Sentenza CC n. 22260 del 9 maggio 2017
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Sentenza CC n. 22260 del 9 maggio 2017
La Suprema Corte afferma che è da escludersi che, aldilà dell'ipotesi contemplata dal legislatore, la predisposizione di aree attrezzate per il conferimento di rifiuti astrattamente riconducibili ad un generico concetto di eco piazzola o isola ecologica possa ritenersi sottratta alla disciplina generale sui rifiuti (DM 8 aprile 2008), poiché l'intervento del legislatore ha ormai definitivamente delimitato tale nozione, prevedendo, peraltro, un regime autorizzatorio e gestionale, che consente il conferimento ai centri di raccolta di un'ampia gamma di rifiuti in maniera controllata. In tutti i casi in cui vi sia corrispondenza con il modello dettato dal legislatore dovrà compiersi una valutazione dell'attività in tal modo posta in essere, secondo i principi generali in materia di rifiuti, ivi compreso l'assoggettamento dell'attività ad apposita autorizzazione.
Le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani devono essere conformi alle caratteristiche morfologiche e funzionali individuate ex art. 1 del D.M. 8 aprile 2008.
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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22260 Anno 2017
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: SOCCI ANGELO MATTEO
Data Udienza: 31/03/2016
Ritenuto in fatto
2. Tutti e tre gli imputati propongono ricorso in Cassazione, tramite il difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Il ricorso del Giannotti censura: violazione di legge, degli art. 256, comma 1, d.lgs 152 del 2006, e art. 184, comma 2, lettera B, 195, comma 2, lettera E, 198 comma 2, lettera G, 221, comma 4, 226 d.lgs 152 del 2006, in quanto il regolamento del Comune di Firenze ha stabilito che sono rifiuti speciali assimilabili ai rifiuti solidi urbani gli imballaggi, il legno e gli scarti vegetali; inoltre in materia di rifiuti provenienti da esercizi commerciali, come nel caso di specie, il divieto posto dalla novella del 2008 trovava applicazione soltanto per le superfici di vendita superiori a 500 mq - come lo stesso Tribunale riconosce, senza trarne le conseguenze giuridiche - Violazione dell'art. 2 del cod. pen., in quanto le proposizioni di diritto della sentenza sono errate: la norma dell'art. 195, comma 2, lettera D, del testo vigente all'epoca dei fatti - 2 agosto 2010- deve essere letta insieme alle altre disposizioni in materia di rifiuti.
L'art. 198, comma 2 lettera G, attribuisce ai comuni "l'assimilazione per quantità e qualità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani". Il comune di Firenze nei regolamenti ha stabilito che sono rifiuti speciali assimilabili ai rifiuti solidi urbani "i residui derivanti da attività industriali, artigianali, commerciali e di servizi", deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1984. Tale delibera prevede inoltre l'assimilazione agli urbani anche degli imballaggi in genere.
La direttiva 2008/98/CE fa significativo riferimento ai rifiuti simili a quelli domestici (disciplina comune per riutilizzo e riciclaggio).
Il testo novellato dell'art. 195, comma 2, non sembra introdurre una norma immediatamente precettiva.
In materia di rifiuti provenienti da centri commerciali il divieto posto dalla novella del 2008 trova applicazione per le sole superfici superiori ai 500 mq. Nessuna prova è emersa sulla sussistenza di esercizi commerciali di tali superfici, nel centro in oggetto: "Nel processo, a tale proposito non è emerso alcun elemento di prova sulla circostanza che gli esercizi all'ingrosso operanti nel mercato avessero superficie superiore a 500 mq, di talché il Tribunale ha applicato l'astratto principio ... in totale mancanza di prova sull'esistenza del presupposto di fatto che ne avrebbe consentito l'applicazione. In conclusione Quadrifoglio aveva operato in perfetta legittimità, in applicazione doverosa del regolamento comunale sopra detto e nel rispetto della normativa in effetti vigente in materia".
La piattaforma ecologica non necessiterebbe di autorizzazione, secondo quanto affermato dalla sentenza della Cassazione 2012 n. 1690 e 2011 n. 7950.
Del resto la stessa sentenza impugnata ha riconosciuto il metodo utilizzato efficace a salvaguardia dell'ambiente (pag. 6 della sentenza).
