Cassazione Penale Sez. 4 06 giugno 2011 n. 22334
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Cassazione Penale Sez. 4 06 giugno 2011 n. 22334
Incendio in un hotel e responsabilità per omissioni nell'attuazione di un piano di emergenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta dagli lll.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCESCO MARZANO Presidente
Dott. GIACOMO FOTI Consigliere
Dott. FAUSTO IZZO Consigliere
Dott. UMBERTO MASSAFRA Consigliere
Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BARTOLETTI ANTONIETTA N. IL 28/05/1928
2) NALDI ROBERTO N. IL 28/12/1952
3) MILOS GIUSEPPINA CARLA N. IL 02/03/1949
avverso la sentenza n. 1422/2008 CORTE APPELLO di 21/07/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Monetti che ha concluso per il rigetto dei ricorsi
Udito per la parte civile l'Avv. ...
Uditi i difensori Avv. ..., ..., ..., ... che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi;
FattoDiritto
1. A seguito di giudizio abbreviato il Tribunale di Roma ha affermato la responsabilità degii imputati in epigrafe in ordine ai reati di incendio colposo e di omicidio colposo plurimo e, concesse le attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 n. 6 cod pen., applicata la diminuente per la scelta dei rito, li ha condannati alla pena di due anni di reclusione con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. La pronunzia è stata confermata dalia Corte d'appello dì Roma.
Il fatto è stato ricostruito nei seguenti termini.
Nel corso della notte due giovani donne ospiti dell'hotel Parco dei Principi inavvertitamente svuotavano nei cestino dei rifiuti un portacenere con alcuni mozziconi accesi, generando fiamme che innescarono l'incendio dell'edificio. Mentre la maggior parte degli ospiti riuscirono a salvarsi attraverso le uscite di sicurezza, un uomo perse la vita nei tentativo di calarsi a terra dal balcone della sua stanza facendo uso di lenzuola annodate; ed altri due persone vennero meno all'interno del bagno nel quale si erano rifugiate. Il fuoco sviluppatosi dalla stanza delle ragazze era stato alimentato dall'apertura delle porte delle stanze e dalle correnti d'aria; e si era propagato in modo diffusivo. L'incendio aveva altresì dato luogo alla propagazione di fumo attraverso i cavedi destinati ai passaggio dell'impiantistica.
In relazione a tali accadimenti è stata elevata imputazione nei confronti di Antonietta B. quale amministratrice e legale rappresentante della società per azioni proprietaria dell'albergo; di Roberto N. quale amministratore di fatto di tale società; e di Giuseppina M. quale direttore dell'albergo e capo della squadra di emergenza aziendale.
2. Ricorrono per cassazione gli imputati.
2.1. B. e N. con unico atto deducono diversi motivi, alcuni dei quali comuni.
2.1.1 Con il primo motivo si lamenta che l'ordinanza con la quale, nei corso dei giudizio di appello, è stata disposta perizia è priva di specifica motivazione in violazione degli articoli 603 e 125 cod. proc. pen., essendosi limitata la Corte ad enunciare genericamente che l'indagine "ai fini della decisione è assolutamente necessaria". Ne consegue la nullità della stessa perizia e della sentenza che da tale atto ha desunto decisivi elementi di giudizio.
2.1.2 Con il secondo motivo si censura la valutazione in ordine agli accertamenti tecnici compiuti dal pubblico ministero. Essi sono stati eseguiti ai sensi dell'art. 359 cod. proc. pen. erroneamente ritenendo che le indagini disposte non determinassero un mutamento dello stato dei luoghi. Tale valutazione è stata condivisa dalla Corte di appello con motivazione solo apparente. Al riguardo i ricorrenti considerano che una struttura alberghiera interessata da un fenomeno incendiario, una volta restituita al proprietario, subisce un inevitabile mutamento finalizzato alla riapertura al pubblico. Nella situazione data si sarebbe pertanto imposto un accertamento tecnico ai sensi dell'art. 360 cod. proc. pen.
