La tragedia di Marcinelle 1956
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La tragedia di Marcinelle 08 Agosto 1956
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08 Agosto 2024 - 68° anniversario della tragedia di Marcinelle e 23ª Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo
Oggi 08 Agosto 2024 ricorre la Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel Mondo.
La data della celebrazione, decisa nel 2001, è quella di una terribile ricorrenza. L'8 agosto 1956 uno scoppio nella miniera di carbone del ‘Bois du Cazier’ a Marcinelle, sobborgo operaio di Charleroi in Belgio, procurò la morte a 262 minatori, 136 dei quali provenienti dalle nostre regioni. Arrivavano in gran parte da Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto. Ben 40 delle vittime provenivano da Manopello un piccolo paese abruzzese in provincia di Chieti.
Quel drammatico evento, con il suo intollerabile tributo di vite umane, mise in evidenza le condizioni penose in cui si trovavano moltissimi nostri connazionali, costretti a emigrare per lavorare, lontani dai propri affetti tra innumerevoli rischi e disagi. Dal riconoscimento del loro sacrificio nasce l’esigenza di evidenziare la rilevanza sociale e i valori storici e culturali che hanno accompagnato il processo di emigrazione di massa dall'Italia. Un’occasione per dare valore e far conoscere l’impegno e il sacrificio degli italiani emigrati e rimasti vittime di incidenti sul lavoro.
La Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 dicembre 2001 che istituisce la ricorrenza prevede che, nel giorno della tragedia di Marcinelle, “le amministrazioni pubbliche assumono e sostengono, nell'ambito delle rispettive competenze, iniziative volte a celebrare il ricordo del sacrificio dei lavoratori italiani nel mondo, al fine di favorire l'informazione e la valorizzazione del contributo sociale, culturale ed economico recato con il proprio impegno dai lavoratori italiani operanti all'estero”.
In tal modo, una data carica di dolore può rappresentare l’occasione per ricordare a tutte le Istituzioni, nazionali ed europee, l’importanza di un impegno condiviso per garantire a tutti i cittadini migliori opportunità di lavoro e garanzie di sicurezza. Una ricorrenza dolorosa, ma che intende dare testimonianza di una più profonda attenzione sociale ed istituzionale per le condizioni di quanti emigrano per necessità dalle terre d'origine.
La commemorazione dei connazionali caduti sul lavoro offre così anche l’opportunità di riaffermare la centralità del lavoro, motore insostituibile della vita di ogni singolo individuo, principio sancito dal primo articolo della nostra Costituzione, che riconosce il lavoro come cardine del nostro sistema sociale e fondamento stesso della Repubblica.
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La tragedia di Marcinelle 08 Agosto 1956
L'incendio nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, del 1956, provocò la morte di 262 minatori di cui 136 gli italiani.
Una delle più gravi tragedie minerarie della storia si verificò l’8 agosto 1956, nella miniera di carbone di Bois du Cazier (appena fuori la cittadina belga di Marcinelle) dove si sviluppò un incendio che causò una strage.
262 minatori morirono, per le ustioni, il fumo e i gas tossici. 136 erano italiani. Causa dell’incidente fu un malinteso sui tempi di avvio degli ascensori. Si disse che all’origine del disastro fu un’incomprensione tra i minatori, che dal fondo del pozzo caricavano sul montacarichi i vagoncini con il carbone, e i manovratori in superficie. Il montacarichi, avviato al momento sbagliato, urtò contro una trave d’acciaio, tranciando un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.
Erano le 8 e 10 quando le scintille causate dal corto circuito fecero incendiare 800 litri di olio in polvere e le strutture in legno del pozzo. Dopo due settimane di ricerche, mentre una fumata nera e acre continuava a uscire dal pozzo sinistrato, uno dei soccorritori che tornava dalle viscere della miniera non poté che lanciare un grido di orrore: «Tutti cadaveri!».
Ci furono due processi, che portarono nel 1964 alla condanna di un ingegnere (a 6 mesi con la condizionale).
In ricordo della tragedia, oggi la miniera Bois du Cazier è patrimonio Unesco.
La tragedia della miniera di carbone di Marcienelle è soprattutto una tragedia degli italiani immigrati in Belgio nel dopoguerra. Tra il 1946 e il 1956 più di 140mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia. Era il prezzo di un accordo tra Italia e Belgio che prevedeva un gigantesco baratto: l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore.