Quanto agli imballaggi l'art. 226 del d.lgs 152 del 2006 vieta di immettere gli imballaggi terziari nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, ma la disposizione fa salvo quanto previsto dall'art. 221 comma
Proprio l'art. 195, comma 2 lettera E, nel testo novellato nel 2008, regola il regime tariffario degli imballaggi, non conferiti al servizio di gestione dei rifiuti urbani, si deduce perciò a contrario, che è possibile uno smaltimento al servizio pubblico urbano.
La parziale abrogazione dell'art. 195, comma 2, lettera C, disposta dall'art. 14, comma 46, della legge n. 214 del 2011, essendo norma extrapenale che concorre alla formazione del precetto rileva ai sensi dell'art. 2, del cod. pen., come norma più favorevole.
2. 2. Manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto quantomeno per la mancanza dell'elemento soggettivo, attesa la sua buona fede, in relazione agli stessi provvedimenti del comune di Firenze.
Infatti il dirigente comunale Pezzoli Ivo, sentito al dibattimento, aveva dichiarato che il comune di Firenze aveva scritto alla Quadrifoglio s.p.a. confermando la natura di rifiuti assimilati agli urbani, dei residui delle attività mercatale raccolti dalla Quadrifoglio s. p. a.; questo era stato valido fino all'intervento dell'Arpat, che ha espresso parere diverso.
Inoltre sono stati ignorati i pareri risalenti al 2008, che avevano ritenuto lecita l'attività, dopo la riforma del citato art. 195.
3. Il ricorso del Nutini censura la nullità del capo di imputazione: il capo di imputazione contro il ricorrente deve ritenersi generico e non specifico sia perché non è dato sapere se è contestata la lettera A o la lettera B del comma 1, dell'art. 256, e sia per assenza di contestazione al Nutini di un'attività prevista dall'art. 256 (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento ed intermediazione).
3. 1. Vizio di motivazione: la sentenza impugnata affronta solo la questione dell'assimilabilità dei rifiuti. La sentenza è priva di motivazione quanto alla condotta del Nutini.
4. Il ricorso del Bani censura: violazione dell'art. 256, comma 1, d.lgs 152 del 2006, e degli art. 184, comma 2, lettera B, 195, comma 2, lettera E, 198 comma 2, lettera G, 221, comma 4 e 226 del d.lgs. n. 152 del 2006. Con argomentazioni analoghe a quelle avanzate dal ricorrente Giannotti Livio (2. 1.) la violazione dell'art. 2 del cod. pen.
4. 1. Manifesta illogicità della motivazione risultante da atti del processo (produzioni documentali e trascrizioni udienza del giorno 28 giugno 2012) e violazione dell'art. 5, del cod. pen.
Mancala prova dell'elemento soggettivo del reato; infatti l'accordo tra Quadrifoglio e Mercafir che poi si è rivolta alla CTF, per il servizio raccolta dei rifiuti all'interno dell'area del mercato - era diretta conseguenza di iniziative assunte di concerto con l'autorità comunale. Ivo Pizzoli, sentito in dibattimento, ha dichiarato che il Comune aveva comunicato per iscritto che i rifiuti trattati al mercato erano assimilabili agli urbani. Inoltre sono stati ignorati i pareri risalenti al 2008, che dopo la riforma del citato art. 195, avevano ritenuto l'attività lecita.
Considerato in diritto
Un primo orientamento giurisprudenziale espresso da Cassazione, sez. 3, n. 7950 del 12/01/2011 - dep. 01/03/2011, Rocchigiani, Rv. 249384, riteneva che: "In tema di gestione dei rifiuti, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 4 del 2008 e del D.M. "ambiente" in data 8 aprile 2008, come modificato dal D.M. "ambiente" del 13 maggio 2009, le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani non necessitano più della autorizzazione regionale o provinciale, non venendo ivi svolta alcuna attività di stoccaggio".