2.1.3 Con il terzo motivo, afferente alla posizione dell'imputata B., si censura la ritenuta esistenza di una posizione di garanzia afferente al rischio di incendi ed alla tutela dell'incolumità degli ospiti. Alla donna viene mosso l'addebito di non aver svolto opera di vigilanza sul rispetto e l'attuazione concreta delle misure previste nel piano di emergenza, compresa l'organizzazione del personale inserito nella stessa squadra. Tale profilo di responsabilità, tuttavia, non è stato oggetto di contestazione. L'imputazione fa infatti riferimento ad una condotta attiva consistita nell'aver consentito che in orario notturno la vigilanza fosse espletata da due dipendenti non facenti parte della squadra di emergenza. Non si fa invece menzione di alcuna condotta omissiva.
2-1.4 Con il quarto motivo, sempre afferente alla posizione della B., si lamenta che la colpa consistente nel non aver vigilato sull'adempimento afferente all'organizzazione del personale della squadra di emergenza non può essere imputabile alla ricorrente, giacché l'imputata non aveva assunto su di sé l'obbligo di sovraintendere e coordinare l'impiego di tale personale. L'obbligo gravava interamente sulla M. in virtù del suo ruolo di direttore dell'albergo, nonché di coordinatrice della squadra stessa. La responsabilità dell'imputata va esclusa avendo costei nominato correttamente un preposto altamente qualificato ed avendo fornito tutti gii strumenti idonei alla prevenzione degli incendi. D'altra parte, non è concepibile che l'imputata potesse essere gravata di un controllo giornaliero delle turnazioni del personale, adempimento non afferente alla veste di legale rappresentante della società tanto più in una struttura complessa come quella in esame.
2.1.5 Il quinto motivo afferisce alla posizione dell'imputato S. La responsabilità di costui è stata ravvisata essendosi ritenuto che egli rivestisse la posizione di amministratore di fatto. Tale ruolo, tuttavia, può essere individuato solo sulla base di elementi sintomatici di organico inserimento del soggetto nell'organizzazione. Nella sentenza impugnata si dà atto che l'imputato ha terminato il suo incarico di amministratore unico in data 21 novembre 2001. Subito dopo si afferma in modo indimostrato che l'attribuzione all'imputato della partecipazione azionaria nella misura del 60% si sarebbe verificata allo scopo di evitare il ruolo e gli obblighi dell'azionista unico. Tale motivazione è solo apparente; ed inconferente rispetto alla dimostrazione del lavoro concretamente svolto dopo la cessazione dell'incarico ufficiale. A! riguardo il giudice di merito ha erroneamente tratto argomento da condotte successive al fatto. L'imputato viene erroneamente considerato come proprietario della società di capitali; ed erroneamente ed indimostratamente si assume la prosecuzione di una attività gestatoria che invece era cessata da oltre tre anni. Conclusivamente, il maggior azionista della società di capitali proprietaria dell'albergo non ha posto in essere alcun comportamento omissivo lecito o illecito.
2.1.6 Il sesto motivo attiene alla ricostruzione della dinamica dei fatti e della propagazione dell'incendio. La sentenza si basa, in proposito, sui risultati della perizia disposta in appello. SI è ritenuto che la tempestiva chiusura della porta della stanza in cui l'incendio era stato innescato dalle sue occupanti avrebbe evitato l'evento. Tale valutazione è stata compiuta senza tuttavia consentire la richiesta visione della videoregistrazione relativa al corridoio in cui l'incendio si sviluppò. Tale registrazione avrebbe chiarito che dopo l'innesco del fuoco nella stanza numero 305 la cui porta era stata lasciata aperta dalle due giovani ospiti, il corridoio del terzo piano era già invaso da fumi acri e densi, tali da impedire di percorrerlo senza subire conseguenze gravissime. La visione dello stato del corridoio avrebbe quindi consentito di accertare un dato determinante ai fini della obiettiva ricostruzione della dinamica dei fatti. Incongruamente la Corte d'appello non ha consentito la visione di tale filmato sul presupposto che nella relazione peritale risultavano già richiamate e valutate tali registrazioni. Questa motivazione viene ritenuta dal ricorrente censurabile in quanto rinvia ad un accertamento solo apparentemente compiuto dai periti, avendo costoro fatto esclusivo riferimento ad isolati fotogrammi tratti dal filmato, diversi da quelli di cui si è chiesta la visione. Conclusivamente, la pronunzia di merito ha formulato il suo giudizio senza una diretta valutazione della prova dei fatti, essendosi limitata a richiamare il contenuto della perizia che ha dato una versione solo parziale e soggettiva delle risultanze probatorie.
