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Disciplina edilizia soppalco | Giurisprudenza

ID 7863 | | Visite: 8610 | Giurisprudenza CostruzioniPermalink: https://www.certifico.com/id/7863

Disciplina edilizia soppalco Giurisprudenza

Disciplina edilizia soppalco | Giurisprudenza

ID 7863 | 27.02.2019

La disciplina edilizia del soppalco, deve essere valutata caso per caso, in relazione alle caratteristiche dell'immobile. Il permesso di costruire è necessario quando il soppalco risulta essere di dimensioni non modeste e pertanto comporta una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3, comma 1, D.P.R. 06/06/2001, n. 380, con incremento delle superfici dell'immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico. Rientrerà invece nell'ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, nel caso in cui il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell'immobile.

In questo senso le pronunce seguenti:

- Sentenza TAR Campania Napoli 27/09/2018 n. 5645;

- Consiglio di Stato, sez. VI, 09/07/2018, n. 4166;

- Consiglio di Stato, sez. VI, 02/03/2017, n. 985.

__________

Sentenza TAR Campania Napoli 27/09/2018 n. 5645 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5555 del 2010, proposto da Francesco Rosiello rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Maria Perullo e Francesco Marone, con domicilio informatico come da PEC dei registri di Giustizia e fisicamente eletto presso lo studio di quest’ultimo in Napoli, via Cesario Console n. 3; 

contro

Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura municipale, domiciliata presso gli uffici del Comune in Napoli, piazza Municipio e domicilio digitale alla PEC: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Napoli n.292/2010 con cui si ordina il ripristino dello stato dei luoghi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2018 la dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Il sig. Francesco Rosiello ha impugnato il provvedimento con il quale il Comune di Napoli ha ordinato, ai sensi dell’art. 33 TUED, il ripristino dello stato dei luoghi in relazione a un soppalco realizzato all’interno dell’immobile di via Sermoneta 16, privo di permesso di costruire, come accertato a seguito di sopralluogo della Polizia Municipale.

2. Il ricorso è stato affidato alle seguenti censure in diritto:

I)Violazione degli artt. 3 e 33 TUED, non trattandosi di opera che necessitava di permesso di costruire ma di semplice DIA.

II) Violazione dell’art. 33 TUED in quanto avrebbe dovuto essere comminata la sanzione pecuniaria ai sensi del comma 2, ma non ordinato il ripristino dello stato dei luoghi, anche vista la vetustà dell’opera.

III) Violazione dell’art. 3 l. 241/90 per mancata motivazione rapportata al lungo tempo trascorso tra costruzione e accertamento dell’abuso.

IV) Violazione dell’art. 7 l. 241/90 per mancata comunicazione di avvio del procedimento.

3. Il Comune, costituitosi con memoria, ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. All’udienza pubblica del 4 aprile 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5. Il ricorso va respinto.

Il soppalco in questione ha superficie di 20 mq ed è impostato a m.1,90 dal calpestio ed a m.2,10 dalla copertura.

Come rilevato nel provvedimento impugnato, esso non rispetta le altezze minime previste per gli

ambienti abitativi dall’art.43 legge 457/78 (il quale richiede che l’altezza dei locali sottostanti il soppalco non deve essere inferiore a mt.2,70 per gli ambienti abitativi e a 2,40 per i vani accessori).

Il dato è, oltretutto, incontestato, e nessun riferimento ad esso viene fatto nel ricorso né nella memoria depositata dalla parte in vista del merito.

Ciò basta per decretare il rigetto del ricorso.

6. Per completezza si aggiungono le considerazioni che seguono.

6.1. L’eccezione relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento va respinta in quanto, per giurisprudenza consolidata e costante, gli ordini di demolizione di un'opera abusiva non devono essere necessariamente preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atti dovuti e rigorosamente vincolati, con riferimento ai quali non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario ed il cui presupposto è costituto unicamente dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo.

