Sentenza Consiglio di Stato Sez. V n. 11033 del 16 dicembre 2022
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Sentenza Consiglio di Stato Sez. V n. 11033 del 16 dicembre 2022
ID 1884 | 27.01.2023 / Sentenza in allegato
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 11033 del 16 dicembre 2022, ha stabilito che l’autorizzazione agli scarichi deve formare oggetto di provvedimento necessariamente espresso, non altrimenti surrogabile mediante modelli di semplificazione amministrativa quali l’acquisizione tacita dell’assenso.
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Sentenza Consiglio di Stato Sez. V n. 11033 del 16 dicembre 2022
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1. Il Sig. -OMISSIS- svolge tramite la Cooperativa Castel Dragone di Camogli l’attività di ittiturismo in un piccolo locale munito di cucina, in località Punta Chiappa in Camogli, via San Nicolò 68.
1.1. Con ordinanza del 9 luglio 2015, n. 35, il Dirigente dell’ufficio commercio del Comune di Camogli annullava la segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) presentata in data 21 giugno 2013, ordinando l’immediata cessazione dell’attività, in quanto svolta in assenza di qualsivoglia sistema fognario di raccolta e incanalamento delle acque nere nel locale.
1.2. Successivamente, con ordinanza del 12 agosto 2015, n. 47, il Comune inibiva la nuova S.C.I.A. presentata dal ricorrente in data 31 luglio 2015, volta alla riapertura dell’attività mediante dotazione di un impianto igienico sanitario indipendente e della riduzione dei posti a tavola e del numero di pasti giornalieri.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, il Sig. -OMISSIS- impugnava i predetti provvedimenti, chiedendo l’annullamento e il risarcimento del danno subito a causa della ingiusta inibizione dell’attività.
3. Il giudice di primo grado, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva in parte il ricorso e, per l’effetto, annullava l’ordinanza n. 47 del 12 agosto 2015; rigettava per il resto il ricorso, compensando le spese di lite.
In particolare, il Tribunale:
- in via preliminare, esaminava l’ordinanza del 9 luglio 2015, n. 35, osservando come essa si basasse su due circostanze, ovvero sul fatto che l’attività di ittiturismo non disponeva di impianto di scarico autorizzato e sulla verifica che disperdeva i liquami del locale in mare. In relazione al secondo rilievo, il comune non esibiva il verbale del sopralluogo nel corso del quale era stata appurata la dispersione in mare dei liquami. Per quanto concerne il primo accertamento, invece, constatava che il locale non disponeva di un impianto autorizzato, poiché il provvedimento n. 5792 del 1 aprile 2015 si riferiva alle acque reflue domestiche provenienti da un insediamento a uso civile abitazione. Concludeva, pertanto, che l’amministrazione aveva legittimamente esercitato il potere di cui all’art. 19, comma 3, L. n. 241/1990, in quanto l’attività intrapresa sulla base della S.C.I.A. del 21 giugno 2013 era priva dell’autorizzazione agli scarichi e non rispettava la normativa sulla destinazione d’uso (art. 124, comma 12, del D. lgs. 3 aprile 2006, n. 152);
- osservava poi come la nuova S.C.I.A. - presentata dal ricorrente in data 31 luglio 2015 – fosse accompagnata dalla relazione tecnica dello studio di ingegneria Michelini che asseverava la conformità del sistema di scarico installato (WC mobile conforme alla normativa UNI EN 16194 e due contenitori sigillati di 25 l. per gli scarichi dei lavelli del bagno e della cucina, non collegati alla rete fognaria) alla normativa che disciplina l’attività ittituristica;
- con specifico riguardo all’ordinanza n. 47/2015 rilevava, altresì, il difetto di motivazione circa l’assunta inidoneità del sistema di scarico installato. Difatti, solo nella memoria di costituzione in giudizio il comune esprimeva considerazioni circa l’inidoneità del progetto, in termini di capacità dei contenitori e di frequenza del loro svuotamento ad integrare i requisiti igienico-sanitari richiesti. Sul punto evidenziava come, secondo un costante intendimento giurisprudenziale, non era ammissibile l'integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo, realizzata mediante gli scritti difensivi predisposti dall'amministrazione resistente. In ogni caso, il comune non aveva fornito la prova della non conformità dell’impianto alle linee guida per l’istruttoria autorizzativa dei sistemi di trattamento delle acque reflue domestiche ed assimilate redatte dall’ARPAL - Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure. In altri termini, non aveva dimostrato che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990;
- conseguentemente, annullava l’ordinanza del 12 agosto 2015, n. 47, in quanto non motivata in ordine all’accertata carenza dei necessari requisiti e presupposti.