D'altra parte, la pronunzia è pure censurabile quando attribuisce rilievo all'incompetenza dei facchini intervenuti per primi, privi di nozioni antincendio necessarie. Tale assunto viene ritenuto criticabile giacché, essendo già l'incendio in atto, nessun intervento umano sarebbe risultato idoneo a contenerne gli effetti. La stessa Corte, d'altra parte, omette dì considerare che tutti i dipendenti erano stati resi edotti del piano di emergenza e delle modalità dì intervento.
2.2 L'imputata M. propone diversi motivi.
2.2.3 Con il primo motivo si prospetta violazione di legge e vizio della motivazione per ciò che attiene alla dimostrazione del nesso causale.
Erroneamente si è ritenuto che imputata fosse titolare dì una posizione di garanzia derivante dalla qualifica di capo squadra antincendio e dalla veste di direttrice dell'albergo. Orbene il decreto legislativo n. 626 del 1994 non reca alcuna norma al riguardo e focalizza la responsabilità sulle figure del datore di lavoro e del responsabile della sicurezza, mentre la ricorrente non rivestiva alcuna di tali posizioni. Una posizione di garanzia non può essere ravvisata neppure ove sì voglia equipararla ad una dirigente, poiché l'articolo 2 del testo
normativo in questione consente tale equiparazione solo nell'ambito della pubblica amministrazione. Spettava invece al datore di lavoro ogni onere in merito alla valutazione dei rischi ed alla individuazione delle misure di prevenzione e protezione.
L'imputata, nella sua veste di capo squadra antincendio, era solo deputata a coordinare gli addetti alla lotta antincendio in caso di emergenza ma esclusivamente durante i suoi turni di lavoro. Poiché al momento degli accadimenti la ricorrente non era in servizio non le può essere conseguentemente mosso alcun addebito. Eventuali carenze organizzative vanno
imputate al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, destinatario delle deleghe in materia di sicurezza e non ad un addetto alla gestione delle emergenze, anche se con compiti di caposquadra. La Corte invece non ha mai fatto riferimento alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione come se questi non fosse portatore di alcuna responsabilità in materia.
Si argomenta, ancora, che la predisposizione di un adeguato piano di emergenza, così come tutte le altre misure organizzative, riguardano solo il datore di lavoro, il quale si avvale della collaborazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Viceversa nel contratto di lavoro stipulato dalla imputata non compaiono prescrizioni in merito alla predisposizione e attuazione del piano di emergenza, tanto che essa non ha contribuito alla stesura né ha firmato il piano di emergenza; oltre a non aver mai partecipato alla riunione periodica in ordine alla prevenzione e protezione dai rischi. Pertanto se il piano di emergenza è risultato carente, tale carenza non è ascrivibile alla ricorrente ma piuttosto a chi ha redatto e firmato l'atto. Viceversa la sentenza sembra erroneamente attribuire la responsabilità in questione all'imputato.
Si ribadisce altresì che l'imputata non era responsabile del coordinamento della squadra di emergenza anche in sua assenza, non risultando tale obbligo da alcuna norma. L'imputata, in conclusione, in virtù del suo contratto quale direttrice dell'hotel era una semplice dipendente con compiti esecutivi da svolgere nel caso di emergenza ed ovviamente solo durante i turni di lavoro nei quali era presente.
2.2.2 Con il secondo motivo si censura la pronunzia impugnata con riguardo al profilo afferente all'elemento psicologico. In realtà sia la condotta del portiere che quella del facchino sono state conformi a quanto previsto dai piano di emergenza, come evidenziato dai consulenti della difesa. Costoro sono intervenuti sul luogo ed hanno compiuto la prima operazione doverosa consistita nell'allontanare le due ospiti dal luogo del pericolo. D'altra parte non sarebbe stato possibile chiudere la porta della stanza poiché essa era stata già investita dalle fiamme. Il personale in questione ha d'altra parte immediatamente provveduto a sollecitare l'intervento dei vigili del fuoco.