6.2. Gli ordini di demolizione di opere edilizie abusive non necessitano di apposita motivazione, essendo sufficientemente motivati con riferimento all'oggettivo riscontro dell'abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio, non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico né al decorso del tempo (sul punto si vedano le Ad. Pl. 8 e 9 del 2017), in quanto a fronte di un abuso edilizio - che arreca un vulnus all'assetto del territorio e che assume natura di illecito permanente ponendosi in perdurante contrasto con le leggi amministrative sino a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi - non può neppure invocarsi il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, in quanto il giudizio di antigiuridicità dell'operato è già complessivamente contenuto nella legge e non vi è pertanto ragione di una specifica motivazione sulla preminenza dell'interesse pubblico.

6.3. Infine, alla stregua delle risultanze istruttorie in atti, e segnatamente dal verbale di sopralluogo del 7 agosto 2009, emerge che il soppalco in contestazione – oltre che a non essere conforme alle altezze minime stabilite dalla disciplina di settore e fissate in mt 2,70 per i vani con destinazione residenziali e mt 2,40 per i vani accessori - occupa l’intera superficie dell’appartamento e in esso è stato ricavato un locale wc, di talché si è determinato per effetto della sua realizzazione un incremento della superficie utile.

Per i profili qui in rilievo vanno condivise la qualificazione dell'illecito come ristrutturazione abusiva e la spedizione della misura ripristinatoria, come in più occasioni ha stabilito la giurisprudenza di questa Sezione (da ultimo, sentenza 28 marzo 2018, n. 1981).

Ha affermato il collegio che “ la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all'interno di un locale, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. In linea di principio, è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con incremento delle superfici dell'immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico; si rientrerà invece nell'ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell'immobile (Consiglio di Stato, sez. VI, 02/03/2017, n. 985). In linea con l'indirizzo suindicato si dispiega la giurisprudenza di questa Sezione che ha, di recente, evidenziato come la realizzazione di un soppalco rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia qualora determini una modifica della superficie utile dell'appartamento con conseguente aggravio del carico urbanistico (cfr. Tar Sardegna, Sez. II, 23 settembre 2011, n. 952; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 11 luglio 2011, n. 1863; Tar Campania, Napoli, Sez. II, 21 marzo 2011, n. 1586).

Lo stesso è a dirsi rispetto al frazionamento del manufatto in plurime unità abitative che, persino nei casi in cui avvenga senza aumento di superficie, a differenza della mera redistribuzione degli spazi interni, all'epoca della realizzazione dei lavori, era considerata dalla normativa edilizia quale ristrutturazione pesante, che necessitava del permesso di costruire (cfr. ex multis T.A.R. Napoli, (Campania), sez. IV, 13/03/2017, n. 1434).”

Per completezza si aggiunga che non assumono rilievo, in ossequio al principio tempus regit actum, le sopravvenute modifiche confluite nella novellata lett. b), dell'art. 3, comma 1, del d.p.r. 380/2001, del d.l. n. 133 del 2014 (conv. in l. )secondo cui “nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso".

7. Il ricorso va quindi respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna Francesco Rosiello al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Napoli che liquida in euro 3000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente

Luca Cestaro, Consigliere

Maria Barbara Cavallo, Consigliere, Estensore

Consiglio di Stato, sez. VI, 09/07/2018, n. 4166

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3274 del 2013, proposto da:
Astra S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pietro Trabucchi, Sara Trabucchi e Roberto Codini, con domicilio eletto presso lo studio Roberto Codini in Roma, via Gramsci, n. 28;
contro

Comune di Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Caineri, Fulvia Squadroni e Marcello Clarich, con domicilio eletto presso lo studio Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, n. 32;
per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 1363 del 2012.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Verona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 maggio 2018 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Marcello Clarich e Luigia D'Amico, in sostituzione di Pietro Trabucchi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – La società Astra è proprietaria di una casa di alto valore storico sita in Verona, via Capelletta n. 2.

2 - In data 31.3.1994, è stato compiuto un sopralluogo da parte di tecnici comunali da cui è emersa la realizzazione di opere edilizie in difformità dai titoli edilizi abilitativi.

3 – Per tale ragione, in data 21.1.1994, la Società ha presentato istanza di concessione in sanatoria per la realizzazione di un soppalco ed il cambio di destinazione d'uso con opere.

