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Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 35058 | 23 settembre 2021

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale, Sez. 4, 23 settembre 2021, n. 35058

Infortunio con un tornio. Il comportamento di un lavoratore chiamato ad utilizzare un macchinario senza essere stato preventivamente formato non può essere considerato esorbitante

Penale Sent. Sez. 4 Num. 35058 Anno 2021
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 16/02/2021

Fatto e diritto

1. La Corte di appello di Brescia, ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Bergamo nei confronti di S.F.C., per aver riconosciuto la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. e, conseguentemente, ridotto la pena, confermando nel resto.
2. L'imputato è stato chiamato a rispondere del delitto di cui agli artt. 113, 590, commi 1,2 e 3 in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1, cod. pen., perché, in qualità di legale rappresentante della S. Tech s.r.l., e dunque di datore di lavoro, per colpa generica nonché per inosservanza di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, cagionava a P.G. dipendente dell'anzidetta società, lesioni personali ("trauma torace- addominale con rottura splenica e frattura dell'omero sinistro"), dalle quali derivava una malattia superiore a quaranta giorni.
All'imputato veniva originariamente contestato di aver messo a disposizione dei lavoratori il tornio parallelo di tipo manuale tipo DANIA 245x 2000, matricola 210134, privo di microinterruttore atto ad impedire l'apertura dello schermo protettivo durante il ciclo di lavorazione e dotato, inoltre, di schermo di scarsa consistenza - inidoneo ad offrire adeguata e completa protezione in caso di proiezione di una massa importante violentemente espulsa dal tornio - ed opaco al punto da rendere difficile, per il lavoratore, operare a protezione abbassata; di aver omesso di adottare adeguate misure tecniche ed organizzative atte a garantire l'utilizzo corretto del macchinario, ossia che lo stesso fosse utilizzato a lavorare pezzi di dimensioni non eccessive, in particolare per scongiurare il rischio di proiezione di oggetti; di aver omesso di fornire al lavoratore infortunato adeguata formazione ed informazione specifica sull'uso della macchina, in maniera tale da porlo in condizione di valutare l'inadeguatezza della stessa per eseguire le lavorazioni richieste. Con la conseguenza che, mentre il lavoratore utilizzava il predetto tornio, il pezzo cilindrico in acciaio in lavorazione - a causa della rottura di schianto della griffa n. 3 del mandrino autocentrante, per eccesso di sforzo determinato dal montaggio di un pezzo di diametro eccessivo e dal concomitante contatto accidentale dell'utensile sul pezzo in lavorazione - si liberava dal mandrino, proiettandosi verso il lavoratore procurandogli le lesioni sopra descritte.
3. L'affermazione di responsabilità dell'imputato si è unicamente fondata sul profilo di colpa specifica relativo alla mancata formazione ed informazione del lavoratore infortunato sull'utilizzo dell'anzidetto tornio, in violazione dell'art. 73, comma 1, d.lgs. 81/2008.
4. Avverso la sentenza di appello ricorre l'imputato, a mezzo del difensore, sollevando tre motivi con cui deduce:
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 71, 73 d.lgs. 81/2008 quali profili di colpa specifica del contestato reato: diversamente da quanto assume la Corte territoriale, le risultanze dell'istruttoria dibattimentale hanno evidenziato che il dipendente P.G. era perfettamente formato ed in grado di usare correttamente il tornio in questione. La Corte di appello ha omesso di valorizzare il fatto che la teste a carico L. della ASL aveva confermato come l'infortunato fosse un lavoratore esperto nell'utilizzo di questi macchinari. L'impugnata sentenza appare illogica e contraddittoria anche laddove adombra una costante prassi scorretta nell'uso delle macchine tornitrici all'interno dell'azienda: se l'utilizzo scorretto di griffe, tornio e misura dei pezzi in lavorazione fosse stato costante, infatti, vi sarebbero state più rotture che invece non si sono verificate. L'affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui la persona offesa non aveva a disposizione schemi operativi o strumenti per misurare i diametri dei pezzi in lavorazione, è frutto di una deduzione sfornita di riscontri.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 40 e 41 cod. pen., laddove la Corte del merito esclude che la condotta del P.G. sia stata esorbitante. Costui, tornitore esperto e come tale assunto, non solo ha errato nella scelta del tornio per compiere l'operazione ma ha anche proceduto in maniera errata ad agganciare il pezzo alle griffe. Si è trattato, pertanto, di condotta abnorme ad interrompere il nesso di causa tra azione ed evento del reato;
4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 69 cod. pen. con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
5. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
6. Fornire adeguata formazione ai lavoratori è uno degli obblighi principali gravanti sul datore di lavoro e, in generale, sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena Livio, Rv. 278603; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042). Costituisce assunto pacifico in giurisprudenza che il datore di lavoro risponda dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 45808 del 27/06/2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079). È, infatti, tramite l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui essi sono esposti (Sez. 4, n. 11112 del 29/11/2011, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729). Ove non adempia a tale fondamentale obbligo, egli sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, laddove l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento. Né può venire in soccorso del datore di lavoro l'eventuale comportamento imprudente posto in essere dal lavoratore non adeguatamente formato. Il datore di lavoro che non adempia ai predetti obblighi di informazione e formazione, gravanti su di lui e sui suoi delegati, risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015, Vallani, Rv. 265178). Si è poi ulteriormente specificato che l'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (Sez. 4, n. 22147 del 11/02/ 2016, Marini, Rv. 266860). Ciò in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro (Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 259219).