2.2.3 Il terzo motivo attiene al nesso causale. Si prospetta al riguardo che la motivazione è apparente ed illogica. La responsabilità dei sinistro trova la sua radice nel comportamento delle due ospiti che non solo hanno dato origine all'incendio, ma hanno anche determinato la sua propagazione attraverso l'apertura della porta della stanza. D'altra parte, come emerge dalla visione dei filmati visionati dai consulenti tossicologi, le donne non presentavano patologie da incendio né segni di malessere e mantennero la stazione eretta senza problemi per diversi minuti. Esse erano quindi in condizione di comprendere gli accadimenti ed hanno omesso le condotte che sarebbero state pure necessarie, così determinando la formazione dell'incendio. Tale valutazione esclude che possa essere riconosciuta una responsabilità concorrente dell'imputata. Altrettanta rilevanza nel determinismo dell'evento ha avuto il ritardo dell'intervento dei vigili del fuoco. Infine si ravvisa una condotta colposa delle vittime, che non trova alcuna spiegazione logica, poiché esse sono state colte nel sonno ma hanno adottata la scelta imprudente di rientrare nelle stanze sebbene fossero disponibili e segnalate scale antincendio che consentirono la salvezza a tutti gli altri occupanti dell'albergo. Due ospiti si sono illogicamente chiuse in piccolo bagno, mentre una terza persona ha tentato di salvarsi calandosi dal balcone con un rudimentale sistema basato su lenzuola annodate. Tali condotte completamente incongrue vengono ritenute idonee ad interrompere ii nesso causale: si era in presenza di una situazione di pericolo tale da poter essere agevolmente superata con l'uso della normale diligenza. Rispetto a tali condotte i precedenti accadimenti costituiscono solo mere occasioni.
2.2.4 La difesa di M. ha presentato una memoria con la quale vengono tardivamente dedotti motivi aggiunti.
3. Il ricorso di N. è fondato. Sono invece privi di pregio quelli di M. e B.
3.1 Il primo motivo proposto da B. e N. è infondato, avendo doverosamente la Corte di merito disposto un'indagine peritale per sopperire proprio alle problematiche fattuali prospettate ed avendo congruamente dato conto delle necessità dell'indagine, con implicito ma trasparente riferimento proprio alle incertezze riscontrate. Trattandosi di iniziativa officiosa, avviata per corrispondere ad un bisogno probatorio del giudice, la motivazione adottata è del tutto congrua.
3.2 Quanto agli accertamenti tecnici, la Corte d'appello rileva che, avuto riguardo alla natura dell'incarico conferito al consulente ed alla sostanziale ripetibilità degli accertamenti tecnici sulla base anche dei rilievi eseguiti subito dopo l'incendio ed adeguatamente documentati, l'atto era da qualificare come accertamento tecnico ripetibile. In ogni caso, prosegue ancora la Corte territoriale, si è ritenuto di disporre una indagine peritale ai fini di una esaustiva ricostruzione degli accadimenti; ed al contenuto di tale ampia indagine si è fatto riferimento ai fini dei giudizio. Taie valutazione è immune da censure. Il giudice di merito si è consapevolmente affidato, ai fini della decisione, alle valutazioni dei periti, mentre non hanno assunto decisivo rilievo, nel loro momento valutativo, le preliminari indagini tecniche del pubblico ministero; e questo basta a svuotare di concreto interesse la problematica sollevata a proposito delle ripetibilità dell'atto. D'altra parte I ricorrenti sembrano incongruamente ricondurre l'irripetibilità non alla natura delle operazioni quanto, piuttosto, alla restituzione del bene ai proprietario.
3.3 Per il resto le censure prospettate si riconducono a due temi di fondo che riguardano da un lato la ricostruzione del fatto e le problematiche causali; e dall'altro le posizioni di garanzia e le sfere di responsabilità individuali.
Le questioni fattuali possono essere considerate unitariamente.
La Corte d'appello considera che il fuoco è stato indiscutibilmente determinato dal comportamento gravemente imprudente delle due giovani cittadine statunitensi ospiti della stanza n. 305, che incongruamente svuotarono il portacenere nei cestino portarifiuti. Dopo l'attivazione dell'impianto di allarme un facchino dell'hotel si recò all'ingresso della stanza in questione, ridiscese nella reception e subito dopo risalì al piano. Tale condotta venne tenuta circa nove minuti dopo l'inserimento dell'allarme.
