Sentenza TAR Lazio n. 9127 del 10.08.2020
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Sentenza TAR Lazio n. 9127 del 10.08.2020
La realizzazione di un prefabbricato in zona agricola potrebbe essere considerato come intervento di nuova costruzione e richiedere il rilascio del permesso di costruire.
Sentenza TAR Lazio n. 9127 del 10 Agosto 2020
Estratto
Con il ricorso in esame il predetto impugna l’ordinanza n. 322 del 19.9.2008, pratica n. 871/08, con cui il Comune di Ardea ha ingiunto la sospensione dei lavori e la demolizione dell’intervento - realizzato senza autorizzazione – consistente nell’installazione su un terreno di circa 2000 mq di un manufatto in legno di 52 mq collocato su un piano di calpestio, realizzato mediante blocchetti di tufo e malta con battuto di cemento alto mediamente 25 cm.
Il gravame è affidato ai motivi riconducibili ai seguenti: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 DPR 380/2001- eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti; 2) eccesso di potere per difetto di motivazione.
In sostanza il ricorrente lamenta che il Comune avrebbe erroneamente qualificato l’opera in questione come “nuova costruzione”, ai sensi dell’art. 3 co. 1 lett. e) sub n. 5) DPR 380/2001, quando invece si tratta di un semplice prefabbricato di natura precaria, destinato a sopperire ad esigenze abitative di natura temporanee. Inoltre il Comune non avrebbe considerato che il manufatto è sito in un’area con destinazione urbanistica di PRG di zona “agricola”, ma priva di vincolo, già notevolmente antropizzata causa di numerose costruzioni abusive che il Comune sta regolarizzando mediante il rilascio di concessioni edilizie in sanatoria.
In ogni caso l’ordinanza di demolizione è priva di motivazione, non chiarendo qual è l’interesse pubblico tutelato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo alla natura abusiva dell’intervento, tanto più se sito in zona che ha perso del tutto l’originaria destinazione agricola.
Con ordinanza collegiale n. 3428 del 14.3.2019 è stata respinta l’opposizione a decreto presidenziale di perenzione n. 2451/2018.
A seguito di sentenza del Consiglio di Stato n. 8194/2019, di accoglimento dell’appello avverso l’ordinanza collegiale 3428/2019, è stata fissata l’udienza pubblica al 7.4.2020, poi rinviata, ai sensi dell’art. 84, comma 2, d. l. n. 18/2020, all’udienza del 7 luglio 2020.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale con deposito di documenti.
In vista dell’udienza per la trattazione del merito le parti hanno depositato memorie conclusionali.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione all'udienza del 7.7.2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, come richiesto dalla parte ricorrente con brevi note, ai sensi dell’art. 84 DL n. 18/2020 conv. in L. n. 27/2020.
Con l’impugnata ordinanza di demolizione il Comune di Ardea, con il provvedimento impugnato del 19.9.2008, ha ingiunto al ricorrente, ai sensi dell’art. 31 del DPR 380/2001 dell’art. 15 della L.R. n. 15/2008, di rimuovere un manufatto prefabbricato di legno di circa 50 mq, demolire la platea di cemento su cui era collocato, e ripristinare lo stato dei luoghi entro 90 giorni.
Il provvedimento impugnato è immune dai vizi dedotti.
Innanzitutto si deve escludere il prospettato difetto di istruttoria, in quanto l’intervento abusivo è stato correttamente identificato, localizzato, descritto nelle sue caratteristiche e nel rapporto con il lotto di pertinenza di 2000 mq, così come l’area in cui è inserito, precisando che si tratta di zona con destinazione urbanistica di PRG “agricola”, ma “priva di vincolo”; per cui l’intervento avrebbe dovuto essere realizzando previa acquisizione del prescritto titolo abilitativo, nonché, trattandosi di territorio sismico ("zona 3" ai sensi del 0.P.C.IVI. 3274/2003) anche del titolo prescritto dalla normativa antisismica ai sensi della Legge n. 64/ 1974.
