Canapa industriale: la pronuncia Cassazione 30 Maggio 2019
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INFORMAZIONE PROVVISORIA n. 15 del 30 maggio 2019
Update 12.07.2019
Motivazioni Sentenza 30 Maggio. Depositate le motivazioni della Sentenza della cassazione (sezione unite) del 30 Maggio 2019 sulla cannabis light.
La Cassazione chiarisce che vendere cannabis è sempre reato, anche se «light» e la percentuale di principio «drogante» è al di sotto dello 0,6%. Le resine, olio e infiorescenze sono proibite anche se il contenuto di thc è sotto lo 0,6%, Consentiti solo cosmetici, prodotti alimentari o altri derivati. E' così chiarito l'atteso concetto espresso nella Sentenza su "salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante".
La coltivazione è consentita senza necessità di autorizzazione ma possono essere ottenuti esclusivamente prodotti tassativamente elencati dalla legge 242 del 2016: possono ricavarsi alimenti, fibre e carburanti ma non hashish e marijuana». La scriminante del livello di Thc inferiore allo 0,6% non è da applicare.
La coltivazione della cannabis è consentita senza necessità di autorizzazione ma possono essere ottenuti esclusivamente prodotti tassativamente elencanti dalla legge 242 del 2016: possono ricavarsi alimenti, fibre e carburanti ma non hashish e marijuana». E non vale come scriminante il livello di Thc inferiore allo 0,6%. Così le Sezioni Unite penali fissano, nelle motivazioni della sentenza emessa a fine maggio, i limiti della nuova legge sulla filiera della canapa, stabilendo che resta reato la vendita della cannabis, anche nella sua forma «light», se «in concreto» ha un effetto drogante.
La coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti, quali foglie, inflorescenze, olio e resina, in assenza di alcun valore soglia preventivamente individuato dal legislatore penale rispetto alla percentuale di Thc», rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico sugli stupefacenti, con la sola «eccezione» riguardante la «canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali».
La Cassazione richiama la disciplina europea, dalla quale quest’ultima legge deriva e, precisa, riguarda il solo ambito «agroindustriale». Pertanto la coltivazione «connessa e funzionale alla produzione di sostanza stupefacenti, rientra certamente tra le condotte che gli Stati membri sono chiamati a reprimere». Del resto, la legge del 2016 fa espresso riferimento alla finalità della coltivazione, che deve essere funzionale «esclusivamente» alla produzione di fibre e alla realizzazione di usi industriali «diversi» da quelli relativi alla produzione di sostanze stupefacenti. E', dunque, «tassativo» l’elenco dei prodotti che è possibile ottenere, che va dagli alimenti ai materiali per la bioedilizia, ma non include foglie, infiorenscenze, olio o resina ad uso ricreativo. Una precisazione resa necessaria da una precedente interpretazione «allargata» della stessa Cassazione, che ha poi richiesto l’intervento delle Sezioni Unite.
Non è possibile invocare la scriminante, prevista sempre dalla legge del 2016, del livello di principio attivo «Thc» sotto lo 0,6%, che vale «esclusivamente per il coltivatore», per salvaguardare quei casi in cui la maturazione del prodotto faccia innalzare i livelli di Thc. Tanto più che la tabella allegata al testo unico sugli stupefacenti «richiama i derivati della cannabis, senza fare alcun riferimento alle concentrazione di Thc presente nel prodotto».
Nelle motivazioni si legge che quello che occorre verificare non è la percentuale di principio attivo, ma l’idoneità «in concreto» a produrre un «effetto drogante». In pratica si applica la legge sulle droghe in caso di vendita al pubblico di prodotti derivanti alla cannabis light, anche se l’olio, le inflorescenze e la resina presentano un Thc sotto lo 0,6%.
Update 30 Maggio 2019
Questione controversa:
Se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 242, e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L, rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa.
Soluzione adottata:
La commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante.
Riferimenti normativi:
Legge 2 dicembre 2016, n. 242, artt. 1, 2, 3, 4;
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73.
Collegati
D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309
Direttiva 2002/53/CE
Canapa: Quadro normativo
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