La Corte dà pure atto che in data 3 giugno 2003 era stato redatto un documento denominato piano di emergenza del grande hotel Parco dei principi sottoscritto dall'amministratore unico e legale rappresentante B. nonché dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione P. in attuazione di quanto previsto dalla normativa ministeriale in ordine alla sicurezza antincendio delle strutture ricettive. Detto piano prevedeva la costituzione di una squadra di emergenza antincendio composta da 24 persone munite di apposito patentino, rilasciato dopo la frequentazione di corso di addestramento antincendio. Caposquadra era il direttore dell'albergo M. C. e, in sua assenza, un vice caposquadra.
Si è appurato che la notte in cui accaddero i fatti non era in servizio alcuno dei componenti della squadra di emergenza, bensì solo il portiere ed un facchino. Dunque, il piano era stato sostanzialmente disatteso. Ciò ha impedito di fronteggiare adeguatamente e tempestivamente il focolaio di incendio; cosa che avrebbe potuto essere fatta ad esempio attraverso la chiusura della porta della stanza lasciata aperta dalle due ospiti dopo la loro fuga, nonché di quelle delle altre stanze. D'altra parte, sia il portiere che il facchino erano privi delle cognizioni e dell'addestramento posseduti dai componenti della squadra di emergenza: ciò spiega perché da parte di costoro non fu adottata alcuna idonea iniziativa. D'altra parte, ia presenza di personale qualificato avrebbe anche consentito dì utilizzare tempestivamente gli strumenti in dotazione dell'albergo cioè gli idranti e gli estintori, tanto più che l'albergo era conforme ai requisiti di sicurezza previsti dalla legge. In altri termini, prosegue la Corte, vi erano tutte le condizioni per neutralizzare l'avvio delle fiamme impedendo così che il fuoco si sviluppasse e coinvolgesse l'intero edificio.
Alla luce di tale ricostruzione degli accadimenti e sulla base delle valutazioni compiute dal collegio peritale, che vengono ritenute particolarmente obiettive e scrupolose, la Corte territoriale è pervenuta ad escludere che la maggior parte delle condotte colpose addebitate agli imputati siano state causalmente rilevanti. I termini per l'adeguamento degli arredi alla normativa antincendio non erano spirati e quindi non si configurava un obbligo a carico della proprietà e dei responsabili della gestione della struttura. La struttura stessa era inoltre, nel complesso, conforme ai requisiti di sicurezza antincendio; e munita di valide strutture come una rete di idranti antincendio e di estintori ritenuti idonei, efficienti e conformi alla normativa. L'unico profilo di colpa rilevante viene ritenuto invece la mancanza di componenti della squadra di emergenza antincendio il cui coordinamento era stato affidato all'imputata M. L'assenza di personale qualificato ha impedito che venissero tempestivamente adottate le già indicate misure per lo spegnimento delle fiamme.
Circa i profili causali della vicenda la pronunzia considera che la notte in cui accaddero i fatti un grande albergo con circa 350 posti letto e con centinaia di clienti ospitati non era presidiato da alcun componente della squadra di emergenza, ma solo da due dipendenti completamente inesperti.
Le omissioni hanno avuto rilievo causale in relazione al decesso dei tre ospiti. Due di essi, che si trovavano al quinto piano, furono rinvenuti all'interno del bagno dopo che erano una prima volta usciti dalla stanza e che vi erano poi rientrati precipitosamente a causa del fumo ormai denso che aveva invaso il corridoio, L'altro ospite, come riferito dalla moglie sopravvissuta, tentò di calarsi dalla finestra mediante lenzuola annodate, seguendo l'esempio di altri ospiti ma precipitò su uno dei balconi al primo piano riportando lesioni letali.