4. Il Comune di Camogli ha proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata sulla base di plurime censure.
Il Sig. -OMISSIS- si è costituito in giudizio e ha proposto appello incidentale.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 73, comma 1, cod. proc. amm.
All’udienza straordinaria del 22 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Di seguito la sintesi dei motivi di appello sostanzialmente proposti in questa sede.
5.1. Con il primo motivo di appello l’odierno appellante censura la sentenza di primo grado per erroneità e insufficiente motivazione, per difetto di istruttoria e per contraddittorietà intrinseca e illogicità manifeste, oltre che per travisamento dei fatti.
A suo dire il Tar avrebbe errato nel ritenere non motivata l’ordinanza n. 47/2015. In realtà, l’amministrazione si sarebbe espressa tanto in ordine alla carenza dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue in violazione dell’art. 124, commi 1 e 12, del D. Lgs. n. 152/2006 quanto in relazione all’inadeguatezza dello scarico mobile installato nel locale. In ogni caso, il provvedimento amministrativo non potrebbe essere annullato laddove si basi su una pluralità di ragioni e il giudice ritenga insussistenti solo alcune delle stesse. Nel dettaglio, l’ordinanza n. 47/2015 non potrebbe essere annullata, in considerazione della rilevata mancanza di autorizzazione allo scarico dei liquami, già indicata nel richiamato provvedimento n. 35/2015. Né potrebbe eccepirsi che il Sig. -OMISSIS- aveva presentato in data 13 gennaio 2014 “domanda di autorizzazione allo scarico proveniente da insediamenti civili non recapitanti in pubblica fognatura”, poiché l’amministrazione non aveva rilasciato la relativa autorizzazione, anche alla luce del fatto che l’attività insiste su un’area delicata, ricompresa nella c.d. zona “C” dell’Area Marina Protetta di Portofino ai sensi dell’art. 4, comma 8, del Decreto del Ministero dell’Ambiente 26 aprile 1999. Di conseguenza, sarebbe inammissibile l’installazione di una vasca Imhoff con previsione di uno sversamento in mare, trattandosi di un tratto di costa fortemente tutelato sotto il profilo ambientale.
Del resto, l’amministrazione avrebbe motivato sull’inidoneità del nuovo impianto di scarico mobile installato nel locale, rilevando come il nuovo progetto non avrebbe superato “le criticità all’esercizio dell’attività dovute all’installazione del locale in una zona in palese contrato a quanto disposto dal D.M.A. 26.04.1999, art. 4 c.1, n. 2 e comma 9”.
L’amministrazione comunale, pertanto, conclude sostenendo la legittimità dell’ordinanza n. 47/2015, posta nell’esercizio del potere inibitorio ex art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990.
5.2. Con il secondo motivo, l’appellante contesta la sentenza per erronea e insufficiente motivazione, per difetto di istruttoria e per contraddittorietà intrinseca e illogicità manifeste, nonché per travisamento.
A parere dell’appellante la statuizione sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto che il comune non ha offerto la prova utile ai fini dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990. In effetti, l’ordinanza n. 47/2015 costituirebbe un provvedimento amministrativo di natura vincolata. L’amministrazione avrebbe inibito l’attività di ittiturismo in quanto posta in violazione della disciplina dettata dal Codice dell’Ambiente e in carenza dei requisiti e presupposti previsti ex lege. Di conseguenza, il provvedimento non sarebbe annullabile ex art. 21 octies L. n. 241/1990 sussistendo un mero vizio formale (il vizio di motivazione), sanabile mediante integrazione postuma in sede giudiziale.
5.3. Infine, con l’ultimo motivo di appello, l’appellante si duole dell’erroneità della sentenza del Tar laddove ha ritenuto non dimostrata, neppure nel corso del giudizio, l’inadeguatezza dello scarico mobile installato nel locale. Sul punto, il Comune rileva come la non conformità dell’impianto si potrebbe ricavare, anzitutto, dalla mancanza dell’autorizzazione allo scarico prevista dall’art. 124 del D. Lgs. n. 152/2006. Oltretutto, lo scarico sarebbe privo di fattibilità, così aggravando il rischio di danno all’ambiente.
