Il disastro di Seveso: 10 luglio 1976
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Il disastro di Seveso: 10 luglio 1976
Seveso 1976: storia del disastro dell'Icmesa
10 luglio 1976, sabato. A Seveso c'era il sole.
Era una domenica pomeriggio. L´11 luglio 1976. Il sindaco di Seveso, Francesco Rocca, ricevette la visita di due tecnici dell´ICMESA.
I due tecnici gli riferirono di un incidente successo il 10 luglio al'interno della fabbrica.
Ricorda Rocca:
La descrizione fu breve, più che altro tecnica, di ciò che era avvenuto. Per la prima volta sentii parlare di "triclorofenolo", il tcf. "E´ un prodotto chimico intermedio di base" mi spiegò subito il dr. Paoletti. "Lo può trovare anche dal droghiere, serve anche per i diserbanti. E proprio il reattore che lo produce è scoppiato. Non si sa bene perché. Ieri mattina alle sei è cessato il turno e come ogni sabato hanno lasciato raffreddare il reattore. Domani la produzione di tcf sarebbe ripresa regolarmente, se non fosse avvenuta questa reazione incontrollata all´interno, che lentamente ha fatto alzare la temperatura e la pressione, finché poco dopo mezzogiorno è avvenuto lo scoppio".
Il 12 luglio 1976 la direzione della fabbrica scrisse all´ufficiale sanitario supplente dottor Uberti, che sostituiva il titolare, professor Ghetti, in ferie:
Facendo riferimento alle precedenti informazioni e colloqui e alla vostra visita odierna, vi confermiamo quanto segue:
Sabato 10 luglio 76 alle ore 12.40 ca. si è verificato all´interno del nostro Stabilimento un incidente.
Vi precisiamo che la fabbrica era ferma per la normale giornata di sosta del sabato con la presenza soltanto di personale di manutenzione e lavori vari, che non interessavano il reparto in questione.
Le cause dell´incidente sono tuttora all´esame e al vaglio. Per ora possiamo supporre che la dinamica dei fatti sia avvenuta per una inspiegabile reazione chimica esotermica in un reattore lasciato in una fase di raffreddamento. Nel reattore si trovavano le materie seguenti: tetraclorobenzolo, etilenglicole e soda caustica che portano alla formazione di triclorofenolo grezzo.
Alla fine del normale orario di lavoro (alle ore 06.00 del sabato) il reattore è stato lasciato fermo senza agitazione e riscaldamento, come di consueto, contenente il prodotto grezzo.
Non sappiamo cosa possa essere successo fino alle ore 12.40, momento in cui si è rotto il disco di sicurezza, lasciando fuoriuscire una nube di vapori che, dopo aver investito le piante all´interno del nostro Stabilimento, si è diretta verso sud-est, spinta dal vento e dissolvendosi nel giro di breve tempo. Non essendo in grado di valutare le sostanze trascinate da questi vapori ed il loro esatto effetto, abbiamo provveduto ad intervenire presso i vicini per impedire il consumo di eventuali prodotti d´orto, sapendo che il prodotto finito viene anche impiegato in sostanze erbicide. Per il momento abbiamo sospeso questa lavorazione, concentrando le nostre ricerche nella spiegazione di quanto accaduto, per evitare casi analoghi nel futuro.
Il direttore tecnico della Givaudan, dottor Sambeth, avuta notizia dell´incidente il successivo 11 luglio alle ore 11.45, ipotizzò la possibilità che si fosse prodotta TCDD.