Il giudice d'appello esamina la questione dedotta, afferente ai comportamento di tali vittime, che gli imputati ritengono incredibile ed imprudente, non avendo costoro seguito le istruzioni per l'evacuazione dall'albergo, così interrompendo il nesso causale. A tale riguardo si considera, condividendo le valutazioni già espresse dal Tribunale, che è normalmente prevedibile che persone colte dì sorpresa nel sonno da un incendio e da imponente e denso fumo possano essere sopraffatte dal panico tentando di sottrarsi al rischio ponendo in essere manovre disperate. A tali considerazioni la stessa Corte aggiunge che proprio l'assenza di componenti della squadra di emergenza impedì che venissero adottate iniziative efficaci per la evacuazione degli ospiti come del resto previsto dal piano di sicurezza. E' infatti emerso che uno dei due già indicati dipendenti si limitò a salire due volte al terzo piano ma neppure ai piani superiori. Gli ospiti di tali piani furono perciò abbandonati a loro stessi e le vittime, senza adeguate istruzioni per scampare al pericolo, tentarono di sottrarvisi con comportamenti loro suggeriti dalla situazione di pencolo generalizzato. In conseguenza non si tratta per nulla di comportamenti straordinari od imprevedibili considerata anche la situazione di indotta dall'emergenza.
Tale accurata valutazione fattuale, fondata su diverse ed altamente significative acquisizioni probatorie, appare immune da vizi logico-giuridici e non può essere quindi posta in discussione nella presente sede di legittimità. L'argomentazione dimostra senza possibilità di dubbio che un intervento tempestivo ed appropriato di personale qualificato avrebbe condotto alla tempestiva chiusura delle porte e delle imposte, così evitando il propagarsi delle fiamme; ed avrebbe altresì consentito da un lato l'attivazione dei presidi antincendio e dall'altro l'avvio di un'ordinata evacuazione dell'edificio. Non vi è dubbio, dunque, in ordine all'esistenza di nesso causale tra le condotte mancate ed i drammatici eventi. Le censure degli imputati, d'altra parte, quando opinano che l'incendio si sia subito sviluppato in modo incontenibile o che il personale intervenuto fosse sufficientemente qualificato pur non avendo acquisito alcuna formazione antincendio, tentano di ridiscutere impropriamente il merito nella presente sede di legittimità.
La difesa ha sviluppato diffuse ed insistite argomentazioni critiche contro la decisione della Corte d'appello di non visionare i filmati dell'incendio. Ma si tratta di censure prive di pregio.
I filmati, infatti, sono stati attentamente esaminati dai periti che, dopo averli visti, ne hanno tratto deduzioni tecnico-scientifiche che sono state ritenute altamente congrue dalla Corte, in tale situazione la visione diretta è stata ritenuta, con apprezzamento logicamente corretto, inutile. Pure priva di pregio è la doglianza circa il fatto che la perizia allegava un solo fotogramma. Essa potrebbe aver peso se i periti avessero esaminato solo tale fotogramma, ma è implicitamente evidente che il fotogramma selezionato è stato ritenuto particolarmente significativo ed allegato all'elaborato a preferenza di altri; senza che da ciò possa trarsi la deduzione che gli altri fotogrammi non siano stati esaminati o valutati.
Quanto al comportamento delle vittime, è del tutto persuasiva la considerazione che si era in una situazione di emergenza conclamata, sicché non poteva attendersi negli ospiti una condotta improntata al rispetto di regole di comportamento che non erano loro note e che, attesa la drammaticità dei contesto, non erano neppure esigibili. Avrebbe dovuto essere proprio il personale in servizio a predisporre le misure di contenimento del fuoco e di organizzazione della fuga degli ospiti. Dunque, nessuna interruzione del nesso causale può essere prospettata.
Infine, quanto alle ospiti straniere che imprudentemente innescarono l'incendio, con tutta evidenza la loro responsabilità non esclude per nulla quella concorrente degli imputati, alla stregua dei più ovvi principi sia in tema di causalità e che di colpa.
3.4 Quanto alle responsabilità individuali, la sentenza è immune da censure solo per ciò che riguarda le posizioni degli imputati B. e M..
Quanto alla M., la Corte di merito considera che la donna, nella duplice veste di direttrice dell'hotel e di responsabile del coordinamento della squadra di emergenza, avrebbe dovuto assicurare la vigilanza antincendi nell'arco dell'intera giornata mediante la predisposizione dei relativi turni diurni e notturni. Gravava in sostanza su costei un obbligo di garanzia volto ad affrontare il prevedibile verificarsi di situazioni di pericolo. Si rimarca che il direttore di una struttura ricettiva è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti mediante idonea organizzazione dell'attività di vigilanza rispettando cosi oltre alle regole legali anche quelle imposte dalla comune prudenza. L'omissione delle doverose misure si è rivelata di decisiva importanza per le ragioni già in precedenza evidenziate, in connessione con la necessità di isolare il focolaio dell'incendio e di attivare tempestivamente i meccanismi di spegnimento.
