Interpello ambientale 06.06.2024 - Fanghi da trattamento acque industriali
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Interpello ambientale 06.06.2024 - Fanghi da trattamento acque industriali
ID 22056 | 13.06.2024 / In allegato Testo interpello Ambientale
L’art. 27 del decreto-legge n. 77 del 31 maggio 2021 ha introdotto, all’art. 3 septies del D.lgs. 152/2006, l’istituto dell’interpello in materia ambientale, che consente di inoltrare al Ministero della transizione ecologica istanze di ordine generale sull’applicazione della normativa statale in materia ambientale. Una possibilità riconosciuta a Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Città metropolitane, Comuni, associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale o presenti in almeno cinque regioni o province autonome.
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Art. 3-septies (Interpello in materia ambientale)
1. Le regioni,le Province autonome di Trento e Bolzano, le province, le citta' metropolitane, i comuni, le associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni o province autonome di Trento e Bolzano, possono inviare al Ministero della transizione ecologica istanze di ordine generale sull'applicazione della normativa statale in materia ambientale. La risposta alle istanze deve essere data entro novanta giorni dalla data della loro presentazione. Le indicazioni fornite nelle risposte alle istanze di cui al presente comma costituiscono criteri interpretativi per l'esercizio delle attivita' di competenza delle pubbliche amministrazioni in materia ambientale, salva rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con efficacia limitata ai comportamenti futuri dell'istante. Resta salvo l'obbligo di ottenere gli atti di consenso, comunque denominati, prescritti dalla vigente normativa. Nel caso in cui l'istanza sia formulata da piu' soggetti e riguardi la stessa questione o questioni analoghe tra loro, il Ministero della transizione ecologica puo' fornire un'unica risposta.
2. Il Ministero della transizione ecologica, in conformita' all'articolo 3-sexies del presente decreto e al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, pubblica senza indugio le risposte fornite alle istanze di cui al presente articolo nell'ambito della sezione "Informazioni ambientali" del proprio sito internet istituzionale di cui all'articolo 40 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, previo oscuramento dei dati comunque coperti da riservatezza, nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
3. La presentazione delle istanze di cui al comma 1 non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme ambientali, ne' sulla decorrenza dei termini di decadenza e non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
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Interpello ambientale 06.06.2024
Con nota che si riscontra, di pari oggetto e che si allega, il Presidente della Regione Lazio propone un interpello ambientale formulato congiuntamente dagli uffici regionali e da Assocarta in merito alla corretta classificazione dei fanghi generati dal trattamento primario delle acque reflue dell’industria cartaria.
Ulteriori elementi in merito sono stati forniti da Assocarta con nota del 27 maggio 2024, protocollata Mase/97236 in pari data e pure allegata.
A riguardo, dato atto della concorrente competenza della Direzione generale EC, cui pure l’interpello è rivolto, e della Direzione generale USSRI, si forniscono i contributi di competenza per la formulazione della risposta all’interpello, in considerazione del fatto che la problematica in oggetto interessa principalmente installazioni soggette ad Autorizzazione integrata ambientale e le argomentazioni svolte fanno riferimento anche ai documenti di riferimento comunitari sulle migliori tecniche disponibili (BREF) sviluppati in attuazione della disciplina IPPC e seguiti a livello negoziale e tecnico dalla scrivente direzione generale.
QUESITO
Con istanza di interpello formulata ai sensi dell’articolo 3-septies del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152, la Regione Lazio ha chiesto chiarimenti interpretativi in merito alla normativa applicabile ai fanghi generati dal trattamento primario delle acque reflue nell’industria cartaria, i c.d. “fanghi primari”, reimmessi nel ciclo produttivo.
Il quesito è illustrato con riferimento al caso particolare di una cartiera dotata di AIA, che intende riutilizzare (anzi già riutilizza) nel processo produttivo i fanghi primari generati dal trattamento di depurazione delle acque reflue, tenuto conto dell’elevato contenuto di fibre nei fanghi.
