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Cassazione Penale Sent. Sez. 7 Num.10606 | 25 marzo 2020

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Sentenze cassazione penale

Penale Sent. Sez. 7 Num. 10606 del 25 marzo 2020

Sicurezza sul lavoro: vendita macchina agricola senza dispositivi di protezione

Nella cessione di un trattore agricolo non idoneo all'uso, in quanto privo dei dispositivi di protezione, è configurabile il reato di cui gli artt. 23 e 57, c. 2, Dlgs n. 81/2008

FattoDiritto

1. La sig.ra N.M. ha proposto appello avverso la sentenza in epigrafe indicata che, a seguito di giudizio abbreviato, l'ha dichiarata colpevole del reato di cui agli artt. 23 e 57, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 (cessione di un trattore agricolo non idoneo all'uso perché privo dei dispositivi di protezione), e l'ha condannata alla pena di 8.000,00 euro di ammenda.
1.1. Con unico motivo ha chiesto l'assoluzione dal reato a lei ascritto poiché gli elementi di prova a disposizione del giudice non consentivano di affermare la sua penale responsabilità. Non può affermarsi, deduce, che il mezzo agricolo fosse privo dei dispositivi prima della vendita né quale fosse il fine della vendita stessa (se per riparazione e successiva messa in commercio o per il suo utilizzo), trattandosi di elemento costitutivo del reato il quale non si applica alle normali transazioni tra privati.
2. Trattandosi di sentenza inappellabile ai sensi dell'art. 593, u.c., cod. proc. pen., la Corte di appello di Palermo ha trasmesso gli atti alla Corte di cassazione competente a trattare l'impugnazione.
3.Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge in sede di legittimità:
a) perché riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito;
b) perché riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
4.Osserva, al riguardo, il Collegio:
4.1. sono noti gli arresti di Sez. U, n. 45371 del 31 ottobre 2001, Bonaventura, Rv. 220221 e della coeva Sez. U, n. 45372 del 31/10/2001, De Palma, n.m. secondo i quali «allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente» (da ultimo, nello stesso senso, Sez. 6, n. 38253 del 05/06/2018, Rv. 273738). Alla Corte di cassazione, quale giudice competente, in questo caso, a conoscere dell'impugnazione, è riservata ogni valutazione sull'ammissibilità dell'impugnazione stessa, alla luce del motivi per i quali il ricorso per Cassazione è tassativamente consentito (cfr. sul punto, in motivazione, le sentenze testé citate);
4.2.l'atto di impugnazione trasmesso a questa Corte, nella parte in cui sollecita un riesame del fatto alla luce delle prove utilizzate ai fini della decisione propone un sindacato sul provvedimento impugnato estraneo al perimetro di conoscenza della Suprema Corte;
4.3.oggetto di cognizione in sede di legittimità non è il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensì il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione, dunque, deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo del provvedimento impugnato senza la "mediazione" di elementi spuri ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" del comma 1 dell'art. 606 cod. proc. pen.);
4.4.l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794);
4.5. nel caso in esame la ricorrente pone in discussione la coerenza della motivazione con le prove utilizzate pemdecisione, prove delle quali, peraltro, non eccepisce nemmeno il travisamento (ma solo una lettura diversa), sicché il fatto che abbia venduto il trattore privo dei mezzi di protezione non può essere messo in discussione in questa sede non potendo la Corte accedere al fascicolo del dibattimento;
4.6. è vero che questa Corte di cassazione ha affermato il principio secondo il quale il divieto di vendita di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute e sicurezza sul lavoro non opera ove detta vendita sia effettuata per un esclusivo fine riparatorio in vista di una successiva utilizzazione degli stessi, una volta ripristinati e messi a norma (Sez. 3, n. 40590 del 03/05/2013, Rv. 256930), ma è altrettanto vero che la stessa sentenza ha ulteriormente precisato che spetta al giudice accertare, con indagine di fatto, le condizioni di vendita stabilite in concreto;
4.7. trattandosi di un'indagine di fatto, non può essere effettuata in sede di legittimità e ciò a prescindere dal fatto che la stessa appellante non deduce con chiarezza di aver effettivamente ceduto il trattore ai fini della sua riparazione e messa a norma oppure di averlo ceduto completo delle protezioni successivamente tolte dall'utilizzatore, ma pone tali eventualità astratte quali possibilità non scandagliate dal giudice di merito.
5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22/11/2019.

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Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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