6. Il Sig. -OMISSIS- ha proposto appello incidentale, articolando le seguenti censure.
6.1. Con il primo motivo, impugna il capo della sentenza del Tar che ha rigettato l’impugnazione dell’ordinanza del Comune n. 35/2015, rilevando come il verbale di sopralluogo - sul quale l’ordinanza n. 35/2015 era fondata - non sarebbe mai esistito. Contesta poi la produzione fotografica, eccependo come sarebbe priva di data e, comunque, non consentirebbe di individuare l’origine delle chiazze in mare.
Altresì, evidenzia come la propria attività rientrerebbe tra quelle disciplinate dall’art. 3 Legge Regionale Liguria n. 37/2007 e dall’art. 2, comma 2, lettera a) delle disposizioni attuative per l’esercizio delle attività di ittiturismo, approvate con D.G.R. n. 578/2012. A suo dire, la normativa in esame non imporrebbe all’esponente di denunciare la modifica di destinazione d’uso, trattandosi di un immobile già utilizzato dal Sig. -OMISSIS- per lo svolgimento dell’attività di pesca. In ogni caso, lo scarico sarebbe confluente nell’impianto di depurazione (fossa Imhoff) autorizzato dal Comune (autorizzazione n. 5792 del Comune di Camogli del 1 aprile 2015). L’amministrazione, quindi, avrebbe solo dovuto chiedere la regolarizzazione della posizione dell’esponente da un punto di vista formale, in quanto il suo nominativo non compariva tra gli autorizzati allo scarico. In ogni caso, non doveva essere richiesta alcuna nuova autorizzazione, in considerazione dell’assimilazione delle acque reflue a quelle domestiche in materia di ittiturismo. Ripropone, poi, il primo motivo dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
6.2. Con un secondo motivo, censura il capo della sentenza del Tar che ha respinto il secondo motivo del ricorso introduttivo con riferimento all’ordinanza del comune di Camogli n. 35/2015. A suo dire, l’amministrazione, decorso infruttuosamente il termine di controllo della S.C.I.A. del 2013 ex art. 19, comma 4, L. n. 241/1990, avrebbe solo potuto emettere un provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività motivato da un pericolo di un danno al patrimonio artistico, culturale, all’ambiente, alla salute, alla sicurezza pubblica o alla difesa nazionale, previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare questi interessi mediante conformazione dell’attività.
6.3. Sotto un terzo profilo, si impugna incidentalmente la sentenza per omessa pronuncia sul motivo di impugnazione con cui si denunciava l’erroneo richiamo – operato nelle ordinanze - alla sanzione ex art. 650 c.p. in luogo di quella prevista dall’art. 10 della L. n. 287/1991.
6.4. Infine, censura il capo della sentenza con il quale è stata respinta la domanda di risarcimento dei danni. Ripropone poi i motivi del ricorso introduttivo (anche assorbiti) mossi avverso l’ordinanza n. 47/2015.
All’udienza di smaltimento del 22 novembre 2022 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusione ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.
7. I motivi dell’appello principale, che possono essere congiuntamente esaminati anche con quelli relativi all’appello incidentale per la stretta connessione delle questioni poste, sono fondati nei sensi che si vanno ad esporre.
8. In via preliminare, è indispensabile tracciare il quadro normativo in materia, così da individuare i presupposti essenziali e indefettibili per abilitare una simile attività.
La disciplina si rintraccia, anzitutto, nell’art. 124 del D. Lgs. 3 aprile 2016, n. 152 (recante norme in materia ambientale).
In particolare, il primo comma di tale disposizione normativa prescrive come «tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati».
Il comma 12 del medesimo articolo, poi, stabilisce che «Per insediamenti, edifici o stabilimenti la cui attività sia trasferita in altro luogo, ovvero per quelli soggetti a diversa destinazione d'uso, ad ampliamento o a ristrutturazione da cui derivi uno scarico avente caratteristiche qualitativamente e/o quantitativamente diverse da quelle dello scarico preesistente, deve essere richiesta una nuova autorizzazione allo scarico, ove quest'ultimo ne risulti soggetto. Nelle ipotesi in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative diverse, deve essere data comunicazione all'autorità competente, la quale, verificata la compatibilità dello scarico con il corpo recettore, adotta i provvedimenti che si rendano eventualmente necessari».
Secondo un’esegesi rigorosa, la disposizione in esame esprime un principio generale che esclude possibili deroghe o taciti rinnovi delle autorizzazioni agli scarichi (cfr. Corte Cost. 31 maggio 2012, n. 133), e ciò anche in considerazione dei valori e degli interessi coinvolti.
