Sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II bis n. 11452 del 20 novembre 2017
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Sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II bis n. 11452 del 20 novembre 2017
Annullamento del Decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 272 del 13 novembre 2014.
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Sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II bis n. 11452 del 20 novembre 2017
sul ricorso numero di registro generale 2326 del 2017, proposto da:
Isab S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Capria, Elisabetta Gardini, Edward Ruggeri, Antonio Lirosi, con domicilio eletto presso lo studio legale Lirosi in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen. dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Siciliana, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Libero Consorzio Comunale di Siracusa, Comune di Priolo Gargallo, Comune di Melilli, Comune di Siracusa non costituiti in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 2350 del 2017, proposto da:
Isab S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonella Capria, Elisabetta Gardini, Edward Ruggeri, Antonio Lirosi, con domicilio eletto presso lo studio legale Lirosi in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Regione Siciliana, Ispra - Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Gen. dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Libero Consorzio Comunale di Siracusa, Comune di Priolo Gargallo, Comune di Melilli, Comune di Siracusa non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 2326 del 2017:
- della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali, prot. n. 30874 del 21 dicembre 2016, con oggetto “Trasmissione parere istruttorio conclusivo della domanda di AIA presentata da Isab Energy s.r.l. Impianto IGCC di Priolo Gargallo – Relazione di riferimento ex art. 5, comma 1, lett. v-bis del D.Lgs. n. 152/06 e s.m.i.- ID 30/1001”, notificata alla Società in pari data;
- della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Commissione Istruttoria per l'Autorizzazione Integrata Ambientale, prot. N. 1726/CIPPC del 4 novembre 2016, con oggetto “Trasmissione parere istruttorio conclusivo della domanda di AIA da ISAB Energy Services S.r.l. –Impianto IGCC Priolo Gargallo (SR) – Relazione di riferimento ex art. 5, comma 1, lett. v-bis del D. Lgs. 152/2006 e s.m.i. ID 30/1001”, ivi incluso l'allegato parere istruttorio conclusivo;
- di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
nonché per l'annullamento
- del Decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 272 del 13 novembre 2014, con oggetto “Decreto recante modalità per la redazione della relazione di riferimento, di cui all'art. 5, comma 1, lettera v-bis), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare il 13 novembre 2014 (“D.M. 272/2014”);
- di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
Quanto al ricorso n. 2350 del 2017:
- della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali, prot. n. 30878 del 21 dicembre 2016, con oggetto “Trasmissione parere istruttorio conclusivo della domanda di AIA presentata da Isab s.r.l. Complesso Raffineria impianti Nord e Sud – Relazione di riferimento ex art. 5, comma 1, lett. v-bis del D. Lgs. n. 152/06 e s.m.i.- ID 85-86/1002”, notificata alla Società in pari data;
- della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Commissione Istruttoria per l'Autorizzazione Integrata Ambientale, prot. N. 1723/CIPPC del 4 novembre 2016, con oggetto “Trasmissione parere istruttorio conclusivo della domanda di AIA da ISAB S.r.l. – Raffineria ISAB Impianti Nord e Sud Priolo Gargallo (SR) – Relazione di riferimento ex art. 5, comma 1, lett. v-bis del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. ID 85-86/1002”, ivi incluso l'allegato parere istruttorio conclusivo;
- di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
nonché per l'annullamento
- del Decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 272 del 13 novembre 2014, con oggetto “Decreto recante modalità per la redazione della relazione di riferimento, di cui all'art. 5, comma 1, lettera v bis), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare il 13 novembre 2014 (“D.M. 272/2014”);
- di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, della Regione Siciliana e di Ispra - Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2017 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Per l’esercizio della raffineria è stata rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale numero 580 del 31 ottobre 2011, mentre l’impianto di gassificazione è stato autorizzato con decreto numero 359 del 31 maggio 2010.
Il ministero dell’Ambiente, con nota del 21 dicembre 2016, ha trasmesso alla società interessata il parere istruttorio conclusivo della domanda di autorizzazione integrata ambientale relativa all’impianto di gassificazione a ciclo combinato, invitando la società a presentare, entro 12 mesi dalla notifica del parere istruttorio, un aggiornamento della relazione di riferimento completa dei requisiti minimi di cui all’allegato 2 al decreto ministeriale numero 272 del 2014.
Il ministero dell’Ambiente, con altra nota del 21 dicembre 2016, ha trasmesso alla società interessata il parere istruttorio conclusivo della domanda di autorizzazione integrata ambientale presentata in relazione al complesso di impianti di raffineria nord e sud, invitando la società a presentare, entro 12 mesi dalla notifica del parere istruttorio, un aggiornamento della relazione di riferimento completa dei requisiti minimi di cui all’allegato 2 al decreto ministeriale numero 272 del 2014.
Con ricorso (NRG 2326/2017) notificato il 20 febbraio 2017 e depositato il 13 marzo 2017, la ricorrente chiede l’annullamento delle note del ministero dell’Ambiente del 21 dicembre 2016 e del 4 novembre 2016 con cui è stato trasmesso il parere istruttorio conclusivo sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale presentata dalla ricorrente per l’impianto di gassificazione a ciclo combinato sito in Priolo Gargallo.