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Cronologia degli eventi
Verso le 8:00 Mauroy, addetto alle manovre in superficie, telefona a Vaussort poiché ha bisogno dell'ascensore per il piano 765 m. Mauroy e Vaussort prendono un accordo previsto dai protocolli di lavoro, ma che in seguito risulterà fatale.
L'accordo è il seguente: per due viaggi l'ascensore sarà "libero". Questo permette a Mauroy di fare partire l'ascensore senza il via libera del piano 975 m, ma questa decisione implica che il piano 975, per due volte, non potrà più caricare l'ascensore. Dopo essersi accordato, a sua volta Vaussort parte alla ricerca di vagoncini pieni; secondo le registrazioni del "Rockel" sono le 8:01 e 40 sec.
Alle 8:05 uno dei due ascensori (d'ora in poi indicato con A) arriva al piano 765 m per essere caricato. L'altro (B) si ritrova nel pozzo verso 350 m.
Alle 8:07 l'ascensore A è carico e rimonta in superficie, mentre B ridiscende a 975 m. Durante questa movimentazione Antonio I. è ritornato al suo posto di lavoro. Qui vi sono due versioni divergenti. Secondo Antonio I., lui avrebbe chiesto al suo aiutante Vaussort se poteva caricare, ricevendone una risposta affermativa; secondo Mauroy, Vaussort era ancora assente e quindi non avrebbe potuto autorizzare Antonio I. a caricare e neppure avvertirlo che quell'ascensore gli era vietato. Nessuna delle due versioni è totalmente soddisfacente; Vaussort morirà nella sciagura e non potrà quindi testimoniare e confermare una delle due versioni o fornirne una sua terza.
Alle 8:10 l'ascensore A arriva in superficie, mentre B arriva al livello 975. Incurante (o ignaro) del fatto che quell'ascensore gli fosse vietato, Antonio I. comincia a caricare i vagoncini pieni, arrivati dai cantieri durante la sua assenza. Ma la manovra non riesce: il sistema che blocca il carrello durante la rimonta dell'ascensore s'inceppa. Questo sistema avrebbe dovuto ritirarsi un breve istante per lasciare uscire totalmente il vagoncino vuoto. Ma ciò non accade ed i due vagoncini si ritrovano bloccati e sporgenti dal compartimento dell'ascensore. Il vagoncino vuoto sporge di 35 cm, mentre quello pieno sporge di 80 cm. Per Antonio I. la situazione è fastidiosa, ma non pericolosa: è sicuro che l'ascensore non partirà senza il suo segnale di partenza. In superficie Mauroy ignora totalmente la situazione verificatasi al piano 975 m. Mauroy è nel protocollo di lavoro «ascensore libero» e farà partire l'ascensore allorché avrà finito di scaricare i vagoncini rimontati dal piano 765 m.
Alle 8:11 Mauroy ha finito di scaricare l'ascensore A e dà il via alla partenza, il che immancabilmente provoca anche la partenza dell'ascensore B. Al piano 975 m Antonio I. vede l'ascensore B rimontare bruscamente. Nella risalita l'ascensore, con i due vagoncini sporgenti, sbatte in una putrella del sistema di invio. A sua volta questa putrella trancia una condotta d'olio a 6 kg/cm² di pressione, i fili telefonici e due cavi in tensione (525 Volt), oltre alle condotte dell'aria compressa che servivano per gli strumenti di lavoro usati in fondo alla miniera: tutti questi eventi insieme provocano un imponente incendio. Essendo questo avvenuto nel pozzo di entrata dell'aria, il suo fumo raggiunge ben presto ogni angolo della miniera, causando la morte dei minatori. In quanto al fuoco, la sua presenza si limitò ai due pozzi e dintorni, ma il suo ruolo fu determinante perché tagliò ogni via d'accesso nelle prime ore cruciali, fra le 9 e le 12. L'incendio non scese sotto il piano 975 m, mentre divampò nei pozzi fino al piano 715 m. A questo piano Bohen, prima di morire, annotò nel suo taccuino "je reviens de l'enfer" (ritorno dall'inferno). L'allarme venne dato alle 8:25 da Antonio I., il primo risalito in superficie tramite il secondo pozzo, anche se già alle 8:10, in superficie, si era capito che qualcosa di gravissimo era accaduto, poiché il motore dell'ascensore (1 250 CV) si era fermato e il telefono non funzionava più (il responsabile Gilson era corso ad avvertire l'ingegnere Calicis che probabilmente erano di fronte a un cassage de fosse, cioè a una "rottura nel pozzo", un deragliamento). Calicis ordinò al suo aiutante Votquenne di scendere nelle miniera per informarsi.
