Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 20103 | 08 Maggio 2018
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Infortunio mortale - Mancanza di formazione sui rischi dell'attività
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20103 Anno 2018
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 30/01/2018
1. Con sentenza del 6/7/2016, la Corte di appello di Catanzaro, confermava la pronuncia emessa in data 20/5/2014 dal G.i.p. del Tribunale di Castrovillari che riteneva responsabile S.G. del delitto di omicidio colposo con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione, pena sospesa.
2. Era contestato al ricorrente di avere cagionato la morte dell'operaio I.R., cittadino rumeno, perché, alla guida di un trattore, all'interno della sua azienda, investiva con la fresa il dipendente, che era risucchiato dall'ingranaggio del macchinario. Si individuavano a carico di S.G., quale datore di lavoro del deceduto, profili di colpa generica consistiti in negligenza, imperizia ed imprudenza nonché, di colpa specifica, riconducibili alla violazione dell'art. 26, comma primo, d.lgs. n. 81/2008, in quanto, avendo reclutato I.R. per effettuare lavori agricoli nel suo terreno, ometteva di fornire allo stesso dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro e sulle misure di emergenza da adottare ed inoltre, nell'aver operato con la suddetta macchina agricola nei pressi del lavoratore, mancando di adottare le opportune cautele in fase di manovra.
Era altresì contestato al ricorrente il reato di cui all'art. 26, comma 1 lett. b), comma 2, d. Lgs 81/2008.
3. Avverso la pronuncia di condanna proponeva ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, che deduceva quanto segue.
Primo motivo: violazione di legge con riferimento agli artt. 40 e 42, cod. pen.; vizio motivazionale. Secondo la difesa i giudici di merito non avrebbero fornito adeguata risposta alle censure svolte in sede di appello, che mettevano in evidenza la irrazionalità della decisione di attribuire la causa dell'infortunio alla imprudente condotta di guida dello S.G.. Insoddisfacente sarebbe la ricostruzione del fatto operata nella sentenza ove non si chiarisce il motivo per cui il lavoratore era intento a ripulire una parte del terreno che era già stata arata nei giorni precedenti. Sarebbe apparente e contraddittoria la motivazione offerta in ordine al nesso di causalità tra la condotta del ricorrente ed il tragico evento, che viene ascritto alla imprudenza di guida ed alla mancata informazione del I.R. sui pericoli a cui era esposto nel lavoro che stava svolgendo. Così argomentando il giudice di appello non avrebbe considerato fattori diversi, quali la disattenzione e la imprudenza del I.R. il quale, secondo le emergenze processuali, non doveva trovarsi nel luogo in cui si era verificato l'impatto, ma in una zona di lavoro distante 60 metri.
I giudici avrebbero dovuto soffermarsi sulla efficienza causale della iniziativa autonoma del lavoratore il quale si allontanò notevolmente dal suo posto di lavoro, astraendosi in conversazioni telefoniche, in violazione degli obblighi imposti dall'art. 20 d. Lgs 81/2008.
Non sarebbe stata fornita alcuna apprezzabile giustificazione in ordine al contenuto delle informazioni che avrebbe dovuto ricevere il lavoratore, atteso che l'infortunio era dipeso da sue condotte imprudenti ed imprevedibili.
Secondo motivo: violazione dell'art. 62 n. 6, cod. pen. e vizio motivazionale con riferimento al mancato riconoscimento della suddetta attenuante. La difesa lamentava il mancato riconoscimento dell'attenuante in parola. L'accertamento di fatto della sussistenza dei presupposti normativi di cui all'art. 62, n. 6 c.p., comprovati dalla rinuncia alla costituzione di parte civile degli eredi del I.R., avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a riconoscere l'attenuante del risarcimento del danno, che era stata erroneamente negata sulla base del mancato assolvimento di un onere allegativo da parte dell'appellante.
