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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 38845 | 20 Settembre 2019

ID 9173 | | Visite: 1905 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/9173

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 20 settembre 2019 n. 38845

Prassi abituale scorretta per velocizzare il lavoro: infortunio con la macchina insaccatrice.

Corresponsabilità del committente e dell'appaltatore

Penale Sent. Sez. 4 Num. 38845 Anno 2019
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: DI SALVO EMANUELE
Data Udienza: 19/07/2019

Ritenuto in fatto

1. G.A. e GA.G. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen. perché in qualità la G.A. di legale rappresentante della s.p.a. "Salumificio G.A.", la GA.G. di legale rappresentante della "Smeraldo" società cooperativa, la quale operava in appalto, a mezzo di suoi dipendenti, presso lo stabilimento della s.p.a. "Salumificio G.A.", per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, quanto alla G.A. omettendo di verificare che la macchina insaccatrice venisse utilizzata in conformità alle istruzioni del costruttore, le quali prescrivevano che, in caso di esaurimento della carne da insaccare, la macchina venisse spenta e l'operatore provvedesse quindi a spingere verso il basso la carne rimasta; quanto alla GA.G., omettendo di informare i dipendenti circa i rischi inerenti alle mansioni espletate e quindi circa la necessità del rispetto delle procedure di ricarico indicate dalle istruzioni del costruttore, cagionavano lesioni personali gravi al dipendente della "Smeraldo" società cooperativa MA.M., il quale, contrariamente alla procedura prevista, provvedeva a spingere la carne rimasta nella tramoggia dell'insaccatrice con un pestello e quindi con le mani, mentre un altro dipendente avviava la macchina, cosicché la persona offesa toccava con le dita le palette metalliche in rotazione, con conseguente amputazione parziale delle falangi distali di due dita.
2. G.A. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché ella ha sempre correttamente adempiuto agli incombenti a suo carico in ordine alla verifica del corretto utilizzo della macchina insaccatrice di cui all'imputazione, in conformità alle istruzioni del costruttore. Erroneamente, pertanto, la Corte d'appello ha ritenuto che la principale doglianza formulata nei motivi d'appello inerisse all'abnormità della condotta del lavoratore: doglianza che era stata formulata solo secondariamente. La doglianza principale era, infatti, che alla G.A. non è addebitabile alcuna condotta colposa, poiché ella ha sempre verificato, con attenzione, che i propri macchinari venissero utilizzati dal personale secondo le istruzioni del costruttore, organizzando numerosi corsi di formazione in materia di sicurezza del lavoro. Ciò è stato confermato dal teste CH., perito della s.p.a. "Salumificio G.A.", il quale ha riferito di aver egli stesso svolto dei corsi di formazione cui aveva partecipato anche il MA.M., come documentalmente dimostrato anche dall'attestato di partecipazione, evidenziando i rischi inerenti alla lavorazione e le procedure di sicurezza. Anche i testi, dipendenti della società, B.L., M.R. e M.S. hanno confermato di aver ricevuto istruzioni circa le procedure di sicurezza. Nessuno dei testimoni ha riferito che la manovra pericolosa effettuata dalla persona offesa costituisse prassi abituale per tutti i lavoratori del salumificio, come incongruamente ritenuto dai giudici di merito. Mai è capitato alla ricorrente di vedere lavoratori utilizzare il macchinario di cui all'imputazione in modo difforme dalle prescrizioni. E infatti su nessun macchinario in uso presso la s.p.a. "Salumificio G.A." si è mai verificato alcun Infortunio sul lavoro.
