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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 43193 | 22 Ottobre 2019

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 22 ottobre 2019 n. 43193

Infortunio mortale durante i lavori di smontaggio e sollevamento di un frantoio mediante autogrù

Penale Sent. Sez. 4 Num. 43193 Anno 2019
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 11/07/2019

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la pronuncia emessa nei confronti di P.G.A., C.A.A. e B.M. dal Tribunale di Cagliari, con la quale essi erano stati giudicati responsabili del reato di cui all'art. 589, co. 1 e 2 cod. pen., per aver cagionato la morte del lavoratore A.V., ed erano stati condannati alla pena per ciascuno ritenuta equa.
1.2. Secondo l'accertamento compiuto nei gradi di merito, il 22 dicembre 2008, poco prima delle ore 13,00, nel cantiere situato in località "Sa Stria", del comune di Sarroch, facente capo all’impresa "Edil Fabbro s.n.c.", legalmente rappresentata dal P.G.A., si verificò un incidente mortale mentre erano in corso lavori di smontaggio e sollevamento di un frantoio.
Il lavoratore A.V., dipendente della citata impresa, stava procedendo al sollevamento del frantoio a mezzo di un'autogru marca Rigo modello RGT 30 montata su un mezzo Fiat 820 targato FGAA579 quando, nella fase iniziale dell’operazione, il martinetto idraulico del braccio telescopico dell'autogrù cedeva; gli elementi sfilabili del braccio, di lunghezza pari a circa mt. 4,50 ciascuno, rientravano all’interno dell'elemento fisso di base; conseguentemente il carico, ossia il frantoio e gli accessori (motore), crollava al suolo unitamente al bozzello al quale era stato imbracato, e si disponeva rovesciato su un fianco in adiacenza ai muri in calcestruzzo che sorreggevano l'impianto di frantumazione.
I due cilindri (primario e secondario) del martinetto, incernierati alla base, spinti dalla forza di gravità e dalla stessa reazione alla fuoriuscita dello stelo, si ribaltavano ruotando intorno alla cerniera di collegamento all'elemento fisso del braccio della gru, sino a impattare violentemente a terra con la testa del cilindro sfilabile, sfiorando la cabina della gru e deformandola.
Per effetto del cedimento strutturale, lo stelo impattava violentemente sulla cabina di guida, ed in particolare sul tetto della stessa, provocando notevoli deformazioni al telaio e la rottura dei vetri anti-sfondamento della cabina ed il A.V. veniva colpito dai frammenti, riportando profonde lesioni ai vasi del collo e subendo un'emorragia massiva che lo conduceva rapidamente a morte.
I giudici hanno ritenuto accertato che A.V., assunto dalla Edil Fabbro nell’anno 2000, aveva acquisito la qualifica di manutentore meccanico ed era privo di abilitazione alla guida dell’autogrù, posseduta invece da M.O., di fatto impiegato nel cantiere di "Sa Stria" ma dipendente di una diversa società facente capo al P.G.A., la Trasporti Carri Ferroviari s.r.l., e da un altro lavoratore della Edil Fabbro, R.M.; che le direttive generali sotto il profilo organizzativo del cantiere in località "Sa Stria" erano impartite dal geometra B.M., dipendente della Edil Fabbro dal 2001 con la qualifica di assistente tecnico, il quale era risultato presente, per conto della Edil Fabbro s.n.c., in occasione della riunione informativa indetta dal coordinatore per la sicurezza (l'ing. Gian Maria M.) e in quella sede aveva ricevuto le istruzioni sulla sicurezza e le procedure da seguire nel cantiere; che al momento del sinistro nel cantiere erano presenti altri due lavoratori, identificati per G.S. e l'M.O..
1.3. Al P.G.A. e al B.M. è stato ascritto di aver consapevolmente adibito il A.V. alla conduzione dell'autogrù, nonostante lo stesso fosse privo della necessaria abilitazione e della specifica formazione finalizzata alla prevenzione dei rischi; nonché di aver omesso di manutenere il mezzo d'opera e così di ovviare all'assenza di due staffe di collegamento, assenza che doveva escludere l'uso del martinetto; entrambe le trasgressioni erano state causalmente rilevanti atteso che il sinistro è da ricondurre al superamento della portata critica della gru, dovuta al concorso di fattori umani e fattori meccanici. In particolare il A.V., per imperizia, aveva fatto sfilare completamente il martinetto per compiere l'operazione di sollevamento, mantenendo il braccio della gru quasi completamente esteso, così causando la notevole riduzione della portata del macchinario e la forte instabilità del carico con conseguente rottura dello stelo.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza P.G.A. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Aldo L..