Terzo motivo: violazione dell'art. 26 d. Lgs 81/2008; violazione dell'art. 157, cod. pen. e vizio di motivazione. I giudici di merito sarebbero incorsi in una erronea interpretazione della normativa di prevenzione sui luoghi di lavoro contestata al capo B) della imputazione. Tuttavia, sarebbe maturato il termine di prescrizione del reato contravvenzionale in questione, in epoca anteriore alla sentenza di appello (06/07/2016). Pertanto si chiedeva la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, con ogni conseguente effetto sul trattamento sanzionatorio.
1. I motivi dedotti dal ricorrente quanto al capo A) della rubrica, concernente la imputazione di omicidio colposo, sono infondati e, pertanto, il ricorso sul punto deve essere rigettato.
2. Quanto al reato contravvenzionale contestato al capo B) della rubrica, risulta maturato il termine massimo di prescrizione, pari ad anni cinque, da farsi decorrere dall'epoca della sua consumazione, coincidente, nel caso in esame, con la data dell'accertamento (30/3/2011). Ciò, anche tenuto conto del periodo di sospensione della prescrizione, intervenuto nel corso della celebrazione del giudizio di primo grado, pari a giorni ventotto. Pertanto, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, limitatamente al reato sub capo B) della contestazione, la sentenza deve essere annullata senza rinvio, per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione, il cui termine è spirato in data 27/4/2016, non rilevandosi elementi che possano consentire, all'evidenza, un proscioglimento nel merito.
3. Quanto alle doglianze avanzate dalla difesa con riguardo alla pronuncia di responsabilità per il delitto di omicidio colposo, deve rilevarsi come la Corte d'appello abbia dato conto, in modo succinto ma non carente, delle ragioni poste a fondamento della sua decisione, fornendo esauriente risposta ai rassegnati motivi d'appello proposti dalla difesa, analiticamente richiamati nel corpo delta motivazione.
In ordine alla ricostruzione dell'evento, i giudici di merito, nelle due sentenze conformi, hanno ritenuto provato che il lavoratore fosse stato travolto dalla macchina fresatrice condotta dal ricorrente, sulla base degli accertamenti effettuati nel corso delle indagini e della consulenza medica, confluiti nel fascicolo dibattimentale per effetto della scelta del rito abbreviato. Sul punto, è circostanza incontestata, da parte della difesa, quella che attiene alle modalità dell'infortunio cui è conseguito il decesso del lavoratore, per le quali nessuna censura viene avanzata in sede di ricorso, sebbene la difesa metta in dubbio che la ricostruzione della dinamica dell'infortunio, come prospettata dai giudici di merito, possa coinvolgere la responsabilità del proprio assistito. E, d'altro canto, che il lavoratore sia stato risucchiato dalla macchina agricola e che il suo corpo sia stato maciullato dalle lame taglienti è un fatto innegabile.
Il vizio decisionale lamentato nel ricorso si appunta sulla valutazione della condotta di guida dello S.G. che, secondo la difesa non poteva ritenersi imprudente e sulla incidenza causale della ritenuta violazione dell'art. 26 d. Lgs 81/2008 sull'evento mortale. In base a tali argomentazioni, si sostiene un difetto di prova del nesso causale tra la condotta dello S.G. e l'evento mortale.
L'assunto difensivo, come messo in rilievo dai giudici di merito, è infondato. Sul punto la Corte territoriale in uno con il giudice di primo grado, ha offerto una risposta adeguata e condivisibile: la mancata informazione del lavoratore sui rischi connessi al lavoro da svolgere si pone come sicuro antecedente causale dell'evento morte del lavoratore. Tale affermazione scaturisce dall'osservazione precisa della situazione di fatto accertata attraverso l'istruttoria dibattimentale e non è frutto, come rileva il difensore, di una apodittica riconduzione dell'evento alla imprudente condotta di guida dello S.G. e di una disattenta ricostruzione del fatto.