La certezza scientifica della fuoriuscita di TCDD fu confermata il 14 luglio dalle analisi compiute nel laboratorio della Givaudan a Duebendorf (Zurigo) su materiale prelevato nell´ambiente circostante l´ICMESA. Anche dopo la conferma dei sospetti iniziali, sia i responsabili dell´ICMESA che quelli della Givaudan non dettero alcuna comunicazione della circostanza alle autorità italiane. Solo otto giorni dopo, il 18 luglio, allorché il direttore del Laboratorio chimico provinciale di Milano prospettò ai responsabili della fabbrica di Meda la possibilità della presenza di diossina, fu preannunciato l´arrivo in Italia del direttore del Laboratorio della Givaudan e solamente il 19 luglio 1976, l´ICMESA e la Givaudan si decisero ad ammettere la gravità della situazione, dichiarando ufficialmente la presenza di tetraclorodibenzo-para-diossina tra le altre sostanze altamente tossiche. Invece soltanto il 21 luglio 1976 il direttore del Laboratorio provinciale di igiene e profilassi, Cavallaro, e l´ufficiale sanitario di Seveso, Ghetti, dai Laboratori Givaudan di Duebendorf, confermarono al sindaco di Seveso la presenza di diossina nella nube tossica fuoriuscita il 10 luglio.
Nei "giorni del silenzio", ovvero nei cinque giorni che passarono tra la fuoriuscita della nube ed i primi provvedimenti presi dai sindaci di Seveso e di Meda, si delineò con maggiore precisione la dinamica dell´incidente. I carabinieri di Meda infatti, nell´ambito dell´attività di polizia giudiziaria, confermarono che la nube si era formata a causa della rottura del disco di sicurezza del reattore "A 101" e ciò per effetto di una reazione chimica esotermica. La rottura del disco causò lo scarico violento di particelle di vapori di glicole e di particelle varie, attraverso il tubo di sfiato.
La diffusione di particelle avvenne essenzialmente nei primi istanti e, complessivamente, durante le tre fasi dell´incidente fuoriuscirono circa 400 kg di prodotti di reazione e reattivi. La nube tossica comprendeva tra l´altro triclorofenolo, soda caustica e il 3,5% di diossina, pari quindi a 14 kg. Lo scarico fu trascinato dal vento che lo portò con sé lungo il suo percorso in direzione sud, sud-est. Come rilevato dalle stazioni meteorologiche di Carate Brianza e Como, quando avvenne l´incidente, il vento soffiava alla velocità di circa 5m/s.
Ancora il 18 luglio, quando il sindaco di Meda ordinò a scopo cautelativo la chiusura della fabbrica, la direzione cercò di assicurare le autorità sostenendo la non pericolosità dello svolgimento dell´attività lavorativa.
15 luglio 1976, giovedì. I primi provvedimenti.
Dopo le prime verifiche effettuate il 12 luglio, nel corso delle quali l´ufficiale sanitario supplente non aveva rilevato alcun danno alle persone ma solo la bruciatura delle piante investite dalla nube, il 15 luglio Uberti accertò i numerosi casi di intossicazione e raccomandò alle autorità di prendere urgentemente "immediati provvedimenti per tutelare la salute della popolazione". I sindaci dei due comuni dovevano:
Delimitare la zona con paletti recanti come testo la seguente dicitura: "Comuni di Seveso e Meda. Attenzione. Zona infestata da sostanze tossiche. Divieto toccare o ingerire prodotti ortofrutticoli, evitando contatti con vegetazione, terra ed erbe in genere".
Avvisare, mediante manifesto la popolazione di non toccare assolutamente né ortaggi, né terra, né erba, né animali della zona delimitata e di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti, usando l´acqua come migliore detergente.
In attesa di ulteriori comunicazioni "da parte dei laboratori della ditta ICMESA", su come agire e sulle eventuali norme di profilassi da prescrivere, l´ufficiale sanitario supplente si riservava di ordinare l´evacuazione della zona interessata.
Lo stesso giorno della comunicazione di Uberti, i sindaci di Seveso e Meda dichiararono la zona del quartiere di San Pietro limitrofa all´ICMESA infestata da sostanze tossiche e, recependo quanto prescritto dall´ufficiale sanitario, vietarono alla popolazione di toccare ortaggi, terra, erba e animali della zona delimitata e prescrissero di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti.
17 luglio 1976, sabato. Dopo 'la settimana del silenzio' l'incidente diventa notizia.
Intanto, la notizia della fuoriuscita della nube tossica stava diventando di dominio pubblico. Rocca infatti, il 15 luglio, si era premurato, di informare il cronista de "Il Giorno" Mario Galimberti e il 17 luglio il quotidiano milanese pubblicò un articolo nella pagina della cronaca della provincia. Lo stesso giorno anche sul "Corriere della Sera" apparve una breve nota che riportava i primi dettagli dell´incidente.
