Castellaneta: otto morti in ospedale per scambio di tubi
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Castellaneta, otto anziani morirono in ospedale dopo scambio di tubi: in appello prescrizione per gli imputati
I fatti risalgono al 2007. Nel 2016 furono condannati 11 imputati. Ora per tutti è stato dichiarato il non luogo a procedere. La Regione era parte civile
E' arrivata la prescrizione a cancellare le condanne nel processo di secondo grado per la vicenda degli otto anziani morti nel 2007 alla terapia intensiva dell’ospedale di Castellaneta (Taranto) per aver inalato anestetico nei tubi dell’ossigeno, a causa di uno scambio di tubi. La Corte d’Appello ha disposto anche la revoca delle statuizioni civili.
Nel settembre del 2016 furono condannati 11 imputati, ovvero i tecnici che avevano costruito l’impianto, imprenditori, progettisti e direttori dei lavori, un dirigente dell’Asl ionica, rappresentanti della commissione di collaudo. Per tutti è stato dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Il Tribunale mandò assolti cardiologi e anestesisti.
Si erano costituiti parte civile la stessa Azienda sanitaria locale, la Regione Puglia e l’associazione ‘Cittadinanzattiva’. Furono dosi letali di protossido di azoto, un potente anestetico, a provocare la morte di otto pazienti cardiopatici nel reparto Utic (Unità di terapia intensiva) dell’ospedale di Castellaneta. Otto morti in venti giorni: dal 20 aprile al 4 maggio 2007.
Nel luglio del 2010 il Gup aveva rinviato a giudizio 30 imputati accusati a vario titolo di omicidio colposo plurimo, falso ideologico, frode nelle pubbliche forniture e violazioni amministrative.
Con sentenza n. 2641 del 22.12.2016 il Tribunale di Taranto (Presidente De Tomasi), in composizione collegiale, ha dichiarato colpevoli n. 11 imputati dei reati loro ascritti nei capi A), G),I), O) e S) della rubrica, e condannato gli stessi imputati al risarcimento dei danni in favore della Regione Puglia, e ha assolto n. 15 imputati per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato.
«L’obbligo dei sanitari, a tutela del malato, concerne le scelte terapeutiche da compiere e la vigilanza sulla correttezza della modalità esecutiva di tali scelte terapeutiche, non potendo invece investire il controllo sulla idoneità strutturale del reparto e degli impianti. E, a maggior ragione, quando si tratti di impianti appena messi in servizio in costanza dell’apparente regolarità formale della procedura di verifica e collaudo affidata ad esperti».
Nell’Utic di Castellaneta, in sostanza, nessuno dei medici in servizio nè il direttore sanitario avevano il compito istituzionale di verificare che i raccordi dei gas medicali, poi risultati fatali a 8 pazienti, fossero stati installati a “regola d’arte”, tanto più che all’incombenza avevano provveduto tecnici esperti e che sul lavoro dei tecnici aveva addirittura apposto la certificazione “doc” la commissione di collaudo.
È questo uno dei passaggi salienti della motivazione della sentenza con cui il tribunale di Taranto (collegio presieduto dal dottor Alessandro de Tomasi, giudice relatore dottoressa Paola Rosalia Incalza, a latere dottor Bonedetto Ruberto) ha operato un distinguo delle posizioni nel processo sui decessi a Castellaneta.
Nel settembre 2016, come si ricorderà, il tribunale aveva definito il primo grado su uno dei casi più gravi avvenuti nell’area jonica: il decesso di otto pazienti (fra l’aprile e il maggio 2007) nell’ospedale inaugurato pochi mesi prima. Il decesso plurimo era stato causato da uno scambio nei raccordi dei gas medicali. Scambio che aveva tramutato in gas-killer quello che sarebbe dovuto essere ossigeno.Undici le persone condannate, 15 quelle assolte, con sentenza di prescrizione che aveva già mandato in archivio 4 posizioni, e non doversi procedere nei confronti di alcuni imputati condannati che avevano beneficiato della prescrizione di alcuni reati minori.
Questa, in sintesi estrema, la decisione adottata dal tribunale che era pervenuto a conclusioni differenti sulle posizioni del comparto tecnico e quelle del settore meramente sanitario, dopo le discussioni del pm Lucia Isceri e del collegio di difesa.
In pratica, quanto drammaticamente avvenuto nell’Utic di Castellaneta non poteva essere responsabilità dei medici, del tutto incompetenti rispetto alla collocazione, alla gestione, alla taratura e al collaudo delle apparecchiature che avrebbero avuto sfogo finale nelle testate dei letti dei pazienti.
Per questo, in adesione alle argomentazioni del collegio di difesa (composto fra gli altri dagli avvocati Franco Castronovo, Raffaele Errico, Antonello Giannattasio, Anna Giove, Angelo Masini, Luisa Pugliese) erano giunte le assoluzioni dell’ex direttore sanitario dell’ospedale di Castellaneta, Cosimo Turi; del primario del reparto di cardiologia dell’ospedale di Castellaneta, Antonio Scarcia; degli anestesisti Argentina Saracco, Michele Ferrante, Corrado Pisanello e Martino Saltori; dei cardiologi Paola Cicerone, Giambattista Semeraro e Roberto Semeraro. Sentenza di assoluzione anche per il direttore operativo addetto alla consegna dei lavori, Danilo Salinas; il referente della Sapio Industrie, Alessandro Manigrasso; per il procuratore speciale dell’azienda Givas, Pietro Muscogiuri; per il rappresentante d’area della Siram, Luigi Giannini; per il capo settore della Siram per Taranto e provincia, Vincenzo Chianella; e per un tecnico dipendente della Betafin, Vincenzo Pergola.
Erano stati invece condannati a 6 anni di reclusione l’amministratore di Ossitalia, Domenico Matera; a 4 anni e 6 mesi ciascuno gli ingegneri progettisti dell’ospedale e direttori dei lavori Michelangelo Lentini e Vito Miccoli, e il direttore dell’area gestionale e tecnica dell’Asl, nonchè responsabile unico del procedimento, Giacomo Sebastio. E condannati a 3 anni ciascuno gli esponenti della Commissione di collaudo: Primo Stasi, Giuseppe Franza e Vito Matteo Antonicelli. Quattro anni di reclusione erano pure stati inflitti all’amministratore della Item Oxigen, Giuseppe Fiorino, e al rappresentante della Siram per Bari e Taranto, Dario Nitti. Condanne a 2 anni e mezzo e a 2 anni erano state inflitte rispettivamente all’amministratore delegato e al presidente del consiglio di amministrazione della Betafin, Oreste Messina e Carmine Salerno. Tutti, a vario titolo, avrebbero avuto responsabilità, secondo quanto scritto dal tribunale in motivazione, nelle omissioni e negli errori fatali a 8 pazienti.
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