Tale valutazione appare immune da censure.
La Corte attribuisce correttamente all'imputata una posizione di garanzia fondata sulla sua veste di dirigente della struttura alberghiera. Tale valutazione è con tutta evidenza immune da censure.
Le critiche della difesa sembrano trascurare che il sistema prevenzionistico nell'ambito della sicurezza del lavoro, si fonda da sempre su tre figure cardine: il datore di lavoro, il dirigente, il preposto. Tali figure incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità e sono tenute ad adottare, nell'ambito dei rispettivi ruoli, le iniziative necessarie ai fini dell'attuazione delle misure di sicurezza appropriate; nonché ad assicurarsi che esse siano costantemente applicate.
In particolare, già ai sensi dell'art 4 del d.P.R. n. 547 del 1955 e dell'art. 1, comma 4 bis del D. Lgs n. 626 del 1994, ed infine nell'ambito del Testo unico sulla sicurezza, il datore di lavoro è colui che esercita l'attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e pieni poteri decisionali e di spesa. In connessione con tale ruolo di vertice, l'ordinamento prevede numerosi obblighi specifici penalmente sanzionati. Tali norme individuano altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato dalla figura del dirigente, che dirige appunto, ad un qualche livello, l'attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione. Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali; ma ha poteri posti ad un livello inferiore. Il terzo livello di responsabilità riguarda la figura del preposto, che sovrintende alle attività (per ripetere il lessico del predetto art. 4 del d.P.R. n. 547) e che quindi svolge funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte.
Il dirigente, dunque, ai sensi della normativa richiamata, nell'ambito de! suo elevato ruolo nell'organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell'assicurare l'osservanza della disciplina legale nel suo complesso; e, quindi, nell'attuazione degli adempimenti che da ultimo l'art. 4, comma 5, dello stesso decreto n. 626 demanda al datore di lavoro. Tale ruolo, naturalmente, è conformato al poteri gestionali di cui dispone concretamente.
In conseguenza del detto ruolo dirigenziale, dunque, l'imputata avrebbe dovuto senza dubbio attuare il piano antincendio, assicurando la costante presenza nella struttura di personale qualificato, in grado di far fronte all'emergenza. Tale omissione, dunque, radica la responsabilità colposa ritenuta dal giudice di merito.
Pure prive di pregio sono le considerazioni a proposito dei ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Anche qui la difesa sembra equivocare tra tale figura e quella, eventuale, del responsabile per la sicurezza, che è il soggetto cui i!l datore di lavoro può delegare incombenze demandategli dal sistema normativo. Nel caso di specie non esisteva alcuna delega al riguardo. D'altra parte, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non ha un ruolo operativo che possa fondare una autonoma posizione di garanzia. Il servizio di prevenzione e protezione, deve essere composto da persone munite di specifiche capacità e requisiti professionali, adeguati ai bisogni dell'organizzazione; ed ha importanti compiti, previsti dall'articolo 33 del T.U. sulla sicurezza (ma già delineati nella precedente normativa), che consistono nella individuazione e valutazione dei rischi, nonché nel proporre le misure preventive e protettive di cui all'articolo 28. Tale figura ha quindi importanti funzioni di supporto informativo, valutativo e programmatico ma non ha poteri gestori che possano fondare un'autonoma sfera di responsabilità. Da ciò discende che i'imputata impropriamente tenta di riversare su altri soggetti le proprie responsabilità istituzionali.
Infine, quanto alla posizione della detta ricorrente, pure prive di pregio sono le considerazioni in ordine alla opinata correttezza dei comportamento operativo del personale presente al momento dell'evento. Tale tesi confuta il ben argomentato apprezzamento in fatto compiuto dalla Corte d'appello anche alla luce delle valutazioni dei periti: sarebbero state necessarie le iniziative cui si è già sopra fatto cenno e che, invece, non vennero per nulla attuate. Tale valutazione in fatto non può essere ulteriormente discussa davanti a questa Corte suprema.