Dopo la chiusura dell´ICMESA, avvenuta il 18 luglio, il giorno successivo il sindaco di Meda ordinò la chiusura a scopo cautelativo e provvisorio della ditta C.R.C.-Encol, sita nelle vicinanze della fabbrica chimica, mentre il sindaco di Seveso ordinò alla popolazione di non ingerire prodotti di origine animale provenienti dalla zona inquinata o comunque sospetti di inquinamento.
Il 22 luglio, mentre si aggravava la situazione con il progressivo instaurarsi di fenomeni patologici e l´intensa moria di animali, si iniziò il censimento degli animali della zona inquinata. Fu inoltre deciso di inviare 80 bambini in colonia e fu aperto a Seveso un ambulatorio con personale messo a disposizione dalla Clinica dermatologica dell´Università di Milano. Anche il giorno successivo fu dedicato all´organizzazione delle strutture sanitarie di verifica e controllo della situazione con l´affidamento all´Istituto di fitopatologia del controllo sulla vegetazione per delimitare la zona inquinata e l´affidamento al veterinario regionale degli esami sugli animali morti. Venne altresì assegnato al professor Ghetti il Laboratorio clinico aperto a Seveso e il Laboratorio di igiene e profilassi della provincia fu incaricato di effettuare gli esami necessari per conoscere con sicurezza gli aspetti chimici della contaminazione.
Le prime ammissioni.
Il 23 luglio infine, dopo una riunione a Lugano, sulla base degli ultimi risultati delle analisi sulla contaminazione della zona e visti anche i rapporti relativi ad altri incidenti accaduti in precedenza in Inghilterra e in Germania, i responsabili dell´ICMESA, d´accordo con il dottor Vaterlaus, capo dei Laboratori di ricerca Givaudan, presentarono all´ufficiale sanitario le loro conclusioni e raccomandazioni, dove evidenziarono quanto segue:
La quantità a cui le popolazioni di Meda e Seveso hanno potuto essere esposte appaiono inferiori rispetto ai casi d´intossicazione conosciuti negli altri incidenti sopravvenuti in altri casi.
I sintomi clinici di cui abbiamo conoscenza delle persone ricoverate in ospedale a Niguarda e Mariano Comense corrispondono esattamente piuttosto a degli effetti moderati, paragonati ai sintomi clinici osservati negli altri casi d´incidente citati. […]
Ricordiamo che il programma delle analisi è stato avviato subito dopo l´incidente ed ha indicato, nell´immediata prossimità del luogo ove l´incidente si è verificato, una certa contaminazione. Vista la complessità della procedura di analisi, un discreto lasso di tempo è tuttavia intercorso tra il prelevamento dei campioni e l´ottenimento dei risultati.
L´informazione che abbiamo potuto ottenere sullo sviluppo e il seguito degli incidenti precedenti del genere, indica inoltre che i contatti diretti della sostanza tossica sulla pelle possono comportare pericoli.
Dopo aver esposto le proprie conclusioni, "nell´intenzione di evitare tutte le possibilità di contatto" che potevano ancora esistere nella zona e al fine di "consentire l´esecuzione dei programmi di decontaminazione", l´ICMESA propose di adottare misure precauzionali che prevedevano "l´evacuazione temporanea della zona interessata e delimitata sulla planimetria allegata (punti di misura rossi e blu)" finché ulteriori studi non permettessero "senza alcun ragionevole dubbio la reintegrazione delle abitazioni". I residenti della zona da evacuare dovevano inoltre evitare "di portare con sé tutti gli oggetti personali, specialmente i vestiti", di cui si presumeva "la possibilità di contaminazione".
Sempre secondo l´ICMESA, le autorità avrebbero dovuto, da una parte assicurare un rigoroso controllo affinché nessun prodotto vegetale venisse consumato "sia dagli uomini che dagli animali domestici", dall´altra "mantenere un programma di sorveglianza medica sulle persone ricoverate nel corso di molti mesi" e "adottare un programma di controllo medico della popolazione" che avrebbe potuto entrare in contatto con la zona di contaminazione, anche se non si era manifestato alcun sintomo visibile.