2.1. Il soggetto passivo, senza alcuna autorizzazione da parte della ricorrente, eludendo il sistema di sicurezza rappresentato dal secondo e ultimo scalino, l'apertura del quale interrompeva automaticamente ogni possibile funzionamento della macchina, nonostante il fatto che egli non fosse addetto a tale apparecchiatura, invece che seguire la corretta procedura, di cui il MA.M. comunque era a conoscenza, è salito sulla macchina e ha spinto la carne residua verso il basso, utilizzando inizialmente un pestello e successivamente, di sua iniziativa e incomprensibilmente, la mano destra, venendo in questo modo in contatto con le palette metalliche. Condotta del tutto errata, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo prescritto e quindi abnorme, imprevedibile e tale da interrompere il nesso causale. Lo stesso MA.M. ha ammesso, nell'immediatezza, di essere a conoscenza che l'operazione da lui compiuta avrebbe dovuto essere eseguita a macchina spenta. Solo successivamente la persona offesa ha dichiarato, in modo del tutto contrastante rispetto a quanto precedentemente riferito, di non avere mai ricevuto istruzioni sul corretto utilizzo della macchina. Ciò rende inattendibili le sue dichiarazioni. Egli ha posto in essere tale condotta perché gli era stato chiesto da B.A. - e non dalla ricorrente - di aiutarlo nelle operazioni di rimozione dei residui rimasti nella tramoggia dell'insaccatrice e ha effettuato una manovra del tutto estemporanea e imprevedibile. Il fatto che il B.L. abbia erroneamente avviato la macchina nel corso della suddetta errata operazione di pulitura, convinto di avere ricevuto l'ok dal MA.M., non può esonerare quest'ultimo da responsabilità, poiché se egli si fosse attenuto alle prescrizioni, azionando il secondo scalino ed utilizzando solo il pestello per spingere la carne verso il basso e non anche la mano destra, non avrebbe riportato alcun danno, nemmeno nel caso in cui il macchinario si fosse messo malauguratamente in funzione anzitempo.
2.2. La persona offesa non era dipendente della s.p.a. "Salumificio G.A." ma della società appaltatrice, "Smeraldo" società cooperativa, la quale era tenuta, per l'esecuzione dei servizi oggetto del contratto di appalto, ad utilizzare i macchinari presenti presso lo stabilimento della G.A. secondo le specifiche tecniche richieste nonché ad addestrare il proprio personale a tale utilizzo. 
L'appaltatore, in forza del detto contratto di appalto, operando in piena autonomia di gestione di mezzi e persone, con proprio rischio aziendale, si era altresì impegnato ad adempiere a tutti gli obblighi previsti dalla normativa in materia di sicurezza del lavoro, riconoscendo la propria esclusiva competenza in ordine all' osservanza delle norme di prevenzione, con espresso esonero di responsabilità della committente. Dunque la ricorrente non può essere ritenuta responsabile. Nè ha rilievo che l'infortunato fosse stato in precedenza dipendente della G.A..
2.3. Erroneamente è stata contestata l'aggravante dell'indebolimento permanente della funzione prensile, contrariamente alle risultanze della perizia, che avevano escluso tale indebolimento della mano destra, limitando il danno sostanzialmente a un pregiudizio di natura estetica.
2.4. Ingiustificatamente è stata ritenuta l'equivalenza tra le aggravanti e le attenuanti di cui agli artt. 62 bis e 62 n. 6 cod. pen., anziché la prevalenza di queste ultime, senza alcuna congrua motivazione.
3. GA.G. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la Corte territoriale non ha argomentato circa le censure sollevate con l'atto d'appello in ordine alle contraddizioni tra la versione dei fatti fornita dalla persona offesa nell'Immediato e quella addotta in sede di deposizione testimoniale. Mai nessun lavoratore aveva rivolto rimostranze, relativamente alla situazione esistente presso l'impresa G.A., alla GA.G., la quale non aveva motivo di dubitare della correttezza dell'impiego dei macchinari, anche perché il MA.M. aveva frequentato dei corsi di aggiornamento specifici proprio presso l'impresa G.A.. In ogni caso, nel momento in cui il MA.M. era stato Impiegato presso la G.A., la GA.G. aveva perso ogni potere di diretta vigilanza sul lavoratore, compito che sarebbe gravato sulla G.A.. Comunque, per quello che sapeva la GA.G., tutto risultava a norma nel salumificio e l'operazione che ha portato all'evento lesivo è stata svolta totalmente ad insaputa della GA.G.. Né la Corte d'appello spiega per quale motivo la GA.G. dovesse aver avuto conoscenza di prassi contrarie alle normative di prevenzione esistenti presso l'impresa G.A.. La Corte d'appello non ha saputo neanche indicare quali sarebbero stati i comportamenti che la GA.G. avrebbe dovuto tenere per andare esente da responsabilità, atteso che nessuno le aveva riferito delle mansioni cui il MA.M. era stato preposto o delle prassi invalse al salumificio G.A..