3.5 Quanto alla posizione di B. la Corte d'appello ritiene che, attesa la veste di amministratore e legale rappresentante della società proprietaria dell'albergo, si configura una posizione di garanzia quale datore di lavoro. Le deve essere fatto carico della omissione di vigilanza sui rispetto e l'attuazione delle cautele e delle misure previste nel piano di emergenza, compresa l'organizzazione della presenza, suddivisa in turni, di personale inquadrato nella squadra di emergenza. L'imputata era pienamente consapevole di tali obblighi avendo sottoscritto lo stesso piano di emergenza. D'altra parte, costei, proprio sottoscrivendo tale documento, ha mostrato di esercitare anche sostanzialmente le funzioni connesse al suo ruolo di vertice nella società.
Si tratta di valutazione conforme ai più consolidati principi sopra indicati in ordine alla sfera di responsabilità della figura di vertice (ii datore di lavoro) della disciplina prevenzionistica dì cui si discute. D'altra parte, la circostanza che presso l'albergo esistesse una figura di dirigente, cui -come si è visto- era demandata la concreta organizzazione del servizio antincendio previsto nell'apposito piano, non esonera per nulla da responsabilità la ricorrente, incombendole pur sempre l'essenziale e non delegabile obbligo di vigilanza. Tale obbligo è da intendersi non nel senso di dover costantemente ingerirsi nell'organizzazione del servizio, quanto piuttosto nell'assicurarsi che esso fosse adeguatamente strutturato ed operativo, anche attraverso l'organica predisposizione di turni di presenza di personale qualificato ed esperto, in grado di far fronte alle emergenze. Tale omissione radica la responsabilità, come ritenuto dalla Corte d'appello. In ordine a tale centrale aspetto del processo l'imputata si è sempre difesa, sicché non può configurarsi difetto della contestazione.
3.6 Infine quanto alla posizione dell'imputato N., la Corte d'appello evidenzia che egli è risultato proprietario della maggioranza delle azioni e nudo proprietario delle rimanenti allo scopo, si è ritenuto, di evitare il ruolo e gli obblighi dell'azionista unico previsti dall'articolo 2362 cod. civ. Costui è risultato quindi proprietario sostanziale della ridetta società ed ha esercitato una attiva ingerenza nella gestione. Egli, infatti, si e occupato degli interventi e della riparazione e ristrutturazione delle parti danneggiate dall'incendio sulla base delle note indirizzate dalle varie ditte esecutrici. E, pur essendosi in presenza di elementi di fatto successivi alla data del sinistro, essi sono logicamente idonei a legittimare il convincimento che l'imputato, nonostante la sua sostituzione nella carica di amministratore unico, non smise in effetti di ingerirsi concretamente nell'amministrazione. Tale valutazione già espressa dal Tribunale viene condivisa dalla Corte d'appello. Dunque costui avrebbe dovuto vigilare in ordine all'adozione delle misure concernenti l'incolumità degli ospiti. La squadra di emergenza era stata costituita, erano state individuate le norme di comportamento e le procedure da attuare utilizzando i componenti della squadra stessa; e si trattava perciò di svolgere una non episodica bensì continuativa attività di vigilanza e controllo sull'effettiva attuazione degli obblighi in questione.
Tale apprezzamento appare criticabile.
La responsabilità viene sostanzialmente basata sul ruolo di proprietario esclusivo del bene e di amministratore di fatto; tuttavia a sostegno di tale assunto non vengono addotte prove concludenti. Si esprime un convincimento che è basato su condotte tenute post factum, significative ma non sufficienti a ritenere che nel tempo anteriore, il N. si sia ingerito nella gestione. Manca l'analisi di qualsiasi dato probatorio afferente a tale anteriore epoca e, dunque, la motivazione è carente quanto alla dimostrazione della responsabilità. La pronunzia deve essere sotto tale riguardo annullata con rinvio, affinché la Corte d'appello riconsideri l'intera vicenda con particolare riguardo anche alle condotte anteriori al fatto, al fine di verificare se la prospettata ingerenza si sia effettivamente concretizzata in modo obiettivo ed indiscutibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di N. Roberto con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.
Rigetta i ricorsi di B. Antonietta e M. Giuseppina, le quali condanna al pagamento delle spese processuali.
Roma, 7 aprile 2011
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