Lamenta che la Corte di Appello non abbia dato risposta ai rilievi mossi con l'atto di appello a riguardo della incidenza del comportamento del A.V.. Nella stessa sentenza si dà atto che questi eseguì una manovra errata, decisiva per il collasso del mezzo d'opera.
Rileva che anche il tema dell'affidamento al A.V. dei compiti di gruista è stato affrontato dalla Corte di Appello senza motivare in replica ai rilievi avanzati con l'appello ma limitandosi a riproporre quanto era stato già ritenuto dal Tribunale. In particolare non ha dato risposta al rilievo che rimarcava la presenza in cantiere dell'O., in antitesi con l'affermazione secondo la quale l'affidamento era desumibile dal fatto che in quel giorno i due gruisti erano stati inviati a lavorare altrove. Si era poi osservato che l'inadempimento dell'obbligo di formare il lavoratore può essere rimproverato in relazione alle mansioni affidate al lavoratore medesimo e non quando questi svolga mansioni diverse. Su ciò la Corte di Appello non ha motivato; così come non ha motivato sulla rilevanza causale della violazione dei propri obblighi da parte di soggetti, presenti in cantiere, che avrebbero dovuto intervenire e vigilare. 
L'esponente ribadisce che il comportamento del A.V. fu abnorme e contesta che non possa reputarsi tale la condotta del lavoratore tenuta nell'esecuzione delle mansioni affidategli.
La Corte di Appello ha omesso di motivare anche a riguardo della contraddizione nella quale era caduto il primo giudice, che da un verso aveva ritenuto giustificato che gli organi ispettivi non avessero rilevato vizi del macchinario in due precedenti verifiche e poi affermato che la assenza delle staffe era agevolmente percepibile dal P.G.A..
3. Avverso la decisione ricorre per cassazione anche B.M. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Francesco A..
3.1. Con un primo motivo deduce il travisamento della prova. Premette che il B.M., chiamato a giudizio per aver commesso il fatto quale preposto, si è visto attribuire dall'accusa in sede di discussione di primo grado la qualifica di dirigente; lamenta che ciò sia dipeso da una errata applicazione degli artt. 2 e 299 d.lgs. n. 81/2008 e dal travisamento della prova dichiarativa e documentale, dalla quale emerge che il B.M. ebbe compiti di natura meramente esecutiva (l'esponente ha citato, a conferma, il contratto di formazione lavoro e il contratto di assunzione definitivo), fu privo di poteri decisionali, fece da mero portavoce delle decisioni del datore di lavoro, non si ingerì. Ciò era stato portato all'attenzione della Corte di Appello con l'atto di gravame ma la corte distrettuale ha omesso di motivare sul punto.
La qualifica dirigenziale è stata ritenuta sulla base della sottoscrizione del verbale della riunione di coordinamento per la sicurezza del 14.10.2008, senza che siano mai stati descritti i poteri che, attribuiti al B.M., ne avrebbero fatto un dirigente. Anche la Corte di Appello, che fa proprio tale argomento, è caduta in una contraddizione logica parlando del B.M. come di un intermediario delle decisioni del datore di lavoro, come di un soggetto estraneo alla gestione dei cantieri e come mero nuncius del P.G.A.. La Corte di Appello ha omesso di verificare la corrispondenza tra l'operato del B.M. e i poteri giuridici connessi alla qualifica di dirigente; dalla documentazione in atti emerge che egli era stato assunto per svolgere le mansioni di assistente tecnico; la stessa sentenza indica attività che sono proprie di tale figura, alla quale sono estranei i poteri tipici del dirigente. La corrispondenza tra qualifica di assistente tecnico e attività effettivamente svolta è emersa dalle testimonianze; non è emerso alcun coinvolgimento del B.M. nell'organizzazione dei lavori all'interno del cantiere né lo svolgimento di compiti direttivi o di vigilanza o connotati da autonomia e discrezionalità. La presunta ingerenza considerata dal giudice rappresentava invece espressione del compito specifico di trasmettere le decisioni e la volontà del datore di lavoro.