26 luglio 1976, lunedì. La prima evacuazione. Nasce la 'Zona A'.
Solo venerdì 24 luglio, quattordici giorni dopo la fuoriuscita della nube tossica, la verifica incrociata delle analisi effettuate dalle strutture sanitarie italiane con quelle dei Laboratori Givaudan confermò una presenza notevole di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica. L´area fu estesa, con inizio dalla fabbrica, verso sud per una superficie di circa 15 ettari e per una profondità di circa 750 metri. Inoltre si decise di evacuare la popolazione, di recintare la zona e vietarne l´accesso. Nacque così la Zona "A".
Con le ordinanze numero 48 e numero 6 del 24 luglio, i sindaci di Seveso e di Meda imposero, entro il successivo lunedì 26 luglio, l´evacuazione dalla zona inquinata con conseguente trasferimento delle famiglie interessate per il periodo strettamente necessario per effettuare le operazioni di bonifica. Rocca e Malgrati vietarono altresì di asportare dalle abitazioni utensili di qualsiasi genere e di portare con sé animali da cortile alla cui alimentazione avrebbe provveduto il personale degli uffici veterinari.
Domenica 25 luglio uscì un lungo comunicato dei Comuni di Seveso e Meda:
Cari Cittadini, l´esplosione all´ICMESA ha prodotto e diffuso nell´aria una sostanza pericolosa che si chiama TETRACLORODIBENZODIOXINA. E´ risultata particolarmente colpita la zona compresa tra le vie Certosa e Vignazzola (MEDA) - C. Porta - De Amicis - Fogazzaro - T. Grossi (SEVESO) che deve essere bonificata. Per poterlo fare, senza creare pericoli per la salute della popolazione che vi risiede, è necessario sfollare temporaneamente le case, le fabbriche, i campi. La durata di questo provvedimento, che sarà attuato lunedì 26 c.m., sarà strettamente limitata al periodo necessario per la bonifica. Il Comune, con la collaborazione della Provincia, della Regione e dello Stato, ha organizzato una serie di servizi tra i quali l´ospitalità gratuita in un albergo. I bambini fino ai 14 anni potranno usufruire di un soggiorno vacanza presso l´istituto di CANNOBBIO sul Lago Maggiore; per il trasferimento rimangono valide le disposizioni già date dai rappresentanti del Comune (il ritrovo è fissato a Seveso in Via Adua lunedì mattina alle ore 8). Potrete in ogni momento rivolgerVi in Comune dove funziona anche oggi, domenica 25 LUGLIO un apposito servizio fino alle ore 18. Potete portare con Voi gli indumenti necessari, che dovrete però scegliere fra quelli che non erano esposti all´aria il giorno 10 LUGLIO alle ore 12.40 quando è successo l´incidente e che non siano stati usati successivamente. L´Amministrazione Comunale ha disposto di versare ad ogni capo-famiglia la somma di L. 100.000.= e di L. 50.000.= per ogni familiare a carico. La zona verrà recintata e tenuta sotto controllo dalle autorità sanitarie e nella terra saranno avviate immediatamente le operazioni di bonifica. La sorveglianza per evitare furti sarà svolta dalle forze dell´ordine. Dalla stessa zona non potranno essere portati fuori oggetti di casa, utensili di vario genere ecc. Dovranno anche essere lasciati in zona gli animali da cortile, i cani ecc. all´alimentazione dei quali provvederanno i servizi veterinari pubblici. Ogni abitante di questa zona deve sottoporsi immediatamente a visita sanitaria recandosi presso l´Ambulatorio aperto appositamente presso le Scuole Medie di Via A. De Gasperi a Seveso. Qualora vi allontaniate dalla Vostra casa per viaggi o vacanze siete pregati di passare prima presso l´Ambulatorio per la visita e per avere le indicazioni mediche necessarie. Per qualsiasi esigenza potete rivolgerVi presso l´Ufficio Sanitario istituito presso le Scuole Medie di Via De Gasperi in Seveso oppure presso il Comune che resta a Vostra totale disposizione.