In quest’ambito, la Corte Costituzionale ha anche avuto modo di chiarire che: «la disciplina degli scarichi in fognatura attiene alla materia dell'ambiente, di competenza esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 187 e n. 44 del 2011). Di conseguenza, alle Regioni non è consentito intervenire in tale ambito, specie se l'effetto è la diminuzione dei livelli di tutela stabiliti dallo Stato (ex plurimis, sentenza n. 225 del 2009). Questa Corte ha inoltre già avuto occasione di precisare che la previsione del silenzio-assenso dell'amministrazione alla scadenza di un termine più breve, rispetto a quello stabilito dalla legislazione statale, per la decisione su istanze di autorizzazione, determina livelli inferiori di tutela in materia ambientale (ex plurimis, sentenza n. 315 del 2009), con conseguente illegittimità delle relative disposizioni regionali» (in termini, Corte Cost. 18 luglio 2014, n. 209; si veda altresì Corte Cost. 1° luglio 2010, n. 234).
Emerge dunque, anche da una lettura dell’art. 20 della L. n. 241/1990 (nella parte in cui si esclude il silenzio assenso per i procedimenti in materia ambientale) che l’autorizzazione agli scarichi deve formare oggetto di provvedimento necessariamente espresso, non altrimenti surrogabile mediante modelli di semplificazione amministrativa quali l’acquisizione tacita dell’assenso. Ciò si ricava altresì dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui la citata disposizione di cui all’art. 124 del codice dell’ambiente esprime un livello minimo inderogabile di tutela in materia ambientale (Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 209) con il precipuo scopo “di verificare periodicamente la presenza delle condizioni individuate come necessarie per la concessione dell'autorizzazione allo scarico idrico richiesto, al fine di assicurare forme di protezione ambientali adeguate” (Corte Cost., 31 maggio 2012, n. 133. Si veda sul medesimo punto anche Corte Cost., 1° luglio 2010, n. 234).
9. Prendendo le mosse da tale ricostruzione (in base alla quale l’autorizzazione agli scarichi può essere il frutto soltanto di un provvedimento espresso), può a questo punto esaminarsi la vicenda concreta.
Anzittutto, occorre esaminare l’ordinanza del 9 luglio 2015, n. 35, con la quale l’amministrazione comunale ha annullato la prima S.C.I.A. – presentata in data 21 giugno 2013 -, ordinando al ricorrente l’immediata cessazione dell’attività di ittiturismo. Il provvedimento si fonda sul presupposto che l’attività è stata svolta in assenza di un impianto di scarico ritualmente autorizzato.
Ebbene, come correttamente rilevato dal primo Giudice, l’ordinanza è stata emanata nel corretto esercizio dei poteri riconosciuti al Comune dagli art. 19, comma 3, e 21 nonies della Legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto sussisteva un pericolo concreto per l’ambiente, ovvero per l’area naturale marina protetta denominata «Portofino», nella quale il Sig. -OMISSIS- esercitava la propria attività, in assenza di un impianto di scarico autorizzato.
Sul punto, non si può concordare con l’assunto secondo cui l’impianto sarebbe stato autorizzato con provvedimento del 1 aprile 2015, n. 5792, poiché tale ultimo atto autorizza l’impianto con riferimento alle acque reflue domestiche provenienti da un insediamento a uso di civile abitazione; nel mentre, il Sig. -OMISSIS- ha mutato la destinazione d’uso del locale, adibendolo per l’attività di ittiturismo, con conseguente modificazione della quantità e della qualità dello scarico preesistente. Di conseguenza, in ossequio al disposto del citato art. 124, comma 12, del d.lgs. n. 152/2006, avrebbe dovuto richiedere una nuova autorizzazione allo scarico.
Pertanto, le censure, mosse nell’appello incidentale avverso la sentenza del Tar che accerta la legittimità dell’ordinanza del Comune n. 35/2015, sono infondate.
10. A considerazioni analoghe deve, altresì, pervenirsi in relazione all’ordinanza del 12 agosto 2015, n. 47, con la quale il Comune ha inibito la nuova S.C.I.A. presentata in data 31 luglio 2015, volta alla riapertura dell’attività mediante dotazione di un impianto igienico sanitario indipendente, con riduzione dei posti a tavola e del numero dei pasti giornalieri.