Con l'appello era stato contestato che la sottoscrizione dei verbali del 14 ottobre 2008 e del 20 ottobre 2008 potesse essere sufficiente a dimostrare che il B.M. aveva compiti di dirigente, anche alla luce della valutazione fatta dal Tribunale a riguardo della sottoscrizione dei verbali del 3 e del 25.11.2008 da parte del G.S.; la Corte di Appello ha omesso ogni motivazione sul punto.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta la violazione di legge e il vizio della motivazione a riguardo della consapevolezza da parte del B.M. del fatto che il A.V. avrebbe manovrato la gru; tale consapevolezza è stata tratta dall'assenza in cantiere del lavoratore M.O., mentre nella stessa sentenza di primo grado si descrive l'accaduto dando conto della presenza di tale lavoratore. Non ha quindi fondamento la tesi della Corte di Appello, che attribuisce al B.M. la responsabilità del sinistro perché gli imputa l'uso illegittimo della gru da parte del A.V., sull'assunto che l'M.O., in quel giorno, non era presente in cantiere. All'inverso, era presente sul posto anche il preposto G.S., che omise di svolgere i compiti di vigilanza assegnatigli.
3.3. Si deduce poi la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e dell'art. 20 d.lgs. n. 81/2008 nonché dell'art. 111 Cost., per non aver i giudici valutato l'esistenza di un diretto interesse dei testi M.O. e G.S., tale da rendere inattendibili le loro deposizioni. Nell'argomentare tale censura si sostiene che la Corte di Appello ha operato un salto logico deducendo dal fatto che il A.V. avesse in precedenza manovrato in qualche occasione la gru la circostanza che il B.M. ed il P.G.A. fossero stati informati di tanto.
Con precipuo riferimento al tema della valutazione di attendibilità del G.S., si osserva che gli stessi giudici prendono atto del fatto che formalmente questi aveva la qualifica di preposto ma poi erroneamente ne negano la effettività perché il G.S. si rapportava agli altri lavoratori su un piano paritario; osserva l'esponente che tale abitudine non faceva certo venir meno la qualifica di preposto. Tuttavia, sulla base di tale ragionamento, si è omesso ogni vaglio di attendibilità del G.S., nonostante la sua posizione di possibile corresponsabile del sinistro. Analoghe osservazioni si svolgono a riguardo dell'M.O., responsabile per aver consentito al A.V. di esercitarsi alla guida dell'autogrù.
Pertanto la Corte di Appello ha anche errato nell'applicazione del citato art. 20, perché avrebbe dovuto attribuire al G.S. e all'M.O. la violazione di tale previsione e quindi tenerne conto per la loro attendibilità.
3.4. Si deduce il vizio della motivazione per non aver reso la Corte di Appello motivazione in ordine alla censura difensiva che indicava nel comportamento del A.V., che arbitrariamente si era posto alla guida dell'autogrù in presenza del preposto che avrebbe dovuto impedirlo e dell'M.O. che lo aveva agevolato a farlo, un fatto abnorme idoneo a interrompere il nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e il sinistro. La Corte di Appello ha replicato che l'uso dell'autogrù da parte del A.V. non poteva ritenersi imprevedibile; ma sull'erroneo assunto che il B.M. ed il P.G.A. fossero al corrente della prassi di consentire al A.V. di far uso dell'autogrù.
3.5. Si deduce la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., dell'art. 111 Cost. e dell'art. 5 Cedu, in relazione alla intervenuta modificazione della qualifica del B.M. che ne fonderebbe la responsabilità. Si osserva che il diritto di difesa è stato pregiudicato da tale modificazione perché la originaria contestazione ha condizionato la scelta degli elementi di giudizio introdotti al fine di provare l'inesistenza della posizione di garanzia (di preposto), mentre se fin dall'inizio la qualifica attribuita fosse stata quella di dirigente le attività di prova sarebbero state orientate a dimostrare che il B.M. era stato sprovvisto dei poteri di dirigente.
