenza nel controllare lo svolgimento del lavoro e nel rispettare le norme di sicurezza; la manovra del lavoratore infortunato era resa possibile proprio dalla mancanza del dispositivo di sicurezza in origine presente sul macchinario. Correttamente la Corte distrettuale concludeva che era stata raggiunta la prova che la rettificatrice era stata modificata «dopo il suo acquisto, dal datore di lavoro o da altri dipendenti che hanno senza dubbio agito o con il suo assenso o, se a sua insaputa, approfittando della sua negligenza nel controllare lo svolgimento del lavoro e il rispetto delle più elementari norme di sicurezza». Né risulta che l'imputato avesse ben informato il soggetto addetto alla macchina della necessità di quel sistema di protezione e della estrema pericolosità di una sua alterazione. Con ragionamento altrettanto congruo, la Corte fiorentina, in adesione alle osservazioni del giudice di primo grado, ha sottolineato che il U.T. sarebbe ugualmente responsabile anche se avesse acquistato la macchina priva di dispositivo di sicurezza perché le norme antinfortunistiche, del cui rispetto il datore di lavoro si pone quale garante, prescrivono che gli organi in movimento siano coperti e non accessibili al lavoratore e che vi siano quindi meccanismi di interruzione automatica del loro funzionamento nel caso che la protezione venga anche solo momentaneamente tolta.
4. Nel caso di specie, dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle sue conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Alla stessa stregua in cui, per le considerazioni testé espresse, non può dirsi sussistere alcuna violazione dell'art 533, comma 1, cod. proc. pen., trattandosi di un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie concettuali, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e, perciò, a superare lo scrutinio di legittimità. Né la Corte Suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità [Sez. U, sent. n. 2110 del 23/11/1995 (dep. il 23/02/1996), Fachini e altri, Rv. 203767) cui la giurisprudenza successiva delle sezioni semplici si è uniformata.
5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.