Sentenza TAR RC 967/2017 del16 giugno 2017
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Sentenza TAR Reggio Calabria 967/2017 del16 giugno 2017
Locali adibiti a vani tecnici
Al fine del riconoscimento e della conseguente esenzione dal permesso di costruire, tali locali devono ospitare gli impianti funzionali all'edificio principale e la funzione abitativa deve risultare impossibile.
Per l’individuazione della nozione di volume tecnico escluso dal calcolo della volumetria, bisogna fare riferimento a tre ordini di parametri:
- deve essere accertato che non è stato possibile collocare gli impianti all’interno dell’edificio principale e che la soluzione di creare un vano tecnico sia stata una scelta progettuale obbligata;
- deve esserci una correlazione tra le dimensioni del vano tecnico e le funzioni che è chiamato a svolgere.
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FATTO
Verificata l’esistenza di opere realizzate senza titolo in zona sottoposta al vincolo ambientale e paesaggistico, il Comune di Diamante ha emesso ordine di demolizione 31.10.2016 n. 43.
In data 18.7.2016, la parte ricorrente ha presentato richiesta di permesso di costruire in sanatoria, che il Comune ha respinto, con provvedimento 3.11.2016 n. 45.
Con due ricorsi, iscritti al n. 59 ed al n. 60 del 2017 R.G., Campeggio Internazionale s.n.c. chiede l’annullamento di entrambi i provvedimenti, perché viziati da violazione di legge ed eccesso di potere. Si è costituita, in ambedue i giudizi, l’Amministrazione comunale, al fine di resistere alle avverse pretese di parte ricorrente.
Nel decidere la domanda cautelare, il collegio ha fissato la data dell’udienza pubblica, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a. All’udienza del 14 giugno 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Una prima tipologia di opere prive di titolo riguarda taluni ampliamenti realizzati sui sette bungalows e sui cinque alloggi del personale esistenti. In aderenza ai bungalows, è stato creato un locale in pannelli prefabbricati coibentati, posto su un basamento in calcestruzzo, avente una superficie di circa mq. 3,75 (mt. 1,50 x mt. 2,50) ed un’altezza di circa mt. 2,40. Inoltre, sono state installate delle tettoie in ferro con copertura in materiale coibentato, delle dimensioni di circa mt. 3,80 x mt. 3,25 ed un’altezza media di circa mt. 2,40.
In aderenza a ciascuno dei cinque alloggi per il personale, è stato realizzato un locale in pannelli prefabbricati coibentati, posto su un basamento in calcestruzzo, avente una superficie di circa mq.
12,6 (mt. 4,2 x mt. 3,00) ed un’altezza di circa mt. 2,50.
La prima questione che dev’essere sceverata concerne la natura di tali opere, se precaria o meno. Osserva in proposito il collegio che la nozione di opera precaria non si fonda sulle caratteristiche dei materiali usati, né sulle modalità di ancoraggio delle strutture al suolo, ma sulle ridotte dimensioni della stessa e sulle esigenze, di natura permanente o temporanea, che è destinata a soddisfare (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 20 ottobre 2016 n. 1601).
E, nel caso di specie, gli ampliamenti sono senza dubbio alcuno funzionalmente destinati a soddisfare esigenze perduranti nel tempo.
Individuata, quindi, la natura di opere di natura permanente attribuibile ai descritti abusi edilizi, occorre verificare se gli stessi possano configurarsi come “volumi tecnici”, nel senso di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 2474 del 1973, ovverosia quali volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze di funzionalità degli impianti stessi, trovare collocazione nel corpo dell’edificio. Il provvedimento di rigetto si limita apoditticamente ad affermare che, nella fattispecie, tali caratteristiche mancano, senza esplicitarne le ragioni.
Da una consulenza tecnica di parte versata in atti, emerge che gli ampliamenti realizzati ai cinque alloggi del personale contengono “impianti tecnologici finalizzati alla produzione ed all’accumulo di energia elettrica e acqua calda sanitaria, alla sicurezza dell’intera struttura (gestione dell’impianto di allarme e di video sorveglianza), nonché alla climatizzazione ed alla diffusione ed alla gestione di una rete wifi”; gli ampliamenti ai sette bungalows contengono, invece, impianti destinati ad espletare le loro funzionalità nel tempo.