La produzione prevede l’utilizzo di rifiuti di carta e cartone (codici CER 20 01 01 – 15 01 01) e di materiali End of waste di carta. Le acque reflue originate dal processo produttivo sono destinate all’impianto di depurazione aziendale, unitamente alle acque reflue generate dai trattamenti di preparazione dell’acqua per uso industriale, alle acque reflue domestiche e alle acque meteoriche di prima pioggia, per essere successivamente scaricate presso un consorzio industriale che effettua, per conto dei consorziati, il trattamento finale di depurazione ai fini del rilascio in corpo idrico.
L’impianto di depurazione aziendale è composto da un comparto di pretrattamento (filtrazione), da una sezione di trattamento chimico-fisico (chiari-flocculazione e sedimentazione primaria) e da una sezione biologica (ossidazione a fanghi attivi e sedimentazione secondaria).
La Società che gestisce la cartiera ha richiesto di riutilizzare i fanghi primari generati dal trattamento di depurazione delle acque reflue nel proprio processo produttivo, e in particolare i cosiddetti fanghi primari che si originano presso il sedimentatore primario nel corso del processo di depurazione chimico-fisico delle acque reflue sopra elencate. Tali fanghi, mediante apposite pompe, sono estratti dal sedimentatore primario e inviati a una vasca di accumulo e successivamente inviati al comparto produttivo, in particolare all’unità di preparazione della pasta (pulper), ove sono processati per consentire il riutilizzo nel processo produttivo delle fibre in essi presenti.
Il dubbio sorge per la diversa interpretazione della qualifica dei fanghi da reimmettere nel processo produttivo.
La Associazione industriale ritiene che le fibre contenute nei fanghi primari, in quanto reimmesse nel ciclo produttivo della stessa cartiera, chiudono un ciclo industriale senza generare né un sottoprodotto, né (non essendoci né obbligo né volontà di disfarsi di tali fibre) a un rifiuto.
La amministrazione regionale, viceversa, ritiene che i fanghi primari generati dal trattamento di depurazione delle acque reflue della cartiera, impiegati nel processo di produzione della carta ai fini del riutilizzo delle fibre nei fanghi medesimi, costituiscano rifiuti e che l’attività in questione sia riconducibile a una operazione di recupero R3, di cui all’Allegato C alla parte quarta del D.Lgs. n. 152/06.
Pur facendo riferimento ad un caso esemplare, il quesito riveste carattere generale e non solo con riferimento all’industria cartaria, anche in considerazione del recente forte impulso che hanno avuto le politiche volte a promuovere soluzioni di economia circolare.
RIFERIMENTI NORMATIVI
L’art. 74 , comma 1 lettera h) del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 definisce “acque reflue industriali” qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche o di dilavamento.
L’art. 184 c. 3 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 classifica i fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue come rifiuti speciali.
L’art. 127 c.1 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 riporta che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione.
L’art. 183 c. 1 lett. “u” del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 definisce “riciclaggio”: qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini.
L’art. 183, comma 1, lett. “r” del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 definisce “riutilizzo”: qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti, in coerenza con la “Direttiva rifiuti” e con le pertinenti Linee Guida della Commissione Europea sull’interpretazione delle previsioni chiave di tale Direttiva, che chiariscono che il riutilizzo è prevenzione della generazione dei rifiuti, non una operazione di gestione di rifiuti.
L’allegato 1, sub allegato 1, paragrafo 12 “Fanghi” del Decreto ministeriale 5 febbraio 1998, “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero”, inquadra
quale operazione di recupero R3, di cui all’Allegato C alla parte quarta del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152, l’impiego dei fanghi da industria cartaria provenienti dalla depurazione delle acque di processo e reflue, identificati con codice CER 03 03 11, per la produzione di pasta di carta e carta di bassa qualità
nelle forme usualmente commercializzate.
