Relazione finale sul mercato illegale delle buste di plastica-shopper
Relazione Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti 7 settembre 2022 n. 29
La Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha inteso approfondire la tematica delle “borse di plastica monouso”. In poco più di un secolo, grazie alle scoperte della scienza e ai progressi tecnologici, l’umanità ha decisamente migliorato la qualità della vita. Seppure con notevoli differenze tra nord e sud del mondo e tra economie più o meno evolute, molte persone godono oggi di un buon stile e maggiori aspettativa di vita, possibilità di viaggiare e comunicare. In questo contesto le materie plastiche hanno svolto un ruolo importante; grazie al loro basso costo e alle loro molteplici qualità, sono diventate protagoniste della vita quotidiana in tanti settori, in particolare nel settore dell’imballaggio come ad esempio le borse in plastica per il trasporto delle merci. Nel nostro paese nel 2007 si consumavano oltre 200mila tonnellate di borse, per circa 30 miliardi di sacchetti in plastica monouso, per trasportare per qualche decina di minuti la spesa nelle nostre case e poi finire, nel migliore dei casi inceneriti ma, frequentemente, dispersi nell’ambiente. Le conseguenze ambientali di tali comportamenti hanno mostrato i limiti di un modello di consumo, cosiddetto lineare, legato a meccanismi di “produzione-consumo-scarto”.
In tale contesto, si è sviluppato in Europa un modello che ha preso il nome di “bioeconomia circolare”, in cui i prodotti sono progettati con materie prime alternative rinnovabili di origine biologica, in un meccanismo di consumo “circolare” tale per cui “post-consumo” non esistono più rifiuti ma prodotti o imballaggi che, nel loro fine vita, tornano ad essere risorsa. L’Italia, in tale ambito, ha potuto applicare con successo il modello di bioeconomia circolare grazie al forte sviluppo dei sistemi di raccolta differenziata, diventando punto di riferimento in Europa. In particolare, l’Italia può vantare il più sviluppato sistema europeo di raccolta differenziata dei rifiuti umidi organici, che sono trattati in compostaggio per diventare compost e quindi ammendante fertile. Si tratta di rifiuti organici prodotti da scarti di mense e di cucine nonché da sfalci e potature dei giardini, che secondo i dati raccolti annualmente nel rapporto rifiuti urbani di ISPRA pone il sistema italiano ai primi posti in Europa e nel mondo per quantitativi gestiti e trattati. Infatti, secondo le stime del CIC, dai rifiuti organici raccolti nel corso del 2018 sono state prodotte 2,04 milioni di tonnellate compost, che hanno contribuito a stoccare nel terreno 600.000 tonnellate di sostanza organica e risparmiare 3,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente/anno rispetto a all’avvio in discarica dei medesimi rifiuti. Il forte sviluppo di un’industria legata alla raccolta differenziata della frazione umida e del successivo riciclo organico in compostaggio, ha posto il tema della tipologia dei manufatti e dei sacchetti da utilizzare per la raccolta di tali rifiuti. In particolare, nel tempo si è dimostrato inefficiente l’utilizzo di sacchetti in plastica tradizionale per la raccolta dell’umido urbano, in quanto tali manufatti non sono compostabili e producono ingenti scarti nei processi di trattamento. Per tale motivo, la loro necessaria eliminazione dal flusso umido destinato al compostaggio, ha comportato diversi ordini di problemi, tra cui il loro smaltimento attuabile necessariamente in discarica. In Italia, per superare tali aspetti negativi legati alla gestione dei materiali non compostabili, negli ultimi 20 anni sono stati messi a punto strumenti dedicati alla raccolta differenziata della frazione organica, come i sacchetti in bioplastica compostabile. Tali strumenti consentono che sia trasformato in compost sia il rifiuto umido che il sacchetto con cui il rifiuto stesso è raccolto.