Sotto questo profilo, non può condividersi il convincimento del primo giudice nella parte in cui ritiene che il provvedimento in esame sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990, non essendo peraltro motivato in ordine alla accertata carenza dei necessari requisiti e presupposti.
In primo luogo, occorre rammentare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, «in presenza di atti pluri -motivati, ovvero fondati su una pluralità di autonomi motivi, per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni, pertanto il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento» (Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2020, n.2403).
Secondariamente, come correttamente sostenuto dall’odierno appellante, l’ordinanza n. 47/2015 richiama espressamente la precedente ordinanza n. 35/2015, con la quale, giova ribadirlo, si era rilevata l’assenza di un impianto di sistema fognario di raccolta e incanalatura delle acque nere necessari per lo svolgimento dell’attività di ittiturismo appositamente autorizzato. In altre parole: l’assenza di una autorizzazione espressa agli scarichi.
L’amministrazione aveva anche inviato una lettera – in data 5 agosto 2015, prot. n. 14419 – indirizzata al Sig. -OMISSIS- con la quale evidenziava che lo scarico delle acque reflue provenienti dall’immobile di sua proprietà non era stato autorizzato.
In altri termini, il Sig. -OMISSIS- avrebbe dovuto chiedere un’autorizzazione espressa che non può essere assorbita implicitamente all’interno di una S.C.I.A. per le ragioni sopra evidenziate al punto 8. Una tale operazione si pone contro la struttura e la ratio dell’art. 124 del Codice dell’ambiente che impone – giova ribadire – l’acquisizione previa ed espressa dell’autorizzazione da parte del soggetto interessato.
Né, d’altra parte, la pacifica assenza di un titolo autorizzatorio in tal senso potrebbe essere superata dalla considerazione – a più riprese adombrata dalla difesa del -OMISSIS- (cfr. pagg. 12 e 13 dell’appello incidentale) – secondo cui il DPR n. 227 del 2011, all’art. 2, avrebbe operato una assimilazione tra scarichi domestici e scarichi provenienti “da servizi igienici, cucine e mense”. Ciò in quanto una simile assimilazione opera sul piano della valutazione funzionale in sé ma non anche sul piano della possibile automatica estensione abilitante da uno scarico già autorizzato (nel caso di specie: quello domestico delle limitrofe unità immobiliari di cui ai civici 63 e 67) ad uno non ancora formalmente e sostanzialmente autorizzato (quello del -OMISSIS-). In altre parole: la presenza di uno scarico autorizzato relativo ad alcune unità immobiliari non potrebbe automaticamente valere, in termini abilitativi, a consentire la apertura di uno scarico per ristoranti per la sola ragione che quest’ultimo si allacci de facto alle suddette unità abitative autorizzate, essendo a tal fine necessario mettere la competente autorità nelle condizioni di effettuare una nuova ed autonoma verifica di compatibilità ambientale (e dunque di adottare una nuova e diversa autorizzazione).
Nel caso di specie, poi, la suddetta autorizzazione era tanto più necessaria ove soltanto si consideri che il mutamento di destinazione d’uso, da magazzino a ristorante, avrebbe senz’altro comportato un maggior carico urbanistico (in area marina protetta). Né si potrebbe ipotizzare, come propone il ricorrente in primo grado nell’appello incidentale, che l’allaccio del locale in questione a due utenze civili potesse ritenersi sufficiente ai fini che qui interessano, e ciò proprio per il differente impatto urbanistico e ambientale tra civili abitazioni e locali di ristorazione.
Ne consegue che le censure mosse nell’appello incidentale sono infondate e devono essere rigettate.
11. In conclusione:
11.1. L’appello incidentale va rigettato.
11.2. L’appello principale del Comune va accolto nei sensi di cui in motivazione.
11.3. La sentenza di primo grado va dunque confermata in relazione alla statuizione sull’ordinanza n. 35/2015 e va riformata, nei sensi di cui sopra, per ciò che concerne l’ordinanza n. 47/2015, con conseguente integrale rigetto del ricorso di primo grado.
11.4. Le spese processuali del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- Rigetta l’appello incidentale;
- Accoglie l’appello principale, come da motivazione;
- In parziale riforma della gravata sentenza, rigetta il ricorso di primo grado.
Condanna il Sig. -OMISSIS- alla rifusione delle spese processuali sostenute per entrambi i gradi di giudizio dall'appellante nella misura di € 2.000,00 per il primo grado e € 2.000,00 per il secondo grado. Il tutto oltre IVA e CPA ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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Fonte: Consiglio di Stato
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