3.1 – Il Comune, in data 10.9.1996, ha respinto l’istanza. In particolare, dalla lettura del provvedimento si evince che l’intervento prevede: a) la sanatoria per la realizzazione di un soppalco, non ammessa dalla Variante n. 33 in quanto, configurandosi come aumento di superficie utile, eccede i limiti del restauro imposti dalla citata Variante; b) la sanatoria per il cambio di destinazione d'uso da residenza ad ufficio nell'unita immobiliare sita al primo Piano, che risulta in contrasto con l'art., 16 della Variante di cui sopra, il quale recita: "Sono ammesse nuove destinazioni d'uso non abitative esclusivamente ai piani terreno".

4 - La Società ha impugnato detto provvedimento avanti il TAR per il Veneto, che, con sentenza n. 1363 del 2012, ha rigettato il ricorso.

5 – La stessa ricorrente in primo grado ha appellato detta sentenza per i motivi di seguito esaminati.

6 – Con il primo motivo di appello si deduce l’errata valutazione dei documenti agli atti e dell’ordinanza impugnata, con conseguente errata decisione da parte del Giudice di primo grado.

6.1 - Più precisamente, l’appellante cesura il fatto che nella esposizione in fatto, il Tribunale ha scritto " in conseguenza della locazione dell'appartamento venivano realizzati alcuni interventi tra i quali un soppalco e ciò unitamente al mutamento di destinazione d'uso"; mentre, dai documenti agli atti, risulta che tutte le opere erano state fatte ai fini della locazione ad una famiglia, non del cambiamento della destinazione d'uso da residenza ad ufficio.

Non sarebbe inoltre corretta l'affermazione del TAR dove sostiene che, all'atto del sopralluogo, i tecnici comunali riscontravano come abuso la realizzazione del soppalco, mentre, in realtà, avrebbero indicato solo il cambio di destinazione d'uso.

Anche nella parte motiva della sentenza impugnata vi sarebbe un’errata deduzione, laddove si legge che l'amministrazione "ha riportato il parere negativo dell'USL", il quale èinvece favorevole, come si può leggere nel documento allegato al ricorso.

6.2 – Le censure innanzi elencate sono palesemente inconferenti ai fini della decisione, posto che: la Società ha presentato una istanza in sanatoria per la realizzazione di un soppalco e cambio di destinazione d'uso con opere; su tale istanza il Comune si è espresso negativamente con il provvedimento impugnato nel presente giudizio; la sanatoria è stata negata in considerazione del fatto che: a) la realizzazione di un soppalco, configurandosi come aumento di superficie utile, eccede i limiti del restauro imposti dalla Variante 33; b) la sanatoria per il cambio di destinazione d'uso da residenza ad ufficio nell'unita immobiliare sita al primo Piano risulta in contrasto con l'art. 16 della Variante.

Le considerazioni dell’appellante appaiono, pertanto, del tutto irrilevanti, essendo invero pacifico, in quanto riferito dalla stessa appellante, che la porzione di immobile, rispetto all’originaria destinazione abitativa, è stata poi adibita ad ufficio. Risulta altrettanto irrilevante quanto abbiano constato i tecnici comunale durante il sopralluogo effettuato dell’immobile, dal momento che la realizzazione del soppalco non è in discussione, ed è la stessa Società proprietaria a chiederne la sanatoria. A nulla rileva l’errato riferimento al parere dell’ASL, dal momento che le ragioni del diniego prescindono completamente dallo stesso, attenendo ad aspetti prettamente edilizi.

6.3 – Risulta perimenti infondata la censura secondo la quale il TAR avrebbe erroneamente argomentato nel senso che sono da negare, per effetto della variante n. 33 del Comune di Verona, nuove destinazioni d'uso non abitative, che non siano collocate al "primo piano" degli edifici, nonostante l'unità immobiliare di cui si discute sia proprio al primo piano.

Anche a tale riguardo, a prescindere dall’equivoco cui dà adito la sentenza, è sufficiente richiamare il provvedimento impugnato, il quale precisa come l'art. 16 della Variante 33 prevede che: “Sono ammesse nuove destinazioni d'uso non abitative esclusivamente ai piani terreno”, così che non può essere ammessa la sanatoria per il cambio di destinazione d'uso da residenza ad ufficio nell'unita immobiliare sita al primo piano.