L’industria delle bioplastiche compostabili, presente in Italia da oltre 20 anni, lavora secondo l’approccio della bioeconomia circolare, producendo manufatti in plastica biodegradabile e compostabile. Tali prodotti sono tutti certificati secondo la norma armonizzata EN 13432, che ne garantisce il riciclo organico insieme alla raccolta dei rifiuti umidi. Tali caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità – analoghe a quelle dei rifiuti organici – contribuiscono, al termine del processo di trattamento della frazione organica, alla creazione di compost di qualità, quale end of waste del rifiuto umido e ammendante utilizzabile in agricoltura per la lotta alla desertificazione e all’erosione dei suoli. Su tale scorta operativa, l’Italia è stata tra i primi membri dell’Unione Europea a mettere a bando - per ridurne drasticamente l’utilizzo - uno degli oggetti in plastica più tipicamente rappresentativi dell’economia lineare: il sacchetto della spesa. Una prima normativa specifica finalizzata a ridurre il consumo di questo oggetto è stata introdotta nel 2007 per poi essere perfezionata nel 2012 e nel 2017, ponendo così l’Italia all’avanguardia nell’Unione Europea. Il cittadino a cui occorre una borsa in plastica per fare la spesa può usarne una riutilizzabile (spessa e resistente) oppure servirsi di borse in bioplastica compostabile certificate secondo lo standard armonizzato EN 13432, tali da consentirne il reimpiego per la raccolta della frazione organica e il successivo riciclo insieme alla frazione umida dei rifiuti urbani. Quindi si può sintetizzare che le borse di plastica ammesse in commercio in Italia sono in “plastica riutilizzabile” da un lato e borse monouso in “plastica biodegradabile e compostabile” dall’altro.
Dall’adozione della legge, la riduzione dei consumi è stata altamente significativa.
Secondo i dati di Plastic Consult, nel 2021 il consumo di borse di plastica monouso si è attestato su circa 76.000 tonnellate (rispetto alle 200mila tonnellate del 2007). Va registrato, però, che per ogni 5 sacchetti in circolazione, uno è in plastica tradizionale, non conforme alla normativa vigente. L’inosservanza delle disposizioni in vigore é dato da interessi lucrativi connessi alla commercializzazione di “buste tradizionali” la cui materia prima è di basso costo, sensibilmente inferiore a quello delle buste ammesse dalla legge. Non va sottaciuto, peraltro, che al guadagno connesso a tale commercializzazione si associano ulteriori potenziali correlazioni con attività illecite, quali il controllo del territorio, in particolare le aree mercatali. La conseguenza nell’utilizzo di tali “buste” è il riflesso negativo nel mancato trattamento della frazione organica (smaltita come rifiuto nelle succitate buste) inesorabilmente contaminata dalla plastica non compostabile e destinata in discarica o in alternativa a recupero energetico, con conseguente aggravio di costi di gestione, compresi i costi di trasporto di tali ulteriori rifiuti. In tale contesto, l’impegno degli Organi accertatori ha sicuramente garantito nel tempo il consolidarsi di un panorama di legalità che ha contribuito ad allentare i fattori di pressione ambientale legati al forte sviluppo dei quantitativi di rifiuti da raccolta differenziata dell’umido urbano e il relativo riciclo organico in compostaggio. Le diverse campagne di accertamento, sulla base dei vari Protocolli stilati con la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali ad esse correlate, hanno condotto al sequestro di centinaia di tonnellate di borse non a norma, eliminando il rischio potenziale connesso al destino di questi sacchetti di contaminare le diverse filiere di gestione di rifiuti, ma anche con il sanzionamento di esercizi commerciali, sequestri di magazzini di stoccaggio e una fabbrica di produzione.
Tali attività di contrasto al fenomeno illegale, sono sempre più in essere grazie alla sinergia creata dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali ad esse correlate, tra Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari (CUFA), Polizie Locali, Guardia di Finanza e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Tali attività hanno interessato le principali città e le Regioni come Lazio, Campania, Sicilia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Basilicata.