La Decisione n. 2014/687/UE, che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per la produzione di pasta per carta, carta e cartone, ai sensi della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio:
- per ridurre le emissioni di inquinanti nel corpo idrico recettore, individua quale migliore tecnica disponibile di riferimento (BAT 14) l’applicazione sia di trattamento primario (fisico- chimico), sia di trattamento secondario (biologico);
- per minimizzare il quantitativo di rifiuti solidi destinati allo smaltimento, individua quale migliore tecnica disponibile di riferimento (BAT 52) sia la prevenzione della generazione di rifiuti, sia l’effettuazione di operazioni di riciclo avvalendosi di una combinazione delle seguenti tecniche (BAT 20): recupero di fibre e cariche e trattamento delle acque bianche, applicazione di sistemi di ricircolo dei fogliacci, recupero delle patine, riciclo dei pigmenti, nonché riutilizzo (ove la qualità del prodotto richiesta lo consenta) delle fibre nei fanghi generati dal trattamento primario delle acque reflue.
Il processo di “recupero di fibre e cariche e trattamento delle acque bianche” è dettagliato nel medesimo documento specificando che “le acque bianche provenienti dalle macchine continue possono essere trattate mediante le tecniche seguenti:
a) dispositivi «save-all» (solitamente filtri a tamburo o a disco o unità di flottazione ad aria dissolta ecc.) che separano i solidi (fibre e cariche) dall’acqua di processo. La flottazione in aria dissolta nei cicli delle acque bianche trasforma i solidi sospesi, i fini, i materiali colloidali di dimensioni ridotte e le sostanze anioniche in fiocchi che vengono successivamente rimossi. Le fibre e le cariche recuperate sono reimmesse nel processo. Le acque bianche pulite possono essere riutilizzate negli spruzzi aventi requisiti meno rigorosi relativamente alla qualità dell’acqua.
b) Un’ultrafiltrazione supplementare delle acque bianche prefiltrate produce un filtrato super chiaro di qualità sufficiente per essere usato come acqua da spruzzi ad alta pressione, acqua di tenuta e per la diluizione di additivi chimici
Dettagli sulle tecniche per prevenire la generazione di rifiuti sono invece riportati nel documento BREF (Reference Document for the Production of Pulp,Paper and Board -2015; disponibile solo in inglese) definito congiuntamente alle citate conclusioni sulle BAT e che riconosce che in molti casi non è possibile prevenire del tutto la produzione di rifiuti, ma che essa può essere minimizzata evitando che le fibre raggiungano l’effluente adottando tecniche di prevenzione della generazione di rifiuti che interessano principalmente le tecniche di processo, e che ad esempio possono essere orientate a minimizzare l’ammontare di fibre di scarto, a maneggiare e recuperare in maniera ottimizzata il materiale, a evitare lo scarico di prodotti chimici o ottimizzare il loro impiego per ridurre il materiale di scarto.
Nel medesimo BREF (pagina 639) si qualificano come materia prima i fanghi, anche secondari, reimmessi nel processo (in testa di macchina).
Si rammenta che Conclusioni sulle BAT e BREF forniscono indicazioni che devono tassativamente essere considerate nel definire le condizioni autorizzative, e che risultano vincolanti solo con riferimento alla fissazione di valori limite di emissione.