7 - Con il secondo motivo di appello, si deduce che il Comune di Verona non avrebbe adeguatamente motivato in ordine al “soppalco”, dal momento che tale la violazione non è stata rilevata dai tecnici comunali in sede di sopralluogo. Inoltre, non sarebbe corretta la decisione impugnata, quando afferma che tutto l'intervento è stato fatto col fine di non utilizzare l'appartamento ai fini di civile abitazione.

7.1 – Il motivo è manifestamente infondato. Al riguardo, è sufficiente ribadire quanto innanzi già sottolineato, ovvero che è stata la stessa Società a presentare una istanza in sanatoria per la realizzazione di un soppalco ed il cambio di destinazione d'uso con opere. A fronte di tale istanza, il Comune si è determinato con il provvedimento oggetto di causa, escludendo la sanatoria per due ragioni chiaramente individuate.

8 – Con un diverso ordine di censure, l’appellante contesta la decisione impugnata nel punto in cui afferma che la realizzazione di un soppalco è motivo sufficiente per rientrare nella categoria delle ristrutturazioni edilizie, perché vi è un aumento di superficie. Viceversa, secondo la prospettazione della Società, il soppalco non sarebbe utilizzabile come luogo di soggiorno, non avendone le caratteristiche necessarie, pertanto, la sua realizzazione non sarebbe riconducibile al concetto di ristrutturazione.

8.1 – In generale, deve affermarsi che la realizzazione di un soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, e rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell’unità con conseguente aggravio del carico urbanistico (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 4468 del 2014).

Il Collegio non disconosce l’orientamento che mitiga il principio innanzi ricordato e volto a ricondurre la realizzazione di un soppalco nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali non è richiesto il permesso di costruire, qualora l’opera sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile. Tuttavia, quest’ultima ipotesi si verifica solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 985 del 2017).

8.2 – Nel caso di specie, dalle rappresentazioni fotografiche prodotte in causa, si evince che il soppalco in questione, seppur di modeste dimensioni, integra comunque un aumento di superficie fruibile, concretizzando la possibilità di accedervi in sicurezza per lo svolgendo del normale esercizio di calpestio e di posizionamento di carichi variabili.

Più precisamente, lo spazio che con lo stesso si ricava: a) risulta avere una altezza media tale da consentire ad una persona di accedervi comodamente; b) è protetto dal vuoto sottostante, così che può essere fruito in tutta sicurezza; c) gode di una illuminazione adeguata, essendo completamente aperto su un lato ed usufruendo della luce del locale sul quale si affaccia; d) è raggiungibile tramite una scala fissa munita di corrimano. Ne consegue che, su tale aspetto, la statuizione del TAR risulta assolutamente condivisibile.

9 – In definitiva, l’appello deve essere respinto, con condanna della Società appellante alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione appellata, che si liquidano in complessivi €3.000,00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Francesco Mele, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Oswald Leitner, Consigliere

Consiglio di Stato, sez. VI, 02/03/2017, n. 985

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4705 del 2012, proposto da:
Cristina Gherbezza, Raffaele Lucio Maria Buongiorno, rappresentati e difesi dall'avvocato Gregoria Maria Failla, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Trieste, 87;
contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’avvocato Rodolfo Murra, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove N.21;
per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I quater 30 novembre 2011 n. 9401, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso per annullamento della determinazione dirigenziale 29 settembre 2006 n.1803 di Roma Capitale, di demolizione in quanto abusive di opere realizzate senza permesso di costruire all’interno di un’unità immobiliare sita a Roma, in via Ascoli Piceno n.17;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Failla e Garofoli, in dichiarata delega dell’avv. Murra;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I ricorrenti appellanti hanno impugnato in primo grado il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale hanno ricevuto ingiunzione a demolire, in quanto realizzate senza permesso di costruire, una serie di opere realizzate all’interno di un immobile di proprietà - sito a Roma, via Ascoli Piceno 17, e distinto al catasto al f. 622 part. 300 sub. 501- costituite da una struttura di putrelle in ferro orizzontali e verticali, disposte in modo da formare un soppalco a forma di “L” della superficie di circa 24,80 mq all’interno di un locale più ampio. L’area soppalcata al piano superiore consiste di un solaio in muratura con due finestre, posto ad altezza variabile da un soffitto irregolare, da metri 2,30 a metri 1.55 circa; la struttura del soppalco poggia invece per circa 20 mq su una pedana in muratura di circa 0,40 metri di altezza, ha un distacco di metri 1,88 e un’altezza interna praticabile di circa 1,45 metri; per la parte restante di circa 4,80 mq poggia sul piano di calpestio ed ha un distacco di 2,10 metri. L’area sottostante il soppalco è poi priva di finestre, con nuove tramezzature ed attacchi per impianti idrici ed elettrici (v. doc. 1 in primo grado ricorrenti appellanti, ordinanza impugnata).

Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo in sintesi estrema che l’intervento fosse effettivamente soggetto a permesso di costruire, mai ottenuto né richiesto.

Contro tale sentenza, i ricorrenti in primo grado propongono appello, affidato a due motivi:

- con il primo di essi, deducono propriamente eccesso di potere per carenza di presupposti e mancanza di motivazione. Premettono in fatto che, a loro dire, da un lato per l’opera in questione sarebbe stato pendente un procedimento di condono edilizio, su istanza dei precedenti proprietari, certi Salvi; dall’altro, che per una porzione dello stesso immobile sarebbe stata emessa un’analoga ordinanza, annullata dal TAR del Lazio con sentenza 30 gennaio 2007 n.636. Ciò premesso, sostengono che l’intervento, in quanto soppalco non praticabile, non sarebbe soggetto a permesso di costruire, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado. Ciò sarebbe stato in qualche modo riconosciuto dall’Autorità giudiziaria penale, che ne avrebbe disposto il dissequestro;

- con il secondo motivo, deducono violazione degli artt. 33 e 37 T.U. 6 giugno 2001 n.380, perché il Giudice di primo grado non avrebbe valutato la presentazione da parte loro di una denuncia di inizio attività – DIA a sanatoria, che in ogni caso avrebbe dovuto far venir meno l’abuso.

L’amministrazione ha resistito, con atto 4 giugno e memoria 7 giugno 2016, e chiesto che l’appello sia respinto.

Con memoria 29 dicembre 2016, i ricorrenti appellanti hanno invece insistito sulle loro asserite ragioni

All’udienza del giorno 9 febbraio 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello è fondato ed assorbente, nei termini che seguono.

2. In base ad un rilievo logico, prima che giuridico, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, di solito come nella specie, un’abitazione, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto.

3. In linea di principio, sarà necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con incremento delle superfici dell'immobile e in prospettiva ulteriore carico urbanistico: così per tutte C.d.S. 3 settembre 2014 n.4468. Si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile, e ciò sicuramente avviene quando esso non sia suscettibile di utilizzo come stanza di soggiorno.

4. Quest’ultima è l’ipotesi che si verifica nel caso di specie, in cui, come detto in narrativa, lo spazio realizzato con il soppalco è un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone: si tratta, in buona sostanza, di un ripostiglio.

5. Quanto sopra è sufficiente per affermare l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata, che va annullata, in riforma della sentenza di primo grado, perché fondata, in sintesi, su un presupposto non corretto.

6. Va invece assorbito il secondo motivo, che si fonda sul rapporto fra l’ordinanza impugnata ed un fatto ulteriore, la presentazione in un momento successivo della DIA. E’ evidente infatti che, annullata l’ordinanza stessa, la possibilità che rispetto alla demolizione da essa ordinata si sia prodotta una sanatoria è priva di rilievo. Spetterà invece all’amministrazione, nel prosieguo della propria attività, valutare se l’opera compiuta integri un diverso e minore tipo di abuso, e in caso affermativo se esso sia stato sanato dalla DIA in questione. Ciò però rientra nel futuro esercizio di poteri amministrativi, sui quali il Giudice non può pronunciare.

7. La particolarità della fattispecie è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n.4705/2012), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla la determinazione dirigenziale di demolizione 29 settembre 2006 n.1803 di Roma Capitale. Compensa per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Carlo Deodato, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

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