7. La Corte territoriale ha poi illustrato, in maniera adeguata, come la carenza di formazione ed informazione di P.G., risultata con evidenza dall'istruttoria dibattimentale, abbia rappresentato l'esclusiva ragione della verificazione dell'incidente. Al riguardo ricorda che l'infortunato, nel corso della sua deposizione, aveva spiegato che, per i pezzi cilindrici di quella dimensione - ossia di diametro eccessivo rispetto alla compatibilità con il tornio-, egli era solito usare, «perché così gli era stato insegnato», il tornio a controllo numerico (che è "una macchina più grossa che prende anche pezzi più grossi"), per la prima fase di lavorazione ed il torno Dania per la finitura; e che non aveva a disposizione le cartelle con i diametri e "visto che gli era sempre stato detto di farlo lì, l'aveva sempre fatto così...". Gli era sempre stato insegnato che "fino a che prendeva due o tre denti il tornio era sicuro". Aveva, altresì, riferito di aver frequentato una scuola professionale ma che, uscito da quella, non sapeva neanche che cosa fosse un tornio, avendolo appreso durante la sua attività alla ditta A.. La Corte territoriale evidenzia, poi, che analoghe indicazioni erano state fornite dal capo officina, D.C., il quale confermava che la procedura usuale di lavorazione di pezzi di quel tipo prevedeva, in una prima fase, l'utilizzo del tornio a controllo numerico e, per la fase dell'intestatura", il passaggio al tornio tradizionale, ossia il tornio Dania sul quale si verificava l'infortunio o uno di più recente fabbricazione ma con identiche caratteristiche, senza che fosse ravvisata alcuna anomalia nella procedura seguita dalla persona offesa. La scelta tra i due torni a disposizione, poi, dipendeva da quale dei due fosse libero. Dal che la sentenza impugnata congruamente desume che anche il capo officina dava «prova di non essere minimamente informato sui limiti di utilizzo del tornio Dania, sulla necessità di verificare preventivamente il diametro del pezzo e sull'opportunità, segnalata dal consulente della difesa, di servirsi di un set di griffe diverse in modo da adattare il mandrino alle dimensioni del pezzo da rifinire».
8. Quanto sinora richiamato sul valore, in termini di effettiva sicurezza, della funzione di formazione del lavoratore conduce a ritenere manifestamente infondato anche il secondo motivo concernente la pretesa abnormità del comportamento della persona offesa. Sul punto, occorre ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia assolutamente costante nel ritenere che la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386). Si è, in particolare, precisato che, per potersi parlare di abnormità del comportamento del lavoratore, è necessario che esso sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti Federica Micaela, Rv. 280914; Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603). Niente di tutto ciò è riscontrabile nel caso di specie, nel quale il rischio concretizzatosi nell'evento non può certo dirsi esorbitante o diverso rispetto a quello connesso al compito affidato al lavoratore. Sul punto la Corte di appello ricorda come il comportamento del P.G., chiamato ad eseguire un'operazione per la quale non era stato adeguatamente formato e, in particolare, ad utilizzare un macchinario senza essere stato preventivamente informato dei suoi limiti di utilizzo, non possa essere considerato esorbitante essendo, invece, esso il risultato della carenza di istruzione, potendo esso essere considerato eccezionale o abnorme solo se egli avesse deciso di agire impropriamente pur disponendo di tutte le informazioni necessarie. E così, conseguentemente, afferma che di fronte «all'accertata carenza di formazione specifica del lavoratore, resa palese dal contenuto del suo esame e dalle parole del suo capo officina... è irrilevante stabilire se effettivamente tra gli altri torni presenti in azienda ve ne fossero di più adatti per svolgere quella lavorazione... o se P.G., giacché non adeguatamente formato ed erroneamente convinto che due o tre griffe fossero sufficienti a scongiurare il distacco del pezzo, abbia scelto il set di griffe meno adatto». La sentenza impugnata non trascura poi la circostanza che sullo stesso tornio, non molto tempo prima, si era verificata un'analoga rottura delle griffe.
9. Manifestamente infondato, infine, si appalesa altresì il terzo motivo di ricorso, relativo al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Premesso che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti sono censurabili in Cassazione soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 46343 del 26/10/2016, Montesano e altro, Rv. 268473), nell'ipotesi in esame, la Corte di merito, alla medesima stregua del giudice di primo grado, ha escluso la prevalenza delle attenuanti generiche evidenziando il grado della colpa e, soprattutto, l'entità delle lesioni patite dalla persona offesa che ne hanno determinato un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni di oltre sei mesi. L'istruttoria dibattimentale, si legge nell'impugnata sentenza, ha rivelato poi un elevato grado di approssimazione all'interno della S. Tech s.r.l., sia in materia di formazione dei lavoratori, con specifico riferimento all'utilizzo delle singole attrezzature per le varie lavorazioni, dei rischi da esso derivanti e dei pericoli di un erroneo impiego dei macchinari e dei dispositivi di sicurezza, sia con riferimento alle procedure da seguire per le diverse lavorazioni e i diversi pezzi.
Si tratta di motivazione congrua e corretta in diritto e, pertanto, immune dai vizi denunciati.
6. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16 febbraio 2021

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