Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile, essendo le censure sviluppate con argomentazioni fattuali.
2. Va ricordato che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte, in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti, né all'apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
Questa conclusione, peraltro, non muta a fronte del vigente testo dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla l. 20 febbraio 2006 n. 46, che, invero, non ha trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, la quale che rimane giudice della motivazione, e non del fatto; la stessa, pertanto, non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Del pari, il ricorrente non può limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, ma deve indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Al riguardo, l'aver introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere a una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.
In altri termini, vi è "travisamento della prova" quando il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste, o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato); del pari, può essere valutato se vi erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. In sintesi, il "travisamento della prova" è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 18542 del 21/1/2011, Carone, Rv. 250168). Fermo però restando - occorre ancora ribadirlo - che non spetta comunque a questa Corte "rivalutare" il modo con cui lo specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito (in questi termini, tra le molte, Sez. 3, n. 5478 del 05/12/2013, Ferraris, Rv. 258693; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 27/2/2013, Maggio, Rv. 255087).
3. Nel caso in esame, il tribunale, sulla scorta della deposizione del teste F., ispettore presso la direzione territoriale del lavoro di Rimini, che effettuò il sopralluogo presso il cantiere in questione il 10 marzo 2011, nonché della documentazione fotografica in atti, ha accertato che: la mantovana era assente in tutti i lati del ponteggio, e, ad aggravare tale omessa predisposizione, i lavoratori non indossavano il casco protettivo; la betoniera, limitrofa al ponteggio, era sprovvista di protezione; la carrucola era priva del dispositivo auto frenante, peraltro nemmeno omologato secondo le disposizioni CE; non era presente in loco il pacchetto di pronto soccorso.
Le censure mosse dal ricorrente si incentrano su deduzioni fattuali, che nemmeno emergono dalla sentenza impugnata, e che, in ogni caso, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, a differenza del giudizio di merito, in cui, peraltro, l'imputato, rimasto contumace, non ha nemmeno preso posizione rispetto agli addebiti a lui contestati.
Essendo aderente alle emergenze processuali, giuridicamente corretta e immune da vizi logici, la motivazione supera il vaglio di legittimità.
4. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (ex multis, cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 - dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 271269, la quale ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 - dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 - dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899).
Si è, inoltre, precisato che, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 - dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
Nel caso in esame, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi ora richiamati, evidenziando l'insussistenza di elementi favorevoli da valutare in tal senso, nemmeno prospettati dalla difesa, peraltro risultando il P.DM. non incensurato, e non costituendo una plausibile giustificazione, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la circostanza che si sia in presenza di reati contravvenzionali.
5. L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. seni. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.