L'attenta analisi delle emergenze processuali ha indotto la Corte territoriale a ritenere che il lavoratore non aveva ricevuto nessuna istruzione sui rischi connessi al lavoro da svolgere. Se il I.R. fosse stato reso edotto di tali rischi e, in particolare, della contestuale operazione di fresatura in corso di svolgimento con il trattore guidato S.G., l'infortunio si sarebbe evitato. Pertanto, ha dato corso, in maniera adeguata e corretta, al cd. giudizio esplicativo, che costituisce il necessario presupposto del giudizio controfattuale (così Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013, Rv.256941). Sulla base del concreto svolgimento dei fatti, acquisita una conoscenza completa della dinamica dell'infortunio, che risulta sostenuta da argomentazioni coerenti e logiche, la Corte territoriale ha evidenziato le regole cautelari violate, esprimendo il giudizio predittivo circa l'attitudine salvifica del comportamento doveroso che il datore di lavoro aveva mancato di attuare, consistente nella formazione del lavoratore e nell'obbligo di informarlo dei rischi connessi all'attività in cui era impiegato.
L'alternativa propugnata dalla difesa nell'atto di appello e nel ricorso, sovrappone al preciso andamento fattuale e logico dei giudici, una diversa ricostruzione delle circostanze dell'accaduto che non può trovare ingresso in sede di legittimità, dove non sono ammesse censure in fatto.
Sotto questo profilo, la difesa si limita a contrastare il ragionamento dei giudici, affermando che il lavoratore si doveva trovare in altro luogo e che l'infortunio era avvenuto perché il I.R., impegnato in una conversazione telefonica, non si era accorto della presenza della fresatrice. Le circostanze addotte dalla difesa, analizzate dai giudici, sono state ritenute prive di fondamento. La Corte territoriale ha osservato che, ove fosse vera la prospettazione difensiva, "proprio il fatto di stare al telefono, invece, avrebbe dovuto portare il lavoratore ad accorgersi dell'avvicinarsi della fresatrice visto che il rumore enorme da essa prodotto sicuramente gli impediva di sentire il suo interlocutore. Questo lo avrebbe indotto ad allontanarsi dalla fonte del rumore e non ad avvicinarsi".
La spiegazione fornita sul punto appare immune da vizi logici e, in quanto tale, non meritevole di censure.
4. Quanto alla possibilità di ravvisare un comportamento abnorme del lavoratore, occorre rilevare, in primo luogo, come tale evenienza tragga spunto dalla ricostruzione prospettata dalla difesa, secondo la quale il I.R., disattendendo le indicazioni del datore di lavoro, era uscito dalla zona di lavoro in cui doveva collocarsi, parlando al telefono in modo distratto.
La Corte territoriale ha affermato che, se anche fosse veritiera l'alternativa ricostruzione offerta dalla difesa, è da escludersi che la condotta del lavoratore potesse essere idonea ad interrompere il nesso causale con l'evento verificatosi, in presenza delle vistose violazioni in cui era incorso l'imputato.
Come è noto, nell'ambito della materia della infortunistica sul lavoro, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, quello in base al quale il rapporto di causalità tra la condotta omissiva del garante della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo, deve ritenersi interrotto, ai sensi dell'art. 41, comma secondo, cod. pen., solo nel caso in cui sia dimostrata l'abnormità del comportamento del lavoratore. Nel caso in esame, i giudici di merito, hanno correttamente osservato che la condotta del lavoratore non poteva ritenersi connotata dall'abnormità, per stranezza, imprevedibilità ed eccentricità delle sue caratteristiche.
L'assunto dei giudici di merito è conforme ai principi più volte affermati dalla Corte di legittimità in proposito. E' orientamento costante, in materia di infortuni sul lavoro, quello in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria delia lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell’eccezionaiità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (così ex multis, Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Rv. 236721).