Riguardo la giurisprudenza pertinente, si citano i seguenti riferimenti:
- Sentenza della Corte di Giustizia Ue 14 ottobre 2020, causa C-629/19, inerente la qualificazione dei fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento congiunto delle acque reflue di cartiera e, in minima parte, di origine domestica o urbana. Tale sentenza al punto 62 riporta: Per quanto concerne i fanghi di depurazione in questione nel procedimento principale, è pacifico che essi sono un residuo derivante dal trattamento di acque reflue. Un elemento del genere costituisce , come risulta dalla giurisprudenza richiamata […] un’indicazione del mantenimento della qualifica di rifiuto. Peraltro la giurisprudenza ivi richiamata (sentenze del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, C‑188/07, EU:C:2008:359, e del 3 ottobre 2013, Brady, C‑113/12, EU:C:2013:627) si riferisce a “indizi” sulla volontà di disfarsi del residuo desunti in considerazione del fatto che l’eventuale utilizzo deve avvenire in condizioni particolari di prudenza a causa della pericolosità per l’ambiente della sua composizione . Inoltre la medesima sentenza conclude che la qualifica di rifiuto non sussiste, e quindi la combustione dei fanghi non si configura come incenerimento, se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva 2008/98 sono già soddisfatte prima del loro incenerimento, ovvero se il trattamento che ha prodotto il fango ha caratteristiche tali da far cessare la qualifica di rifiuto.
- Sentenza della Corte di Cassazione n. 39195 del 27 settembre 2023 che, citato l’articolo 183 del d. lgs. n. 152/2006 che definisce come rifiuti: «le sostanze o gli oggetti che derivano da attività umane o da cicli naturali, di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi», prende atto che si tratta di una definizione che non si caratterizza per la individuazione di elementi intrinseci di determinati oggetti o sostanze che, se presenti, ne determinano l’attribuzione della qualificazione di rifiuto, quanto, piuttosto, di una definizione di tipo «funzionale», essendo rifiuto tutto ciò di cui il detentore si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo. In termini generali, la Corte evidenzia come la corte di Giustizia dell’Unione europea abbia più volte sottolineato (Sez. 2ˆ, 14 ottobre 2020, sentenza resa nella causa n. C-629/19) come l’espressione «disfarsi» vada interpretata alla luce dell’obiettivo della direttiva 2008/98 che, ai sensi del suo considerando 6, consiste nel «ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente», nonché dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, a tenore del quale la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed «è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva». Ne consegue, secondo la Corte, che «il termine "disfarsi" e dunque la nozione di "rifiuto", ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della Direttiva 2008/98, non possono essere interpretati in modo restrittivo. Sicché, dalle disposizioni di detta Direttiva risulta inoltre che il termine «disfarsi» comprende, al contempo, il "recupero" e lo "smaltimento" di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’articolo 3, punti 15 e 19, di tale Direttiva. Più in particolare, l’esistenza di un "rifiuto" ai sensi della direttiva 2008/98 va accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto dell’obiettivo di tale direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia». Per la corte di Giustizia UE, pertanto, la nozione di rifiuto («waste») va intesa in modo ampio e non restrittivo, sì da non pregiudicare gli obiettivi di riduzione dei rifiuti e del loro impatto sulla salute e sull’ambiente. In secondo luogo, la locuzione «abbia deciso di disfarsi» induce a chiedersi se debba ritenersi prevalente l’aspetto volontaristico, prima assente nella lettera della norma, ovvero quello della oggettiva destinazione del rifiuto. La giurisprudenza della Corte sul punto è chiaramente orientata a privilegiare una nozione «oggettiva» del termine rifiuto a scapito di quella
«soggettiva», avendo affermato (Sez. 3, n. 48316 del 11/10/2016, Lombardo, n.m.) che «debba ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poiché è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale».
- Cassazione, Sezione III n. 13376/1998, 10 novembre 1998 –18 dicembre 1998, Brivio, RV. 212541, che precisa che il refluo deve essere considerato nell’inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta di liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli delle acque meteoriche o dei servizi igienici, immessi in un unico corpo recettore
- Sentenza TAR Latina n. 778/2023, che esclude la qualificazione come rifiuti dei fanghi di depurazione a seguito dell’accertamento di due elementi concorrenti. Elemento Soggettivo: accertata l’assenza da parte del detentore della volontà di disfarsi del materiale, (nel caso in esame il soggetto titolare dell’impianto di depurazione destinatario dei materiali era lo stesso titolare dell’impianto di depurazione conferente). Elemento Oggettivo: il processo di depurazione non è da considerare completato, nel caso in esame poiché si trattava di fanghi di depurazione ancora liquidi, prodotti da processi depurativi biologici, prelevati [...] direttamente dalle vasche della linea liquami o delle prime sezioni della linea fanghi degli impianti di depurazioni minori.