Non sussiste il lamentato errore di qualificazione giuridica dell’intervento in contestazione, dato che anche una struttura prefabbricata, anche se semplicemente appoggiato al suolo, senza ancoraggio, rientra nella nozione di “nuova costruzione” urbanisticamente rilevante ai sensi dell’art. 3 del DPR 380/2001, ove sia destinato ad essere stabilmente utilizzato come abitazione o locale lavorativo e quindi necessita di un titolo abilitativo edilizio, e, a maggior ragione, se pur presentando delle caratteristiche di amovibilità, richiede opere di fondazione e la realizzazione di impianti tecnologici per allacciamenti permanenti e servizi ecc., che comunque comportano la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; tanto in forza della stessa disposizione sopra citata, che, al comma 1 lett. e) punto n. 5) include, appunto “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, qua-li roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni”, senza richiedere ulteriori condizioni.
Risulta perciò condivisibile l’impostazione difensiva del Comune che si incentra sulle caratteristiche e le funzioni dell’opera realizzata che “consiste in struttura oggettivamente ed evidentemente stabile, non rimovibile e di indubbia alterazione permanente del territorio e dello stato dei luoghi”.
Non giova, in senso contrario, al ricorrente invocare la clausola di esclusione prevista dalla precitata disposizione, ove esclude che in tale categoria rientrino “quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”, che invece rientrano nell’ambito dell’attività edilizia “libera”; infatti, l’art. 6, comma 2, lett, b) del predetto DPR 380, non richiede previo rilascio di titolo abilitativo, ma mera comunicazione di inizio lavori, nel caso in cui i manufatti consistono in “opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni”, condizione questa, incompatibile con le esigenze di natura abitativa rappresentate dalla parte ricorrente.
Ed invero, non può rilevare, a tal fine, la circostanza che il ricorrente sia stato indotto a realizzare tale intervento per sopperire all’esigenza di assicurare un alloggio al proprio nucleo familiare. In tale prospettiva la giurisprudenza in materia ha ritenuto irrilevante lo “stato di necessità”, chiarendo che l’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata costituisce per il Comune un atto dovuto, non avendo alcun margine di discrezionalità che consenta di apprezzare le condizioni soggettive dell’interessato dato che “il provvedimento repressivo dell'abuso è atto vincolato, insensibile a ulteriori fatti non previsti a livello normativo” (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. II, 11/06/2020 n.3730).
In tale ottica va disattesa anche l’ulteriore doglianza con cui il ricorrente lamenta il difetto di motivazione dell’atto impugnato.
L’orientamento giurisprudenziale in materia s’è ormai consolidato nel senso che l’ordine di demolizione di un immobile abusivamente realizzato senza titolo non necessita di motivazione ulteriore rispetto alla mera individuazione delle opere abusive da rimuove ed al richiamo delle norme violate; non occorre effettuare una “specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico perseguiti nel caso concreto” né una ponderazione comparativa dell’interesse pubblico perseguito con gli interessi dei privati coinvolti e sacrificati in quanto l’adozione della misura repressiva è atto vincolato, non assumendo rilievo il tempo trascorso, dato che la costruzione abusiva costituisce un illecito a carattere permanente che deve essere rimosso; non è invocabile in senso contrario l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, data anche la conoscibilità del contrasto dell’immobile abusivo con la normativa urbanistica (Cons. Stato, A.P. n. 9/2017; Cons. Stato, n. 665/2018).
Del resto, le particolari circostanze soggettive rappresentate dal ricorrente, che si sarebbe trovato costretto a realizzare l’intervento abusivo per sopperire ad esigenze alloggiative del nucleo familiare, non impedivano di richiedere il titolo abilitativo seguendo le procedure prescritte, peraltro ormai molto accelerate e semplificate. Tale possibilità, peraltro, non è nemmeno esclusa “a posteriori” dal provvedimento impugnato che, appunto, avverte l’interessato della possibilità di presentare un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001 e dell’art. 22 LR 15/2008.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte il ricorso va respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi, attese le circostanze sopra rappresentate, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
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