3.1. Ingiustificatamente e senza alcuna motivazione è stata negata la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, nonostante nessuna norma consenta di incrementare il peso sanzionatorio di un'aggravante a seconda delle modalità concrete del fatto. Viceversa le attenuanti generiche, considerata l'incensuratezza della GA.G., e l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. avevano un peso criminologico assai superiore e ingiustificatamente non sono state considerate prevalenti.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso della G.A. è infondato. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza di questa suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazl, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con I limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez . 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelll).
1.1. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato che dalle dichiarazioni della persona offesa, del collega B.A., di M.R., caporeparto, e di M.S., suo vice, emerge che la manovra pericolosa effettuata dal MA.M. costituiva, da anni, prassi abituale per tutti i lavoratori del salumificio, i quali sistematicamente eludevano il dispositivo di sicurezza costituito dallo scalino, operando in due (uno faceva funzionare il macchinario mentre l'altro spingeva i residui di impasto), in modo da far prima e non sprecare nulla. Dunque da anni il macchinario veniva utilizzato da tutti gli addetti in totale violazione delle prescrizioni di sicurezza, con pericolo di infortuni gravi, non avendo i lavoratori una specifica conoscenza dei gravi rischi collegati all'uso improprio del macchinario né una cognizione precisa delle istruzioni, così come riportate sullo specifico libretto. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico esperito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo la Corte territoriale preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
1.2. Le conclusioni a cui è pervenuto il giudice a quo sono d'altronde del tutto conformi al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell'Incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497). Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima aspettativa in ordine all'assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161). D'altronde, l’obbligo dei titolari della posizione di garanzia comprende non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza ma anche la loro effettiva predisposizione nonché il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, e il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Sez. 4, n. 46820 del 26/10/2011, Rv. 252139). 
2. Infondato è anche il secondo motivo del ricorso della G.A., inerente all'interruzione del nesso causale, giacché quest'ultima, nella sequenza fattuale descritta nella motivazione della sentenza Impugnata, non può certamente essere ravvisata. L'operatività dell'art. 41, comma 2, cod. pen. è Infatti circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta Inneschi un rischio nuovo e del tutto Incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Non può, pertanto, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, il comportamento negligente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui, nella specie a quella del legale rappresentante dell'Impresa (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391). L'interruzione del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez. 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202). Nel caso di specie, il giudice a quo ha invece sottolineato come, se è indubbia la sussistenza di profili di colpa a carico del lavoratore, nel compimento di un'operazione certamente Imprudente, quest'ultima, lungi dal poter essere ascritta ad una estemporanea ed imprevedibile scelta del MA.M., rientrava in una prassi abituale, adottata, da anni, da tutti gli addetti alla lavorazione, per esigenze di celerità e di snellimento degli incombenti operativi. E in questa sede occorre sottolineare come non sia configurabile la responsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal titolare della posizione di garanzia presenti delle evidenti criticità, dovendo il garante evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Cass., Sez. 4, n. 10265 del 17-1-2017, Rv. 269255).