CONSIDERAZIONI
In buona sostanza il quesito verte sulla classificazione del processo di reimmissione dei fanghi primari nel processo produttivo, e in particolare se esso possa essere classificato come un riutilizzo (di materia prima), o viceversa debba essere classificato come un riciclo (di rifiuto).
Sia gli uffici regionali, sia l’associazione industriale, concordano sul fatto che i fanghi generati in processi di “recupero di fibre e cariche e trattamento delle acque bianche” effettuati con tecniche descritte nel BREF pertinente (con dispositivi «save-all» o di ultrafiltrazione integrati nel processo) non costituiscono rifiuti e possono senz’altro essere reimmessi in testa alla macchina continua.
Tale lettura, non è considerata in contrasto con l’art. 184 c. 3 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 (che classifica senz’altro i fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue come rifiuti speciali), poiché il trattamento avviene su acque di processo, e non su acque reflue, e comunque è seguito da ulteriori stadi di trattamento prima dello scarico.
L’associazione propone di assimilare ai fanghi di tali processi i “fanghi primari” generati dal trattamento chimico-fisico posto a valle, considerando che in entrambi i casi i fanghi hanno un elevato contenuto di fibre, e che possono essere reimmessi nel processo in maniera consistente sia dal punto di vista economico (non determinando alcuna volontà del gestore di disfarsi dei fanghi) sia dal punto di vista tecnico (non determinando alcun obbligo di smaltirli altrove).
Gli uffici regionali, però, rilevano che il trattamento chimico fisico che genera i “fanghi primari” ha caratteristiche intrinseche sostanzialmente diverse (non trattandosi di mera filtrazione), non è parte integrante del processo produttivo e che esso non è alimentato solo dalle cosiddette “acque bianche”, ma anche da altre acque di processo, da acque sanitarie e da acque meteoriche (in pratica da acque reflue). Pertanto, pur concordando sulla opportunità di reimmettere i fanghi nel processo per ridurre la quantità di rifiuti da smaltire (anche in un’ottica di economia circolare), ritengono più corretto considerare tale operazione un riciclo.
Non riguardano competenze dirette della scrivente Direzione generale lo sviluppo di considerazioni inerenti:
- individuazione di obbligo o volontà del gestore di disfarsi dei fanghi primari;
- qualificazione della miscela “acque bianche, altre acque di processo, acque sanitarie, acque meteoriche” come acque reflue ai sensi dell’articolo 184, comma 3 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152, ovvero acque di processo;
- valutazioni della circostanza che, in uscita dallo stadio di trattamento fisico-chimico, il trattamento dei flussi liquidi non può considerarsi concluso (essendo previsti a valle, tra l’altro, processi di trattamento biologico e poi il conferimento a un depuratore consortile), risultando conseguentemente tali flussi liquidi soggetti alla disciplina degli scarichi, e non a quella dei rifiuti
In base alle competenze di questa Direzione, peraltro, è possibile fornire un contributo su altri aspetti che si ritengono comunque sufficienti a formulare una risposta al quesito.
Il riferimento ai documenti comunitari sulle migliori tecniche disponibili effettuato è senz’altro utile a comprendere nel dettaglio il caso particolare, ma non appare concludente nel merito, perché tali documenti non sono vincolanti in relazione alle tecniche da applicare. In particolare, il fatto che i processi di depurazione primaria siano differenti da quelli effettuabili a piè di impianto sulle acque bianche e che non vengano condotti nella medesima unità di produzione, sarebbe concettualmente irrilevante dal punto di vista della disciplina IPPC se il risultato finale atteso (ovvero le caratteristiche dei fanghi) fosse il medesimo.