L'evacuazione si estende.
Lunedì 26 luglio, a cura dei due Comuni e con la collaborazione delle forze dell´ordine, furono allontanate 213 persone (176 di Seveso e 37 di Meda) e collocate prevalentemente presso l´albergo "Leonardo da Vinci" di Milano-Bruzzano. Scrisse il "Corriere della Sera":
Duecento persone sono da ieri mattina dietro il filo spinato steso attorno al quartiere San Pietro dai soldati del 3° artiglieria a cavallo. L´autocolonna militare è arrivata davanti al municipio di Seveso alle otto e mezzo di mattina. Guidati dai tecnici del comune i soldati hanno raggiunto quella che sulle carte è segnata come zona A, un´area di 15 ettari che risulta essere quella maggiormente contaminata. Sotto una pioggia battente gli uomini hanno iniziato a stendere i reticolati doppi di filo spinato, piazzato i cavalli di frisia per sbarrare le vie di accesso al quartiere, piantato nel terreno i paletti di recinzione.
Il giorno dopo il Comune di Seveso si trovò costretto, a causa "dell´aggravarsi della situazione", a provvedere all´evacuazione di altre 19 persone, di cui 3 bambini, prontamente inviati presso la colonia medico-psico-pedagogica di Cannobbio. Nel frattempo venne prevista l´evacuazione di altri 114 nuclei familiari, corrispondenti a 398 persone, di cui 86 bambini. I risultati degli ulteriori esami di laboratorio avevano infatti consigliato alle autorità sanitarie regionali di ampliare la Zona "A", la cui profondità fu portata a circa 1600 metri.
Nei giorni successivi le analisi indussero ad un secondo ampliamento della Zona "A", con un aumento della profondità a 2200 metri. Anche questo allargamento comportò la decisione di procedere ad una ulteriore evacuazione. Complessivamente furono allontanate 736 persone (676 di Seveso e 60 di Meda) per un totale di 204 famiglie e la zona evacuata e recintata interessò una superficie di 108 ettari, con uno sviluppo perimetrale di 6 chilometri. Una azienda agricola, 37 imprese artigiane, 10 esercizi commerciali e 3 industrie furono costrette a sospendere l´attività per un totale di 252 addetti.
Il primo bilancio relativo agli animali morti, abbattuti o usati per esperimenti ammontò a 2.953. La moria di animali fu continua e comprese non solo gli animali domestici. Furono trovati morti nei campi anche fagiani, quaglie, lucherini, cardellini, rondini e passeri. Ricorda Angelo C. che abitava nella zona:
"Non ho più visto rondini e quando non si vedono più rondini è brutta, perché è veramente successo qualcosa e quando è venuta fuori la diossina di rondini non se ne sono viste più, sparite tutte".
Un brigadiere della polizia zoofila di Milano affermò che tra gli animali domestici i cani e i gatti erano quelli che facevano la fine più impressionante: o si spegnevano adagio perdendo lentamente le forze, oppure sembravano impazzire. I gatti miagolavano in continuazione, i cani diventavano aggressivi, nervosi, inavvicinabili.
http://www.montagnadilombardia.com/incidente_seveso.html
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I bambini della diossina vivono ancora nascosti. Nonostante siano passati trentanove anni: le 12.40 del 10 luglio 1976, quattrocento chilogrammi di veleni fuoriusciti dalla fabbrica Icmesa, che stava per «Industrie chimiche Meda società azionaria». Meda confinava con Seveso, investito dal vento che soffiava a cinque metri al secondo in direzione sud-sudest. Se ne stanno nascosti, i bambini della diossina, pur essendo irriconoscibili. Se i lineamenti sono stati cancellati dalle piaghe della cloracne e sono stati ricostruiti dalle operazioni di chirurgia estetica, dopo i periodi della scuola durante i quali i piccoli erano «i mostri», il resto dell’esistenza è stato accompagnato dalle voci maligne e dalle becere invidie di provincia. Le famiglie che furono risparmiate dal disastro, con il tempo hanno cominciato a bollare le vittime d’aver fatto i soldi. Pazienza lo strazio e la devastazione psicologica. Sì, intanto hanno avuto i soldi dei risarcimenti... Ma questi si sa, ci dice Massimo Conte, che mai aveva pubblicamente parlato, «di solito arricchiscono chi il denaro già lo ha e mica i poveracci, non devo venirglielo a insegnare io, giusto? Così va il mondo».