3.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo, sotto il profilo della assenza di valenza impeditiva del comportamento alternativo lecito, poiché la conduzione dell'autogrù da parte di un lavoratore di ciò esperto non avrebbe escluso il verificarsi dell'evento.
3.7. Analoghi vizi attengono al trattamento sanzionatorio. La motivazione resa dalla Corte di Appello a sostegno del diniego delle attenuanti generiche manifesta che non sono stati presi in considerazione i rilievi avanzati con l'atto di appello.
3.8. Per la presenza ancora di tali vizi viene denunciata la statuizione concernente la disposta provvisionale, perché assente la motivazione in ordine ai parametri di valutazione utilizzati per determinare l'entità delle somme assegnate, anche in rapporto al concorrente comportamento colposo della vittima.

Considerato in diritto

4. Per una maggiore sintesi della presente motivazione è opportuno prendere le mosse dall'esame del ricorso proposto nell'interesse di B.M.. Il ricorso è infondato.
4.1. Assume rilievo pregiudiziale la denuncia della violazione del divieto di immutazione, avanzata con il quinto motivo.
Il motivo è infondato. Si assume che la contestazione originaria attribuiva al B.M. la qualifica di preposto e che solo nel corso del giudizio egli si è visto attribuire la qualifica di dirigente.
L'affermazione non coglie il vero. Nell'imputazione recata dal decreto di citazione a giudizio il B.M. viene indicato come 'capo cantiere'; nel corso del giudizio verrà indicato anche come 'assistente di cantiere'. Trattandosi in entrambi i casi di qualifiche estranee al catalogo dei debitori di sicurezza definito dal d.lgs. n. 81/2008, per cogliere la portata della contestazione occorre guardare a ciò che viene contenutisticamente rimproverato al B.M.. Orbene, a questi si rimprovera di aver affidato al A.V. la conduzione del mezzo d'opera e di avergli consentito di prestare tale attività pur non avendo ricevuto alcuna formazione e informazione al riguardo.
Condotte che, come si vedrà subito appresso, possono essere tenute solo dal datore di lavoro e dal dirigente; ma nel caso di specie non è mai stato in discussione che la posizione datoriale spettasse al solo P.G.A..
Peraltro, nella giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata una interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull'addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti - e in particolare l'imputato - non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia pure a mero titolo di esempio può citarsi la massima per la quale "ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione" (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 - dep. 29/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278).
Tra le implicazioni del principio vi è che risulta aspecifico e quindi inammissibile il ricorso che si limiti a segnalare la formale mancanza di coincidenza tra l'imputazione originaria ed il fatto ritenuto in sentenza. Aspecifico, giacché ai sensi dell'art. 581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., l'impugnazione deve enunciare, tra gli altri, "i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta". L'art. 591, co. 1, lett. c) cod. proc. pen., poi, commina la sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione quando venga violato, tra gli altri, il disposto dell'art. 581 cod. proc. pen. Come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, sez. 6, 30/10/2008, Arruzzoli ed altri, rv. 242129), in materia di impugnazioni, l'indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell'art. 581 lett. c) c.p.p., costituisce di per sé motivo di inammissibilità del proposto gravame. 
4.2. Va quindi esaminato il primo motivo di ricorso, che investe per l'appunto il tema dei compiti del dirigente, quale definito dall'art. 2 d.lgs. n. 81/2008 ai fini dell'applicazione delle norme recate dal decreto medesimo, e la rispondenza ad essi di quanto compiuto dal B..
Va sin da subito rilevato che taluni dei rilievi elevati dal ricorrente attingono il profilo della ricostruzione del fatto, senza porre in evidenza reali vizi della motivazione. Ciò vale in primo luogo per il dedotto travisamento della prova. Esso, lungi dal consistere in un errore sul significante (tra le ultima, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 - dep. 20/02/2018, Grancini, Rv. 272406), nel ricorso si traduce in una contestazione della valutazione della prova fatta dal giudice di merito, senza però identificarne i vizi logici e solo opponendo ad essa una valutazione alternativa che si vorrebbe vedere convalidata dal giudice di legittimità.