Tale equivalenza è messa in dubbio dagli uffici regionali sia per la presenza nel primario di trattamenti chimici di clari-flocculazione (e non solo di trattamenti fisici come descritti per i trattamenti di acque bianche), sia per la presenza in ingresso di flussi di reflui di diversa genesi (sia industriale, sia sanitaria, oltre che meteorica), sia per la mancanza di più dettagliate informazioni sulla qualità dei fanghi. Non a caso si tratta di una tecnica di riduzione della produzione di rifiuti che le Conclusioni sulle BAT riportano non ritenendola generalmente applicabile, ma piuttosto da valutare caso per caso in considerazione della qualità richiesta per il prodotto.
In altre parole, mentre nei fanghi generati da trattamento fisico di acque bianche non è ragionevole attendersi alcuna contaminazione da parte di sostanze non già presenti nella materia prima, nei fanghi primari è sensato in linea di principio temere la significativa presenza di altro genere di sostanze che, effettuando sistematicamente e senza controllo il reimpiego dei fanghi, potranno uscire dallo stabilimento come parte del prodotto finito.
Pertanto, a prescindere dalla classificazione o meno di tali fanghi quali rifiuti, appare ragionevole che l’autorizzazione adotti misure di cautela per il loro reimpiego, non richieste per il riutilizzo dei fanghi generati dal trattamento fisico delle acque bianche, se la presenza di altri flussi in ingesso sia ritenuta significativa.
Spetta pertanto all’autorità competente verificare caso per caso se la presenza di altre acque di processo, di acque sanitarie e di acque meteoriche sia del tutto marginale, per quantità e contenuto inquinante, o viceversa possa potenzialmente determinare un effetto rilevante sulle caratteristiche dei fanghi.
CONCLUSIONI
Alla luce di quanto esposto è possibile formulare la seguente risposta al quesito posto con l’interpello in oggetto.
Quesito - Si chiede di chiarire, nel caso in oggetto, quale sia, rispetto alle differenti posizioni rappresentate dalla Regione Lazio e da Assocarta come su esposte, il regime giuridico pertinente al riutilizzo nel processo produttivo della cartiera dei fanghi primari generati dal trattamento di depurazione delle acque reflue della cartiera stessa, tenuto conto dell’elevato contenuto di fibre nei fanghi; si richiede in particolare di chiarire se tale attività integri una operazione di recupero R3, di cui all’Allegato C alla parte quarta del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152, nella misura in cui i fanghi primari in questione costituiscano rifiuti
Si condivide la lettura, supportata anche delle Conclusioni sulle BAT comunitarie, che il trattamento fisico di sole “acque bianche” generi fanghi che costituiscono una materia prima direttamente riutilizzabile.
Tale lettura, come peraltro previsto nelle stesse Conclusioni sulle BAT, non può essere sempre e comunque estesa ai “fanghi primari” generati da trattamenti chimico-fisici su flussi costituiti anche da altro genere di effluenti. A riguardo “l’elevato contenuto di fibre nei fanghi” è una informazione che, se pure commercialmente utile, non appare sufficiente a caratterizzare tali fanghi da un punto di vista ambientale.
Pertanto, ove l’autorità competente non abbia evidenza, in fase istruttoria o attraverso controlli, che le caratteristiche di tali fanghi primari sono ambientalmente corrispondenti a quelle dei fanghi prodotti dal trattamento fisico di sole acque bianche, assimilabili come detto a materie prime, appare ragionevole che applichi alla relativa gestione, volta al riutilizzo, condizioni autorizzative particolarmente rigorose, al limite corrispondenti a quelle pertinenti in caso di recupero di rifiuti.
Fonte: MASE
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Risposta prot. 104942 del 06.06.2024.pdf |
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Interpello prot. 37413 del 27.02.24.pdf |
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