Per il disastro dell’Icmesa è stata fatta giustizia parziale, con una transazione per pagare i danni che ha escluso responsabilità legate a successive complicazioni (le estese e vaste conseguenze della diossina sono oggetto di studi). Ma nell’estate 1976 in molti si salvarono anziché finire in galera. Due tecnici della fabbrica avvisarono il sindaco il giorno dopo; si dovette attendere il 18 luglio per sentire i vertici locali della politica ammettere che la situazione era grave; impossibile che le forze dell’ordine, per tacere dei Servizi segreti, del Governo, della stessa Icmesa fossero all’oscuro della tragedia quando esplose. Le prime notizie furono tardive e deviate, mentre l’area «rossa» veniva allargata fino a ingigantirsi (lunedì 26 furono allontanati 213 residenti, l’indomani 114 famiglie, i giorni seguenti altre 736 persone) e fino a inglobare un’azienda agricola, 37 fabbriche artigiane, 10 negozi e 3 industrie. «Ricordo una ventata d’aria calda, caldissima» ci dice Emanuela Conte, «ricordo i dolori sul volto, che aumentavano e ci facevano diventare pazzi».
Nel 1983, sui luoghi ripuliti dell’Icmesa è nato il Bosco delle querce, 45mila piante, gite per scolaresche e oratori feriali, cartelli in italiano e in inglese per ripercorrere i fatti, informare, servire da monito. Nulla e nessuno però spiegano la sofferenza da adulti dei bambini della diossina (il 22 luglio un’ottantina furono spediti in colonia con un inutile tardivo provvedimento) e il tacito giuramento firmato nelle corsie degli ospedali, nelle sale d’attesa, nei frequenti incontri, nelle lunghe telefonate nel corso degli anni. Non si sono mai persi di vista, uno conosce ogni pensiero dell’altro, conosce ogni aggiornamento e allora, ascoltando altri oltre ai quattro della fotografia, veniamo a sapere dei tentativi di suicidio, della bassissima percentuale di matrimoni per le donne e dell’ancor più bassa percentuale di gravidanze, dei casi di abuso di psicofarmaci, di mille segreti taciuti alle famiglie, dei penosi iter per ottenere dalle Asl il pagamento delle operazioni, delle storie d’amore nemmeno cominciate per paura che non durino. Troppo difficile con quelle ansie, con le insonnie croniche. I Conte non hanno voluto farsi fotografare. «Non sono mai uscite nostre immagini» dice Massimo, «e ormai è tardi, non vorremmo apparire per persone che cercano visibilità oppure vogliono ottenere favori, noi vorremmo considerare la diossina una vicenda chiusa». Ma ci si riesce per davvero? Massimo non si è neanche riconosciuto, nella fotografia che vedete in pagina. Pensava fosse qualcun altro. È stata sua mamma a svelare che è lui. Emanuela e Katia Conte lavorano in zona, fanno le operaie, e specie Emanuela riempie le giornate di uscite spesso in solitaria: «E d’altronde chi mi prende?» chiede con tenerezza, «alla mia età non ho speranza... Vede, non so se può immaginare: comunque immagini di avere un volto, un tipo di naso, una forma della bocca... e di colpo tutto scompare, il volto viene fasciato fin quando dopo mesi tolgono le bende e sotto c’è un viso completamente modificato che non vuoi ma devi accettare, e che porterai in giro come una colpa...». A Seveso, ancora trentanove anni dopo, si dice che gli abitanti a ridosso dell’Icmesa non scapparono, esposero i figli all’aperto, sottovalutarono i rischi, insomma quasi se l’andarono a cercare. Di solito a dirlo son quelli che vivevano lontano o quelli che hanno provato invano a intascare qualche lira.
Fonte: Corriere