Pertanto, può definirsi abnorme soltanto la condotta del lavoratore che si ponga ai di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate (così, Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005, Rv. 232420).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza o di violazioni delle norme poste a presidio della sicurezza dei lavoratori, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza di questa Corte, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli, (così, ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421).
5. Nel secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della denegata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen.
Afferma, che il G.u.p. aveva espressamente dato atto in sentenza che era intervenuto il risarcimento in favore degli eredi della vittima. Tale affermazione, tuttavia, non si era tradotta nella concessione della invocata attenuante. La questione era stata proposta innanzi alla Corte territoriale che aveva rigettato la richiesta, sostenendo che non vi fosse prova dell'avvenuto integrale risarcimento.
Argomentando in tale modo, la Corte territoriale avrebbe introdotto, secondo la difesa, un elemento valutativo nuovo, dissonante rispetto a quello espresso dal primo giudice.
La questione è infondata. Bisogna evidenziare quali condizioni consentano di concedere l'attenuante in parola, ai fini di una corretta disamina della proposizione difensiva.
Ebbene, secondo una interpretazione costante della Corte di legittimità, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale e la valutazione sulla sua congruità è rimessa al giudice, che può anche disattendere un eventuale accordo transattivo intervenuto tra le parti (così ex multis Sez. 2, n. 53023 del 23/11/2016, Casti, Rv. 268714; conformi: Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508; Sez. 1, n. 5767 del 08/01/2010, Scotuzzi, Rv. 246564).
Risulta, dalla consultazione degli atti a cui questa Corte ha avuto accesso in ragione della natura della doglianza sollevata dalla difesa, che nessuna prova è stata offerta in udienza, innanzi al G.u.p., della entità della somma corrisposta a titolo di risarcimento, risultando recepita dal giudice una dichiarazione da cui risultava la rinuncia alla costituzione di parte civile per l'avvenuto risarcimento dei danni. Come ha correttamente osservato la Corte territoriale, tale elemento non consentiva di svolgere alcuna forma di valutazione in ordine alla congruità della somma corrisposta. Pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto di condividere, con motivazione immune da censure, la decisione assunta dal primo giudice che non aveva concesso l'attenuante. La contraddizione rilevata dalla difesa tra la motivazione offerta dalla Corte territoriale e l'affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo la quale era avvenuto il risarcimento in favore degli eredi della vittima, è solo apparente. Il giudice di primo grado, non ha espresso alcuna valutazione sulla entità della somma ricevuta dagli eredi della vittima, essendosi limitato a prendere atto di un avvenuto risarcimento che, evidentemente, non potendo essere valutato in termini di congruità, ha ritenuto idoneo ai fini della concessione delle attenuanti generiche in rapporto di prevalenza rispetto alla contestata aggravante.
6. Per effetto della intervenuta estinzione del reato contravvenzionale di cui al capo B) della rubrica, la pena inflitta all'imputato può essere rideterminata da questa Corte in mesi sei, giorni venti di reclusione per il residuo reato di cui all'art. 589 cod. pen.
E' d'uopo rilevare che la Corte di cassazione, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, può procedere direttamente alla rideterminazione della pena, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 620, lett. I), cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 1, comma 67, della legge n.103 del 2017, sulla base degli elementi di fatto che emergono dal giudizio di merito (così Sez. 2, n. 4594 del 17/01/2018, Rv. 272019).
Nel caso in esame si è operato un mero calcolo matematico di esclusione del segmento di pena inflitto dai giudici di merito, a titolo di continuazione, per il reato contravvenzionale.
7. Deve pertanto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo "B" perché è estinto per prescrizione. Si ridetermina la pena in ordine al residuo reato di cui all'art. 589 cod. pen. di cui al capo "A" in mesi sei giorni venti di reclusione. Si rigetta nel resto il ricorso.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo "B" perché è estinto per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso. Ridetermina la pena in ordine al residuo reato di cui all'art. 589 c.p. di cui al capo "A" in sei mesi e venti giorni di reclusione.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2018
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