3. Non può essere accolto nemmeno il terzo motivo di ricorso. Occorre, infatti, ribadire, in questa sede, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nel caso di appalto di lavori all'interno dell'azienda, il datore di lavoro committente deve promuovere la cooperazione e il coordinamento dell'attività di tutti i soggetti interessati all'espletamento del lavoro, al fine di attuare le misure di prevenzione e protezione dei lavoratori e di evitare il concretizzarsi dei rischi cui questi ultimi sono esposti (Cass., Sez. 4, n. 28167 del 27-6-2013, Tomassini). Ed anzi si è precisato, in giurisprudenza, che gli obblighi di cooperazione e coordinamento rappresentano, per i datori di lavoro di tutte le imprese coinvolte, "la cifra" della loro posizione di garanzia e delimitano l’ambito delle rispettive responsabilità (Cass., Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016, Rv. 267687; n. 44792 del 2015, Rv. 264957). Ne deriva che il committente, che è titolare "ex lege" di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali, come quella del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Rv. 256635), può essere chiamato a rispondere dell’ infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione (Sez. 4, n. 10608 del 04/12/2012, Rv. 255282). Ove, infatti, i lavori si svolgano nello stesso ambiente, non venendo meno l'ingerenza dell'appaltante e la diretta riconducibilità anche a quest'ultimo dell'organizzazione del cantiere, sussiste la responsabilità sia dell'appaltante che dell'appaltatore in relazione agli obblighi antinfortunistici. Un'esclusione della responsabilità dell'appaltante è configurabile solo qualora all'appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché individuati e circoscritti, da espletare in piena e assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all' appaltante. In difetto, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell'appaltante, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio (Cass., Sez. 4, n. 6857 del 21-2-2012, Bianchi). Dunque, nel caso di prestazione lavorativa in esecuzione di un contratto di appalto, il committente è costituito come corresponsabile con l'appaltatore per le violazioni delle misure prevenzionali (Cass., Sez. 4, n. 32272 del 6-8-2009, Linzi) e risponde dell'evento lesivo allorché quest'ultimo si ricolleghi causalmente anche alla sua colposa omissione, come avviene, ad esempio, quando egli abbia consentito l'espletamento del lavoro in presenza di situazioni di fatto pericolose (Cass., Sez. 4, n. 36605 dell'11-10-2011, Giordano), sempre che l'ambiente di lavoro rimanga nella disponibilità giuridica del committente (Cass., Sez. 4. n. 17846 dell'11-5-2012, Andreacchio; per la nozione di "ambiente di lavoro, v. Sez. 4, n. 23147 del 12-6-2012, De Lucchi nonché Sez. 4, n. 43966 del 17-11-2009, Morelli, secondo cui per ambiente di lavoro deve intendersi tutto lo spazio in cui l'attività lavorativa si esplica ed in cui coloro che siano autorizzati ad accedervi nonché coloro che vi entrino, per ragioni connesse o meno all'attività lavorativa, possono recarsi e sostare, anche in momenti di pausa, riposo e sospensione dei lavori). Ciò è senz'altro riscontrabile nel caso in esame, risultando dalla motivazione della sentenza impugnata che il lavoro veniva espletato all'Interno dello stabilimento della S.p.A. "Salumificio G.A." in cui operavano, al momento dell'infortunio, sia dipendenti diretti di quest'ultima sia dipendenti della Cooperativa Smeraldo, tra cui il MA.M.. In un siffatto contesto, il committente risponde, in particolare, per violazione dell'obbligo di fornire dettagliate informazioni all'appaltatore e al lavoratori autonomi chiamati a operare all'interno dell'azienda, in ordine ai rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e alle misure di prevenzione adottate per scongiurarli. Infatti, il personale della ditta appaltatrice deve essere, a cura dell'appaltante, posto in condizioni di conoscere preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro, onde gli obblighi di informazione si estendono alla dettagliata e compiuta analisi dei rischi specifici inerenti alle lavorazioni conferite in appalto ossia a tutte quelle situazioni e insidie che, dipendendo proprio dal luogo di lavoro e dalla natura dei materiali e delle apparecchiature esistenti e delle mansioni da svolgere, devono essere poste a conoscenza dell'appaltatore, affinché questi possa regolarsi di conseguenza (Cass., Sez. 4, n. 36024 del 7-9-2015, Del Papa). Ne deriva che, in presenza di tale obbligo generale di collaborazione antinfortunistica, è esclusa la possibilità che il solo affidamento a terzi dell'esecuzione dei lavori liberi l'appaltante dalla propria responsabilità prevenzionale (Cass., Sez. 4, n. 49731 del 28-11-2014, Castelli). I datori di lavoro - e quindi sia i committenti che gli appaltatori - devono Infatti cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione contro i rischi di incidenti nell'attività lavorativa oggetto dell'appalto (Cass., Sez. 4, n. 28197 del 9-7-2009, Controne). Il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica soltanto relativamente alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare In determinate lavorazioni, neH'utlllzzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine, di esclusiva competenza dell'appaltatore (c.d. "rischi specifici":Cass., Sez. 4, n. 35534 del 25-8-2015, GA.G.ne; Sez. 4, n. 36857 del 22-9-2009,Clngolani): ciò che non è dato riscontrare nel caso di specie, risultando dall'apparato argomentativo della pronuncia in esame che l'infortunio si verificò nel corso dell'ordinario ciclo di lavorazione.
