Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2017, n. 3300
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Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2017, n. 3300 - Infortunio con il macchinario: comportamento imprudente ma non abnorme del lavoratore. Responsabilità della datrice di lavoro
1. La Corte d'appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, su gravame di F.E.C., ha confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti di costei dal Tribunale di Frosinone in data 8.06.2011, in ordine al delitto di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle leggi antinfortunistiche.
1.1 Il fatto addebitato all'imputata: il giorno 15.1.2006, nella qualità di datrice di lavoro, in quanto rappresentante legale della società "Nuovo Centro Solai F. S.r.l.", cagionava l'infortunio occorso al dipendente S.V., Questi, mentre operava nel reparto "scassero", ultimo stadio dell'impianto di trasporto per elementi prefabbricati in cemento, ed era intento a rifornire il nastro trasportatore della macchina, denominata "depuratore di palette", collocando sui "vassoi" i separatori metallici e le calamita che raccoglieva da terra, perché prodotti di precedenti pulizie di vassoi, veniva agganciato alla gamba sinistra dallo spigolo esterno del vassoio che lo schiacciava contro una colonnina metallica di scorrimento del vassoio; in ragione di tanto subiva lesioni personali giudicate guaribili in un tempo superiore ai 40 giorni.
1.2 I profili di colpa a carico dell'imputata venivano individuati dai giudici del merito nella violazione della disposizione di cui all'art. 35, n. 2 e 38 D.lvo 626/94 ed in particolare perché: a) la zona in cui è avvenuto l'infortunio era priva di adeguate barriere che impedissero l'accesso all'area durante la movimentazione dei vassoi; b) il macchinario era privo di protezione contro i contatti accidentali; c) l'infortunato aveva ricevuto informazione e formazione a livello soltanto formale, a fronte dell'obbligo del datore di lavoro di fornire anche una formazione specifica, da intendersi come un'azione positiva e concreta volta ad assicurarsi che le regole vengano assimilate dai lavoratori e rispettate nella prassi; d) l'infortunato ha dichiarato di aver ricevuto istruzioni di salire sul carrello da un altro operaio, e ciò dimostrerebbe l'esistenza di una prassi pericolosa che il datore di lavoro aveva l'obbligo di far cessare.
2. Ricorre per cassazione l'imputata affidando il ricorso a quattro motivi.
2.1 Con il primo denuncia contraddittorietà della motivazione e conseguente violazione del combinato disposto degli arti. 40 e 590 cod. pen.. Quanto al punto a) è irrilevante ai fini della sussistenza del nesso causale la circostanza che non siano state predisposte barriere idonee ad impedire l'accesso del personale all'area dove è avvenuto l'infortunio. Infatti, le barriere di interclusione avrebbero dovuto prevenire gli infortuni connessi all'intrusione nel reparto di persone non addette al lavoro, in quanto non esperte del funzionamento delle macchine di "scassero", nonché gli infortuni che sarebbero, comunque, potuti derivare agli operai che lavoravano in zone contigue. Lo S.V. non era una persona esterna, bensì un operaio impiegato a lavorare proprio con il macchinario di movimentazione dei carrelli, dunque, formato per intervenire all'interno del perimetro che sarebbe stato delimitato dalle barriere. Di conseguenza, anche se tali barriere fossero state predisposte, l'evento si sarebbe verificato ugualmente.
2. 2 Con il secondo motivo si denunciano altro vizio di motivazione ed erronea applicazione dell'art. 35, n. 2 d.lgs 626/94 e art. 41, co. 2 cod. pen.. Erra la Corte del merito a ritenere che il macchinario di movimentazione dei carrelli era privo di protezioni atte a prevenire contatti accidentali in danno degli operatori addetti, poiché: a) esso era di recente fabbricazione e conforme alla normativa italiana ed europea; b) la velocità di spostamento dei carrelli era minima (circa un metro ogni trenta secondi), per cui il rischio concreto connesso alla movimentazione era del tutto marginale; c) proprio al fine di ridurre al minimo il rischio era stato predisposto il dispositivo di sicurezza del pulsante c.d. ad uomo presente. Tale meccanismo era controllato da altro dipendente il quale era in grado di intervenire; d) la movimentazione dei carrelli era accompagnata da apposita segnalazione acustica; e) la mansione cui era addetto la p.o. era oggettivamente semplice e non rischiosa. E' chiaro dunque, per la ricorrente, che l'infortunio è avvenuto a causa della condotta anomala, imprudente e distratta tenuta dallo S.V. che è salito sul carrello trasgredendo le precise direttive impartitegli, che non si è avveduto del sopraggiungere del carrello nonostante la sua lentezza e la segnalazione acustica. L'Infortunio è dipeso anche dalla contemporanea condotta negligente dell'operatore addetto al comando c.d. uomo a terra, avendo l'imputata predisposto un ambiente di lavoro adeguato ed essendo l'infortunio avvenuto a causa di queste due concomitanti circostanze.
2. 3 Il terzo motivo ha ad oggetto altro vizio di motivazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 40 e 590 cod. pen., poiché l'infortunio non è stato determinato da mancanza della necessaria competenza tecnica del lavoratore. S.V. aveva avuto precise direttive di non salire sui carrelli e di non accedere all'area mentre essi erano in movimento e le ha trasgredite e questo risulta dagli atti. Né può essere interpretato l'art. 38 d.lgls 626/94 nel senso che esso imponga al datore di lavoro un obbligo di vigilanza nei confronti del lavoratore, bensì solo di addestrarlo alle sue mansioni.
2. 4 Il quarto motivo è relativo alla censura di travisamento della prova in relazione alla argomentazione sub d), con conseguente vizio di motivazione. La Corte d'appello travisa la prova relativa all'esistenza di una prassi pericolosa, assolutamente non acquisita agli atti, cioè quella di consentire agli addetti alla rimozione dei prodotti di scarto di salire sul carrello. Invero, lo S.V. ha affermato che a suggerirgli di salire sul carrello era stato altro operaio, l'albanese; che sussistesse una prassi era una mera supposizione della p.o., la sua affermazione in tal senso è assolutamente non credibile, perché in contraddizione, in quanto, essendo stato assunto da appena tre giorni, non poteva riferire su di una prassi consolidata in azienda.
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Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2017, n. 3300.pdf Cassazione Penale, Sez. 4 |
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