In senso diverso la sentenza Sez. 3, n. 1690 del 11/12/2012 - dep. 14/01/2013, Pellegrino, Rv. 254413: "In tema di gestione di rifiuti non autorizzata, i centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, o "ecopiazzole", necessitano, pur dopo l'introduzione della apposita disciplina di cui all'art. 183 lett. mm ) del D.Lgs. n. 152 del 2006, del rilascio di previa autorizzazione regionale laddove il centro non risponda ai requisiti dei decreti ministeriali di riferimento o le attività in esso svolte esulino dalle funzioni proprie del centro. (Nella specie è stata ritenuta l'integrazione, da parte del dirigente dell'ufficio tecnico comunale, del reato di cui all'art. 256, comma primo, lett. a) e b) del d.lgs n. 152 del 2006 a fronte del profondo degrado del centro, di fatto assoggettato a deposito incontrollato ed indiscriminato di rifiuti di vario tipo sparsi su tutta l'area)".
Va tuttavia osservato che la nozione di centro di raccolta è nozione non di tipo naturalistico, ma normativamente fissata, in quanto l'art. 1 del D.M. 8 aprile 2008, come modificato, individua i centri di raccolta comunali o intercomunali come "costituiti da aree presidiate e allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché degli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti delle utenze domestiche".
Tanto premesso, rileva la Corte che la pur legittima applicabilità alle cosiddette eco piazzole attivate dai singoli Comuni nell'ambito del loro territorio della disciplina prevista per i centri di raccolta - ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte, una volta abbandonata la tesi precedente, secondo la quale esse andavano assimilate ai centri di stoccaggio, e come tali assoggettati alla relativa disciplina anche autorizzatoria sulla base della vigente legislazione (vedi Sez. 3, n. 34665 del 27/06/2005 - dep. 28/09/2005, Righetti, Rv. 23217801: "L'attività di gestione dei rifiuti operata dal Comune nelle cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, ove i rifiuti vengono conferiti dai cittadini in modo differenziato, configura un deposito preliminare in vista dello smaltimento o una messa in riserva in vista del recupero, con la conseguente necessità della preventiva autorizzazione, la cui mancanza configura il reato di cui all'art. 51, comma primo, D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22"), in ragione proprio della qualificazione normativa attribuita al centro di raccolta - Cass. n. 7950/2011, citata - deve, tuttavia, intendersi subordinata alla presentazione da parte delle aree in questione delle caratteristiche e funzionali proprie dei centri di raccolta, come normativamente individuati.
Deve conseguentemente escludersi che, al di fuori dell'ipotesi contemplata dal legislatore, la predisposizione di aree attrezzate per il conferimento di rifiuti astrattamente riconducibili ad un generico concetto di eco piazzola o isola ecologica possa ritenersi sottratta alla disciplina generale sui rifiuti, poiché l'intervento del legislatore ha ormai definitivamente delimitato tale nozione, prevedendo, peraltro, un regime autorizzatorio e gestionale, che consente il conferimento ai centri di raccolta di un'ampia gamma di rifiuti in maniera controllata. In tutti i casi in cui vi sia corrispondenza con i modello dettato dal legislatore dovrà compiersi una valutazione dell'attività in tal modo posta in essere, secondo i principi generali in materia di rifiuti, ivi compreso l'assoggettamento dell'attività ad apposita autorizzazione (Vedi la citata Sez. 3, n. 1690 del 11/12/2012 - dep. 14/01/2013, Pellegrino, Rv. 25441301).
Questa analisi non risulta adeguatamente effettuata nella decisione impugnata.
5. 1. Nel nostro caso poi si dovrebbe anche analizzare la sussistenza o no della buona fede in relazione agli atti amministrativi che comunque ritenevano lecita l'attività.
6. Il reato contestato agli imputati risulta pertanto prescritto. Il reato è stato accertato il 2 agosto 2010, e il termine massimo di prescrizione è di 5 anni (art. 157 cod. pen.), calcolando le sospensioni dal 22 marzo al 28 giugno 2012 per astensione difensori, e dell'udienza del 21 febbraio 2013 per impedimento difensori, per soli 42 giorni - infatti l'udienza viene rinviata d'ufficio, con provvedimento successivo "per impedimento del giudice" al 27/06/2013 - il reato risulta prescritto al 10 dicembre 2015, o al massimo al 28 dicembre 2015 se si considerasse il periodo di 60 giorni (massimo) per il rinvio dell'udienza suddetta.
7. Non sussistono inoltre ipotesi evidenti di assoluzione ex art. 129 cod. proc. pen.
In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
La sentenza deve quindi annullarsi senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
P.Q.M.
Così deciso il 31/03/2016
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