Peraltro, questa Corte ha posto in correlazione il travisamento della prova, quale vizio deducibile con ricorso per cassazione, e la conformità delle pronunce di primo e secondo grado. Si è così affermato che il vizio del travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007 - dep. 07/02/2007, Medina ed altri, Rv. 236130), o il caso in cui entrambi i giudici di merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 44756 del 22.10.2013, Buonfine ed altri, n.m.).
Né l'una né l'altra occorrenza vengono segnalate dal ricorrente.
Messo in disparte quindi il dedotto travisamento della prova, vale osservare che i giudici di merito hanno ritenuto che il B.M. fosse un dirigente e non un mero esecutore degli ordini impartiti dal P.G.A..
La giurisprudenza di questa Corte insegna, con riferimento a colui che dà in concreto l’ordine di effettuare un lavoro, ma che non impartisce direttive circa le modalità di esecuzione di questo, che si tratta di soggetto che con quell'ordine si inserisce ed assume di fatto la mansione di dirigente sicché ha il dovere di accertarsi che il lavoro venga fatto nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non soliti ad eseguirlo, la scelta dello strumento da utilizzare (Sez. 4, n. 3483 del 21/12/1995 - dep. 05/04/1996, P.G. Pozzati ed altro, Rv. 20497101). 
Si è aggiunto che in subiecta materia la figura di dirigente presuppone l'esistenza di comportamenti ricorrenti, costanti e specifici dai quali desumersi l'effettivo esercizio di funzioni dirigenziali, come tali riconosciute in ambito aziendale, anche nel campo della sicurezza del lavoro, con poteri decisionali al riguardo (Sez. 4, n. 13915 del 16/01/2008 - dep. 03/04/2008, Clari, Rv. 23958601).
Tali principi possono essere mantenuti fermi ma vanno raccordati a quanto previsto dal d.lgs. n. 81/2008. Il quale, all'art. 2, co. 1 lett. d) definisce indirettamente le funzioni dirigenziali: esse consistono nell'attuazione delle direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa in forza di competenze professionali, poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico.
Se si tengono presenti simili coordinate è agevole risolvere la questione nuovamente posta con il ricorso, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio motivazionale, ovvero se la Corte di Appello abbia motivato senza manifesta illogicità e con aderenza ai dati probatori l'esercizio di fatto da parte del B.M. dei poteri dirigenziali; se abbia applicato correttamente il quadro normativo.
In primo luogo va escluso che abbia fondamento il rilievo accordato dal ricorrente alla qualifica di assistente di cantiere e alla corrispondenza tra quanto fatto concretamente dal B.M. e quanto previsto dal CCN a tale figura relativo. Come si è già accennato, l'organizzazione dell'impresa, in specie quella che opera nei cantieri temporanei e mobili, ha prodotto una nomenclatura non coincidente con quella del d.lgs. n. 81/2008; ma è a questa che occorre fare riferimento e ciò importa che le varie qualifiche (direttore dei lavori, direttore di cantiere, assistente di cantiere, capo cantiere, per citare le più diffuse) devono essere considerate nella loro sostanza e quindi tradotte nelle posizioni prevenzionistiche. Pertanto, che il B.M. avesse la qualifica di assistente di cantiere nulla dice in merito alla posizione in concreto assunta in rapporto alla disciplina prevenzionistica.
La Corte di Appello ha attribuito al B.M. la qualifica di dirigente perché organizzava la composizione delle squadre e così determinava la distribuzione dei compiti tra i lavoratori; in tal modo si è conformata ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, sia quanto ai poteri che connotano il dirigente sia in merito al rilievo che assume l'esercizio di fatto di quei poteri da parte di chi non è provvisto della qualifica (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 22079 del 20/02/2019 - dep. 21/05/2019, Cavallari, Rv. 276265). 
Quanto al profilo motivazionale, si tratta di verificare in qual modo la Corte di Appello ha giustificato il proprio giudizio, dell'esercizio di fatto da parte del B.M. dei poteri dirigenziali.
Dopo aver affermato che il B.M. si poneva come intermediario tra il P.G.A. e i lavoratori del cantiere di Sa Stria, nel senso che svolgeva funzioni di 'raccordo operativo', il primo giudice ha evidenziato che il B.M. oltre ad informare a fine giornata i dipendenti a riguardo dei lavori da compiere nella giornata successiva organizzava, anche telefonicamente, la composizione delle squadre incaricate della loro esecuzione. A fondamento di tale ricostruzione sono state citate le dichiarazioni del G.S., del R.M. e di altri lavoratori della Edil fabbro (OMISSIS).
