Linee guida per il controllo di STEC nel latte
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Linee guida per il controllo di STEC nel latte - Ministero della Salute rev. 03.07.2025
ID 24266 | 10.07.2025 / In allegato
Linee guida per il controllo di STEC nel latte non pastorizzato e nei prodotti derivati
Da qualche anno ha assunto significativa rilevanza il problema della contaminazione di prodotti lattiero-caseari con ceppi di Escherichia coli produttori di Shiga tossine. In particolare, ci si riferisce ai prodotti ottenuti da latte che non ha subito un trattamento termico in grado di inattivarli, ad esempio i cosiddetti “formaggi al latte crudo”.
È bene chiarire sin da subito che: secondo la normativa vigente (Reg. CE 853/2004), per “latte crudo” si intende un latte che non è stato riscaldato a più di 40 °C e non è stato sottoposto ad alcun trattamento avente un effetto equivalente; di conseguenza assumono analoga definizione i formaggi derivati. E’ noto, tuttavia, che per inattivare i microrganismi patogeni vegetativi devono essere raggiunte temperature ben superiori, come quelle di pastorizzazione: 72°C per 15 secondi oppure 63°C per 30 minuti oppure una combinazione di tempo e temperatura avente effetto equivalente. Cosa che non avviene per quei formaggi che prevedono sì un riscaldamento del latte in fase di produzione (cosiddetta “termizzazione”), ma a temperature ben inferiori a quelle di pastorizzazione. Questi prodotti non sono tenuti a riportare in etichetta l’indicazione “latte crudo” se il latte ha superato in lavorazione la temperatura di 40°C; al tempo stesso non si è in grado di conoscere se abbiano subito o meno un trattamento di pastorizzazione.
Di conseguenza, per le finalità di queste linee guida, si introduce la dicitura “latte non pastorizzato” (e, per analogia, “formaggi a latte non pastorizzato”) per riferirsi a quel latte che non ha subito un trattamento equivalente alla pastorizzazione in grado di eliminare i microrganismi patogeni allo stato vegetativo, tra i quali rientra appunto STEC. Nel caso di formaggi ottenuti da latte pastorizzato il pericolo STEC viene eliminato attraverso il trattamento di pastorizzazione che, secondo il metodo HACCP, rappresenta un CCP, vale a dire una fase di processo dove è possibile eliminare un pericolo applicando una o più misure di controllo. Laddove ciò non sia possibile, risulta fondamentale per l’OSA stabilire quali alternative attuare per garantire lo stesso risultato, con la finalità di mettere sul mercato prodotti alimentari sicuri, cioè non in grado di nuocere alla salute.
L’esigenza di non pastorizzare il latte prima della caseificazione deriva da motivazioni di carattere storico e culturale e sta alla base di quel grande patrimonio gastronomico rappresentato dalle oltre 400 varietà di formaggi riconosciuti che arricchiscono il nostro Paese. In alcuni casi, con riferimento alle realtà più piccole, la produzione casearia fornisce una importante fonte di reddito per allevatori e artigiani contrastando lo spopolamento delle zone più svantaggiate, come le valli alpine o altre aree interne. Prima di tutto ciò, deve in ogni caso essere garantita la sicurezza dell’alimento che rappresenta un pre-requisito della sua qualità.
Deve allora essere cercato il miglior equilibrio tra le dimensioni economica, culturale e sanitaria, secondo un approccio che coinvolge l’intera filiera di produzione, trasformazione e distribuzione.
Se si esclude la pastorizzazione, non applicabile ai prodotti di cui si sta parlando, non c’è un’unica misura in grado di tenere sotto controllo la contaminazione da STEC; piuttosto è l’azione combinata di più misure di controllo, dai campi sino alla tavola, che può minimizzarne il rischio STEC, grazie alla corretta applicazione delle buone prassi del settore.
Questo documento si propone di:
- offrire una presentazione generale del pericolo STEC;
- descrivere i programmi di prerequisito (PrP), comprese le Buone Prassi di Igiene (GHP), che possono contribuire a tenere sotto controllo la contaminazione da STEC e la loro moltiplicazione nel latte non pastorizzato e nei formaggi a latte non pastorizzato nelle diverse fasi della filiera produttiva;
- facilitare gli Operatori del Settore Alimentare (OSA) nell'elaborazione dei Piani di Autocontrollo a livello di singolo stabilimento;
- fornire uno strumento di ausilio per l’attività dell’Autorità Competente responsabile della vigilanza lungo la filiera per l’attività di Controllo Ufficiale, in linea con le previsioni normative.