Verso le 8:30 Votquenne è pronto a scendere, ma il freno d'emergenza è bloccato per mancanza di pressione d'aria. Ciò era dovuto alla rottura della condotta in fondo al pozzo, che aveva svuotato il serbatoio in superficie. Votquenne ordina la chiusura della condotta d'aria che scende nel pozzo: ci vorranno più di 10 minuti per ristabilire una pressione sufficiente. Votquenne e Matton scendono senza equipaggiamento, arrivano sotto 835 metri, ma devono rinunciare a causa del fumo.
Nel frattempo 6 minatori superstiti arrivano in superficie mentre Stroom scende nella miniera.
Alle 8:35 Calicis telefona alla centrale di soccorso chiedendo di tenersi pronti e precisa che richiamerà in caso di bisogno.
Alle 8:48 Calicis chiede l'intervento della centrale di soccorso distante 1,5 km dalla miniera. I soccorritori impiegheranno 10 minuti per arrivare.
Alle 8:58 la prima squadra di soccorritori arriva sul posto. Votquenne e uno dei soccorritori equipaggiati con i respiratori Dräger fanno un secondo tentativo. Arrivano a 1035 metri, ma non riescono ad uscire dall'ascensore, in quanto i suoi occupanti erano montati nel terzo compartimento dell'ascensore fermo a 3,5 m più in alto del livello di uscita. Odono dei lamenti, ma l'addetto alle manovre non risponde più alle loro chiamate[8], probabilmente già incosciente. In superficie, Gilson decide di far rimontare l'ascensore. Rimontando, a livello 975, Votquenne vede già le fiamme che hanno raggiunto l'ultima delle tre porte di sbarramento fra i due pozzi.
Verso le 9:10 il pozzo di estrazione dell'aria era a sua volta inutilizzabile, raggiunto dall'incendio. I cavi degli ascensori di questo pozzo cedettero a poco a poco. Il primo si spezzò verso le 9:30, il secondo cavo si spezzò verso le 10:15.
Verso le 9:30 due persone tentarono, senza equipaggiamento, di farsi strada attraverso un tunnel laterale comunicante col pozzo in costruzione al livello 765 m. Il tentativo risultò vano. Il passo d'uomo venne allargato solo quattro ore e mezza più tardi e ciò permise di scoprire i primi cadaveri (Il primo cadavere era in realtà un cavallo, trovato da Arsene Renders, ingegnere della società Foraky, che dichiarò che "era un brutto presagio"). D'altro lato fu anche verso le 9:30 che si decise di fermare la ventilazione.
Alle 10:00 Calicis decide di separare i due cavi del pozzo numero I. Questo permetterà di servirsi dell'ascensore rimasto bloccato in superficie. Questo lavoro lungo e delicato sarà finito poco prima di mezzogiorno.
Alle 12:00 3 uomini, Calicis, Galvan e un soccorritore, scendono fino a 170 m, ma un tappo di vapore impedisce loro di continuare.
Alle 13:15 Gonet, il caposquadra del piano 1035, lascia un messaggio su una trave di legno. «On recule pour la fumée vers 4 paumes. On est environ à 50. Il est 1h 1/4. Gonet» ("Indietreggiamo per il fumo verso 4 palmi. Siamo a circa 50. È l'una e un quarto. Gonet"). Questo messaggio sarà ritrovato dai soccorritori il 23 agosto.
Verso le 14:00 si decide di rimettere la ventilazione in marcia.
Verso le 15:00 una spedizione scende attraverso il primo pozzo e scopre tre sopravvissuti. Gli ultimi tre furono scoperti più tardi, da un'altra spedizione.
Il 22 agosto, alle 3 di notte, dopo la risalita, uno di coloro che da due settimane tentavano il salvataggio dichiarò in italiano: «tutti cadaveri». Persero la vita 262 uomini, di cui 136 italiani e 95 belgi. Solo 13 minatori sopravvissero.
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