La corte distrettuale, a pg. 56, ha ribadito che il B.M. aveva impartito le direttive concernenti la adibizione dei lavoratori ai lavori da compiersi nella giornata lavorativa: "... distribuiva infatti il lavoro ed organizzava le squadre che dovevano eseguirlo".
Ne consegue l'infondatezza della denuncia di un vizio motivazionale; al contempo emerge il carattere meramente antagonistico delle ulteriori affermazioni fatte dal ricorrente, di un compendio testimoniale deponente per l'assenza di compiti di direzione.
4.3. Infondato è anche il secondo motivo.
Si assume che la consapevolezza del B.M. in merito al fatto che la gru sarebbe stata manovrata dal A.V. è stata tratta dall'assenza in cantiere del lavoratore M.O., mentre nella stessa sentenza di primo grado si descrive l'accaduto dando conto della presenza di tale lavoratore.
In realtà la Corte di Appello non ha mai affermato che l'M.O. non fu presente in cantiere in un qualche momento del 22.12.2008; nelle pagine da 49 in avanti la corte distrettuale ha spiegato perché ha ritenuto che il B.M. fosse a conoscenza del fatto che la gru doveva essere manovrata dal A.V.. Egli aveva disposto che si movimentasse il frantoio nel cantiere di Sarroch; il P.G.A. aveva disposto che quello stesso giorno l'M.O. portasse delle componenti metalliche in un sito posto ad Uta. I due erano reciprocamente consapevoli delle decisioni dell'altro. Pertanto, è stata la conclusione tratta in modo non manifestamente illogico dalla Corte di Appello, il B.M. era consapevole che disporre la movimentazione del frantoio in quel giorno significava affidare al A.V. il compito di operare con la gru.
4.4. Nucleo del terzo motivo è la censura per non aver operato la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dei testi M.O. e G.S., considerando questi come soggetti portatori di un concreto interesse a dare una ricostruzione dei fatti che li rendesse immuni da possibili responsabilità penali, in ipotesi emergenti dalla previsione dell'art. 20 d.lgs. n. 81/2008.
In via generale occorre tener presente che nell'operare la valutazione della prova testimoniale, non essendo necessari elementi di riscontro esterni, il giudice deve limitarsi a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza - avuto riguardo alla logicità, coerenza ed analiticità della deposizione nonché all'assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza - sulla base della presunzione che, fino a prova contraria, il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisce di solito fatti obiettivamente veri (principio di affidabilità) e mente solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo (principio di normalità), specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri (principio di responsabilità) (Sez. 6, n. 3041 del 03/10/2017 - dep. 23/01/2018, P.C. in proc. Giro, Rv. 272152).
Tale interesse non può essere meramente ipotizzato, occorrendo elementi concreti che ne dimostrino l'effettiva esistenza.
Calando tali premesse nel giudizio di legittimità è del tutto evidente che il sindacato della Corte di cassazione opera sul quadro fattuale definito dai giudici di merito, dinanzi ai quali vanno approfondite le circostanze che possono dare corpo al giudizio di inaffidabilità del testimone.
Nel caso che occupa la difesa del B.M. ha sollecitato la corte territoriale a tener conto, nel giudizio di attendibilità del G.S., della qualità di preposto del medesimo e quindi delle possibilità che lo stesso dovesse essere sentito nelle forme di garanzia previste per chi non è semplice testimone.
La Corte di appello, a pagina 52 (ma anche a pg. 29, attraverso la sintesi delle scansioni della sentenza di primo grado), ha replicato che il G.S. non rivestiva la qualifica di preposto perché non aveva alcuna posizione gerarchicamente sovraordinata agli altri lavoratori; e che pertanto le dichiarazioni del medesimo dovevano essere valutate secondo i criteri valevoli per il testimone.