Ora, al fine di stabilire se un locale possa essere ritenuto mero vano tecnico, come tale non necessitante di permesso di costruire, occorre effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche, in modo da escludere, in maniera oggettiva, che esso possa assolvere ad una funzione abitativa, anche solo in via potenziale o per il futuro, a prescindere dalla destinazione soggettiva impressa dal proprietario.
In sostanza, per l’individuazione della nozione di volume tecnico escluso dal calcolo della volumetria, bisogna fare riferimento a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo esso avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo, negativi, ossia ricollegati, rispettivamente, all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse ed ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra le esigenze edilizie e il volume realizzato.
Quest’ultimo, pertanto, deve essere completamente privo di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto esclusivamente destinato a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale, che non possono essere ubicati all’interno di essa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2565; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 16 giugno 2016 n. 1208; T.A.R. Campania, Sez. IV, 2 aprile 2015 n. 1927).
Non appare che il Comune di Diamante, nel respingere la domanda di sanatoria, abbia motivato esaustivamente circa l’applicazione di tali criteri, allo scopo di concludere che i volumi per cui è causa sono utilizzabili e suscettibili di autonoma abitabilità.
Altre nuove opere abusive realizzate consistono: a) nella chiusura in muratura di una tettoia posta tra l’alloggio del custode ed il locale deposito bar, con ampliamento di quest’ultimo di circa mq. 30,00 (mt. 7,00 x mt. 4,30) ed un’altezza di circa mt. 2,30; b) in una tettoia coperta in legno imbullonata a suolo sovrastante la piattaforma in calcestruzzo utilizzata come discoteca, delle dimensioni di circa mq. 98,00 (mt. 9,30 x mt. 10,52), per un’altezza media di circa mt. 2,50.
In proposito, occorre specificare come la chiusura di vani aperti – determinando l’ampliamento della superficie abitabile e un nuovo locale autonomamente utilizzabile – sia qualificabile come intervento di trasformazione urbanistica, per la sua destinazione ad uso non limitato nel tempo e per l’alterazione prodotta nello stato del territorio.
Pertanto, essa dev’essere necessariamente preceduta dal rilascio della concessione edilizia, non essendo né una ristrutturazione, né un intervento di manutenzione straordinaria (ex multis, cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza n. 888/2014).
Lo stesso dicasi per la tettoia sovrastante la discoteca che, per conformazione, ampie dimensioni e non evidente e riconoscibile le finalità di arredo o di riparo e protezione anche da agenti atmosferici, non può ritenersi sottratta al regime del permesso di costruire (cfr. T.A.R. Calabria, Sez. II, 3 maggio 2016 n. 977).
Altre opere abusive sono costituite dalle c.d. “case mobili”, ovverosia strutture abitative non ancorate al terreno, ma costruite su appositi carrelli, che ne consentono la rapida installazione su qualsiasi terreno.
Anche tali opere, in quanto dirette a soddisfare interessi permanenti nel tempo, necessitano del previo rilascio del titolo edilizio di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380/2001, che comprende proprio le “case mobili” tra gli interventi di nuova costruzione.
Né appare sufficiente che la “casa mobile” sia ancorata al suolo in modalità precaria, per affrancarla dal permesso edilizio (cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. I, 29 dicembre 2016 n. 2495).
Tutto quanto sopra esposto, appare nondimeno conclamata agli atti la natura comunque vincolata dei provvedimenti edilizi impugnati.
Come si ricava dal titolo concessorio, le opere in esame si collocano in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e necessitano, quindi, di autorizzazione ai sensi dell’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Inoltre, ai sensi dell’art. 54 del codice della navigazione, trattandosi di innovazioni su aree rientranti nel demanio marittimo, va richiesta la relativa autorizzazione, non incidendo la circostanza che le opere stiano all’interno di un’area già data in concessione (cfr. T.A.R. Campania, Sez. VII, 22 marzo 2012 n. 1445 e Sez. IV, 21 febbraio 2002 n. 1030).
Dalla natura vincolata dei provvedimenti adottati discende, dunque, l’applicabilità, nei loro confronti, del divieto di annullabilità per ragioni formali, previsto dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.
In definitiva, i due ricorsi riuntiti devono essere respinti giacché infondati, mentre il pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, va regolato secondo il criterio ordinario della soccombenza.
P.Q.M.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:
Nicola Durante, Presidente FF, Estensore
Emiliano Raganella, Primo Referendario
Giuseppina Alessandra Sidoti, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Nicola Durante
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