Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e va, quindi, rigettato.
2. Il primo motivo non considera l'insegnamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui la dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale, ove la parte vi assiste e non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca implicita dell'ammissione di tale deposizione ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 3, n. 29649 del 27/03/2018, Bulletti, Rv. 27359001).
Nel caso che occupa non risulta né viene dedotto che la difesa del ricorrente abbia eccepito l'eventuale nullità davanti al Tribunale, quantomeno in sede di conclusioni, quindi la questione è ormai sanata ex art. 182 cod. proc. pen.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Al riguardo occorre muovere dal costante principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 27357701).
Nella specie il ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di lacune motivazionali decisive che sarebbero state evitate se si fosse provveduto all'assunzione dei suoi testi, limitandosi ad indicare le circostanze su cui gli stessi avrebbero riferito, senza spiegarne l'incidenza sul costrutto motivazionale della sentenza impugnata.
4. Il terzo motivo svolge essenzialmente censure in fatto, in quanto pretende di ottenere una rivalutazione del compendio probatorio, e quindi una rilettura dei fatti, inammissibile in cassazione. Si tratta, inoltre, di censura che non rispetta il requisito della autosufficienza del ricorso, con riferimento alla documentazione ivi citata o alla richiamata deposizione dell'ufficiale di polizia giudiziaria C..
Ciò a fronte di una sentenza che ha adeguatamente ed esaurientemente accertato che il macchinario risultava fin dalla sua costruzione sprovvisto di quelle protezioni doverose - che vennero aggiunte solo successivamente all'infortunio dal datore di lavoro - che, qualora tempestivamente installate, avrebbero certamente impedito l'evento lesivo, a prescindere dallo stato di manutenzione del macchinario.
5. Parimenti infondato il quarto motivo sul trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale, per quanto succintamente, ha adeguatamente motivato sui criteri di determinazione della pena, avendo allo scopo richiamato il grado della colpa e il precedente specifico a carico dell'imputato, anche a giustificazione del diniego di applicazione delle attenuanti generiche. Si tratta, in ogni caso, di pena che non supera la media edittale, per cui nel caso trova applicazione il costante principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 27124301).
6. Il quinto motivo è inammissibile, sulla scorta del costante orientamento della Corte regolatrice secondo cui il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva, liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 26153601).
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.