Sicché, da un canto è inammissibile la questione posta con il ricorso perché non avanzata nella sede di merito - e tal è, per il medesimo motivo, la censura che attiene alla testimonianza dell'O. dall'altro la similare questione, connessa ad una presunta qualità di preposto, ha trovato nella sentenza impugnata una non manifestamente illogica replica.
4.5. Il motivo incentrato sull'asserita abnormità del comportamento del A.V. assume a premessa essenziale che il B.M. ed il P.G.A. non fossero al corrente della prassi di consentire al A.V. di far uso del mezzo d'opera. Ne consegue che quanto sin qui esposto vale a rendere esplicita la manifesta infondatezza della censura.
4.6. Generico è il motivo che attiene alla valenza impeditiva del comportamento doveroso, concretizzandosi nell'affermazione della non valenza, non confrontandosi con l'affermazione dei giudici di merito secondo la quale l'imperizia del lavoratore fu tra le cause del sinistro.
4.7. Manifestamente infondata è la censura che attinge la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, che la corte territoriale ha motivato facendo richiamo ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen.
Va rammentato, al proposito, che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019 - dep. 09/07/2019, Del Papa, Rv. 276288). Nella specie è stata inflitta una pena molto al di sotto della misura mediana.
4.8. In tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l'obbligo di espressa motivazione quando, per la sua non particolare rilevanza, l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile (Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017 - dep. 28/04/2017, Mazzella, Rv. 269882). Nel caso di specie la Corte di appello ha espressamente valutato la congruità delle somme stabilite dal Tribunale che, tenuto conto della loro entità e dell'evento realizzatosi, non appaiono arbitrarie e quindi suscettibili di censura in sede di legittimità.
4.9. In conclusione il ricorso va rigettato.
5. Il ricorso proposto nell'interesse di P.G.A. è infondato.
5.1. Giova muovere dalla valutazione della censura che lamenta la mancata considerazione di quanto con l'atto di appello si era osservato a riguardo dell'affidamento al A.V. del compito di manovrare la gru; gravame che faceva perno sulla presenza in cantiere dell'O..
Essa, per le ragioni che sono state esposte nel superiore paragrafo 4.3., è infondata.
5.2. In relazione al rilievo da accordare al comportamento non cautelare di altri soggetti presenti in cantiere va osservato come la censura fondi sulla implicita assegnazione al G.S. del ruolo di preposto. Ruolo che, come si è scritto al superiore paragrafo 4.4., è stato escluso dai giudici di merito. Peraltro, anche qualora fosse stato diversamente ritenuto non per questo risulterebbe esclusa la responsabilità del P.G.A., atteso che si consoliderebbe un'ipotesi di concorso di condotte colpose, tutte aventi efficienza eziologica e quindi tutte suscettibili di fondare il rimprovero penale, secondo la previsione dell'art. 41 cod. pen.
Quanto alla posizione dell'M.O., presente in cantiere e, nella prospettazione difensiva, indebitamente sottrattosi al compito di guidare la gru, per la quale egli solo tra i presenti aveva l'abilitazione, la corte distrettuale ha correttamente osservato che egli non era dipendente della Edil fabbro e non aveva titolo per dare disposizioni al A.V. (cfr. pg. 51).
5.3. Quanto al comportamento tenuto dal A.V., la motivazione resa dalla Corte distrettuale fa corretta applicazione dei principi costantemente ribaditi dal giudice di legittimità a riguardo dell'incidenza del comportamento negligente del lavoratore vittima del sinistro. Le più recenti formulazioni rimarcano che perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019 - dep. 25/06/2019, Simeone, Rv. 276242). Nel caso che occupa è pacifico che alcuna misura era stata adottata per fronteggiare l'eventuale imprudenza del A.V..
5.4. In merito alla valenza del mancato rilievo da parte degli organi ispettivi del difetto strutturale della gru, già la Corte di appello ha replicato al rilievo che in questa sede è stato ripetuto, osservando, con le parole del primo giudice, che quella valenza a favore del garante ritenersi solo se la fonte di pericolo è ignorata dal medesimo del tutto incolpevolmente. Il motivo elevato dal ricorrente ignora tale precisazione e si limita a ribadire, con automatismo già correttamente giudicato infondato, che se gli ispettori non avevano rilevato il vizio allora esso non era percepibile neppure dal P.G.A..
6. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell'11/7/2019.

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