Le linee guida devono essere considerate flessibili per l’adozione individuale, in considerazione della grande diversificazione delle filiere dei formaggi a latte non pastorizzato che caratterizzano la produzione nazionale.
Le linee guida sono complementari e devono essere utilizzate congiuntamente ai dettami normativi, ai codici di buone prassi e agli standard internazionali (vedi riferimenti bibliografici).
I formaggi ottenuti da latte non pastorizzato costituiscono una realtà produttiva diversificata e complessa, prodotti da un ampio panorama di aziende che vanno dai mini caseifici annessi agli allevamenti di produzione del latte, ai produttori di formaggi artigianali, ai consorzi di produzione DOP fino a considerare la grande industria di caseificazione.
Innumerevoli combinazioni specifiche di ingredienti e processi di caseificazione sono utilizzate dai produttori per ottenere un'ampia varietà di formaggi con le caratteristiche desiderate che soddisfano le aspettative dei consumatori.
Il latte non pastorizzato e i formaggi derivati sono stati associati a infezioni da STEC di origine alimentare nell'uomo in diversi Paesi. Il consumo di questi prodotti è associato a un rischio più alto di malattia rispetto al consumo di latte pastorizzato o di formaggi a base di latte sottoposto a trattamento termico.
Diversi studi hanno dimostrato che, senza l'osservanza di adeguate misure di disinfezione e buone pratiche igieniche della mammella, durante la mungitura il materiale fecale può contaminare i capezzoli e le mammelle e aumentare il rischio di contaminazione microbica del latte, anche da ceppi STEC. Quando il latte contaminato da STEC viene utilizzato per produrre formaggi senza trattamenti in grado di eliminare la presenza di patogeni, i ceppi STEC possono non solo sopravvivere ma anche moltiplicarsi nei formaggi derivati.
I formaggi a latte non pastorizzato sono ottenuti grazie all’effetto combinato di agenti coagulanti idonei (caglio) e della fermentazione della cagliata da parte dei batteri lattici, presenti naturalmente o aggiunti come starter. La separazione della cagliata si traduce in una concentrazione di proteine e grasso del latte. I trattamenti tecnologici inducono una specifica selezione del microbiota (cioè comunità microbica complessiva) del latte e della cagliata e le attività biochimiche ed enzimatiche che ne derivano si diversificano di conseguenza nel corso della lavorazione e stagionatura del formaggio.
Questa complessità determina le innumerevoli tipologie di formaggi, ad esempio: prodotto fresco, erborinato, a coagulo acido o a pasta filata, semimorbido, semiduro, duro o extra duro, che può essere cotto, pressato, stagionato e rivestito durante o alla fine della stagionatura. Le diverse fasi di lavorazione applicate e il latte proveniente da specie diverse (ad esempio bovina, bufala, capra, pecora) possono influenzare il comportamento dei ceppi STEC In termini di sopravvivenza, crescita o inattivazione.
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INDICE
PREMESSA
1. Introduzione
2. Scopo e campo di applicazione
3. Principi di Sicurezza Alimentare per il controllo degli STEC
PARTE 1
4. Le misure di controllo di STEC nella produzione primaria
5. Le misure di controllo di STEC nella trasformazione
6. Le misure di controllo di STEC nella distribuzione
7. Validazione, implementazione e verifica delle misure di controllo; riesame del sistema di autocontrollo
PARTE 2
8. Attività di controllo ufficiale lungo la filiera alimentare
APPENDICE
A. Principi di Sicurezza Alimentare
B. Esiti Challenge test su alcuni formaggi italiani
C. Criteri analitici per la ricerca di STEC
D. Termini e definizioni
E. Riferimenti normativi e bibliografici, sitografici
[...]
Fonte: Ministero della Salute
Collegati
Guida applicazione sistema HACCP
Codex Alimentarius” CAC/RCP 1-1996 Rev 4-2003
Linea guida manuali di corretta prassi operativa HACCP
Decreto Legislativo 6 novembre 2007 n. 193
Regolamento Europeo 852/2004
Regolamento Europeo 853/2004
Regolamento Europeo 854/2004
Regolamento Europeo 882/2004
Regolamento (UE) 178/2002
Circolare n°1/98 del Ministero della Sanità
Circolare n°11/98 del Ministero della Sanità
Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 155
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