4. È Infondato anche il quarto motivo di ricorso. Preliminarmente occorre rilevare che dal tenore dell'imputazione riportata nella sentenza impugnata emerge che l'aggravante è stata contestata sotto il profilo della perdita anatomica del secondo e terzo dito della mano destra, con conseguente assenza dal lavoro di oltre 60 giorni. Dunque la durata della malattia, nettamente superiore a 40 giorni e non contestata dal ricorrente, è già di per sé sufficiente a integrare gli estremi dell'aggravante, a norma del combinato disposto degli artt. 590, comma 3, e 583 cod. pen. Occorre comunque osservare come sussista l'aggravante dell'Indebolimento permanente di un organo - Inteso come complesso di elementi omologhi che concorrono alla stessa funzione anatomo-fisiologica (Cass., Sez. 5, n. 3301 del 2-2-1983) - qualora, in conseguenza di un fatto lesivo, esso risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, la quale risulti ridotta rispetto allo status quo ante, senza che sia rilevante II grado dell'Indebolimento (Cass., Sez. 5, n. 34012 del 3-4-2013, Rv. 256527). In quest'ottica, l'indebolimento permanente dell'organo della prensione è stato, in giurisprudenza, ravvisato nell'amputazione di due falangi (Cass., Sez. 4, n. 6851 del 2-4-1981): ciò che si è precipuamente verificato nel caso in esame.
5. Privo di fondamento è anche l'ultimo motivo del ricorso della G.A., in quanto le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza Impugnata è senz'altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento a quanto accertato in merito all'espletamento del lavoro In un contesto operativo di abituale Inosservanza delle prescrizioni relative alla sicurezza, perdurante da anni, con conseguente pericolo di Infortuni gravi, come quello verificatosi.
6. Il primo motivo del ricorso della GA.G. è Infondato. Sono al riguardo da richiamarsi le considerazioni di cui al par. 3 in merito alla corresponsabilità del committente e dell'appaltatore in merito all'osservanza degli obblighi antinfortunistici. Per quanto più specificamente attiene alla figura del datore di lavoro - appaltatore, occorre osservare come l'ordinamento giuridico attribuisca a quest'ultimo pieni poteri decisionali, con la conseguenza che egli, al pari di qualsiasi altro datore di lavoro, diventa destinatario del dovere di provvedere alla tutela della salute e dell'integrità fisica dei propri dipendenti (Cass., Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Rv. 272221; Cass. n. 10608 del 2012, Rv. 255282; n. 44131 del 2015, Rv. 264974; n. 27296 del 2017, Rv. 270100). D'altronde, è stato chiarito, in giurisprudenza, che, se più sono i titolari della posizione di garanzia, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto. Non è, perciò, invocabile il principio di affidamento nel comportamento altrui, con conseguente esclusione di responsabilità, da parte di chi versi in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso
determinate condotte e, nonostante ciò, confidi che colui che gli si affianca nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in quanto la condotta del garante concorrente non si configura come fatto eccezionale sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento (Cass., Sez. 4, n. 35827 del 27/06/2013, Rv. 258124; Cass., n. 4793 del 1991). Dunque la GA.G., a prescindere da segnalazioni o rimostranze per la situazione esistente presso l'impresa G.A., ricevute o meno da chicchessia, avrebbe dovuto curarsi che il proprio dipendente MA.M. operasse in condizioni di assoluta sicurezza e in un contesto di osservanza delle normative antinfortunistiche. L'appaltatore è, infatti, tenuto a procedere all'individuazione del rischio, collaborando con il committente (Cass., Sez. 4, n. 44792 del 9-11-2015, Mancini; Sez. 4, n. 5420 del 10-2-2012, Intrevado). Viceversa risulta dallo stesso ricorso che la GA.G. ignorava l'esistenza delle prassi invalse al salumificio G.A. e perfino le mansioni cui il MA.M. era stato preposto.
7. Per quanto attiene all'ultimo motivo del ricorso della GA.G., vanno richiamate le considerazioni espresse in relazione all'analoga doglianza proposta dalla G.A., non essendo state prospettate argomentazioni nuove o diverse.
8. I ricorsi vanno dunque rigettati, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta I ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 19 luglio 2019.

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