Il primo grado del processo sull’Ilva «Ambiente svenduto» si è chiuso con condanne pesanti: ventidue anni per Fabio Riva, 20 per Nicola Riva, gli ex proprietari del gruppo siderurgico e principali imputati. La sentenza della Corte d’Assise per il processo con 47 imputati relativo al reato di disastro ambientale dell’Ilva con la gestione Riva è stata letta stamattina in aula dalla presidente Stefania D’Errico alle 10.45: è arrivata dopo 329 udienze durate cinque anni (la prima il 17 maggio del 2016). La richiesta dell’accusa era di 28 anni per Fabio Riva e 25 per Nicola Riva, ex proprietari ed amministratori dell’azienda.
La Corte d’Assise di Taranto ha anche disposto la confisca degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto per il reato di disastro ambientale imputato alla gestione Riva, così come era stato chiesta dai pm. Gli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico ex Ilva erano già stati sequestrati dal gip del tribunale del capoluogo jonico Patrizia Todisco il 25 luglio 2012 (poi venne concessa la facoltà d’uso). Accolta, in questo senso, da una giuria di tutte donne, la richiesta formulata dall’accusa rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone e dai sostituti Mariano Buccoliero, Remo Epifani, Raffaele Graziano e Giovanna Cannalire. I giudici nella sentenza hanno stabilito la confisca per equivalente del profitto illecito nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire spa, oggi Partecipazioni industriali spa in liquidazione, e Riva forni elettrici per gli illeciti amministrativi per una somma di 2 miliardi e 100 milioni di euro in solido tra loro.
La confisca degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto non ha alcun effetto immediato sulla produzione e sull’attività del siderurgico di Taranto. La confisca degli impianti è stata chiesta dai pm, ma essa sarà operativa ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione, mentre adesso si è solo al primo grado di giudizio. Gli impianti di Taranto, quindi, restano sequestrati ma con facoltà d’uso agli attuali gestori della fabbrica. Gli impianti pugliesi sono infatti ritenuti strategici per l’economia nazionale da una legge del 2012 confermata anche dalla Corte Costituzionale. Per area a caldo si intendono parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaierie. Da rilevare che nel passaggio degli impianti dall’attuale proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria all’acquirente, cioè la società Acciaierie d’Italia tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, è previsto il dissequestro degli impianti come condizione sospensiva. Passaggio per ora collocato entro maggio 2022.
Il processo «Ambiente svenduto» nasce a seguito del sequestro degli impianti dell’area a caldo del siderurgico dell’Ilva di Taranto e degli arresti avvenuti a partire dal 26 luglio 2012 su ordine del gip Patrizia Todisco. La pubblica accusa ha sempre parlato di inquinamento «devastante per l’ambiente e per la salute», chiedendo 28 e 25 anni di carcere per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva; 28 anni per l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, 20 anni per il dirigente Adolfo Buffo e per cinque ex «fiduciari aziendali». (Fonte: Corriere)
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