Con successivo ricorso (NRG 2350/2017) notificato il 20 febbraio 2017 e depositato il 13 marzo 2017, la ricorrente chiede l’annullamento delle note del ministero dell’Ambiente del 21 dicembre 2016 e del 4 novembre 2016 con cui è stato trasmesso il parere istruttorio conclusivo sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale presentata dalla ricorrente per il predetto impianto di raffineria, sito in Priolo Gargallo.
I motivi di impugnazione dedotti con i suddetti ricorsi sono identici.
La ricorrente contesta la legittimità delle prescrizioni escludendo che l’attuale assetto produttivo e gestionale del sito consenta l’identificazione di sostanze pericolose pertinenti, ai sensi del decreto ministeriale 272 del 2014, escludendo, di conseguenza, anche la necessità di effettuare ulteriori caratterizzazioni del sito.
Ciò deriverebbe dall’implementazione di misure gestionali atte a prevenire le contaminazioni delle matrici ambientali.
La ricorrente sostiene di aver fornito tutte le informazioni necessarie a caratterizzare dal punto di vista ambientale il sito, informazioni già ben conosciute dal Ministero, anche nella sua qualità di ente competente per i procedimenti di bonifica e di messa in sicurezza già in corso.
Il Ministero avrebbe omesso di considerare le misure gestionali messe in atto dalla ricorrente per prevenire le possibili contaminazioni dell’ambiente, ignorando anche le informazioni sulle caratterizzazioni già effettuate; tutto ciò in assenza di alcun elemento che consenta di comprendere la motivazione dei provvedimenti impugnati.
Inoltre, considerato che i provvedimenti impugnati applicano il decreto ministeriale numero 272 del 2014, la ricorrente deduce l’illegittimità anche del decreto ministeriale. Esso sarebbe affetto da illegittimità derivata in quanto decreto attuativo di una previsione normativa, l’articolo 29 sexies, comma 9 sexies del decreto legislativo numero 152 del 2006, introdotto dal decreto legislativo numero 46 del 2014, che sarebbe contraria alla Costituzione sotto una serie di profili, principalmente per eccesso di delega.
D’altra parte il decreto ministeriale 172 del 2014 sarebbe affetto anche da vizi propri.
Il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, l’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale e la Regione Siciliana si costituiscono per resistere ai ricorsi.
Alla camera di consiglio del 3 maggio 2017 parte ricorrente rinuncia all’istanza cautelare per entrambi i ricorsi e le cause sono rinviate all’udienza per la trattazione di merito.
All’udienza pubblica del 3 novembre 2017 entrambi i ricorsi sono trattati e posti in decisione.
DIRITTO
Nel merito, si deve premettere che, essendo i motivi di impugnazione identici per i due ricorsi, la decisione è strutturalmente unitaria.
La controversia concerne l’obbligo di redazione della relazione di riferimento, imposto alla ricorrente con le note ministeriali impugnate, riferite ai singoli impianti gestiti.
L’istituto giuridico della relazione di riferimento è disciplinato dal codice dell’ambiente, essendo stato introdotto dal decreto legislativo 46 del 2014 che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva europea 2010/75, denominata direttiva IED, riferita alle emissioni industriali e alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.
La direttiva europea, al 24º considerando, configura la relazione di riferimento come uno strumento pratico atto a consentire un raffronto in termini quantitativi tra lo stato di un sito su cui insiste un’installazione e lo stato dello stesso al momento della cessazione definitiva delle attività, al fine di accertare se si è verificato un aumento significativo dell’inquinamento del suolo o delle acque sotterranee; pertanto, la relazione di riferimento dovrebbe contenere informazioni che si avvalgono dei dati esistenti sulle misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee; al 25º considerando la direttiva collega l’obbligo di ripristino del sito allo stato descritto nella relazione di riferimento al principio “chi inquina paga”.
In applicazione dei suddetti principi, la direttiva europea definisce all’articolo 22, comma 2, la relazione di riferimento come il documento contenente le informazioni sullo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti.
In sostanza, nell’ottica della direttiva europea, la relazione di riferimento dovrebbe consentire un raffronto tra lo stato di contaminazione iniziale del sito e quello risultante al momento della cessazione definitiva dell’attività industriale, al fine dell’eventuale adozione di misure ripristinatorie nel caso di peggioramento della contaminazione.
Per le installazioni già operative al momento della introduzione del nuovo strumento di controllo dell’inquinamento, costituito dalla relazione di riferimento, l’art. 22 della direttiva chiarisce che, sempre che si tratti di attività che comporta l’utilizzo, la produzione o lo scarico di determinate sostanze pericolose, è richiesta una relazione di riferimento prima che l’autorizzazione rilasciata per l’installazione sia aggiornata per la prima volta (dopo il 7 gennaio 2013); essa fungerà da base per effettuare un raffronto con lo stato di contaminazione al momento della cessazione definitiva delle attività.
Infatti, recita l’articolo 22, comma 3, della direttiva, al momento della cessazione definitiva delle attività, il gestore dovrà valutare lo stato di contaminazione da parte di sostanze pericolose pertinenti; se l’installazione ha provocato un inquinamento significativo del suolo e delle acque sotterranee con sostanze pericolose pertinenti rispetto allo stato constatato nella relazione di riferimento, il gestore dovrà adottare le misure necessarie per rimediare a tale inquinamento, in modo da riportare il sito a tale stato.
La relazione di riferimento è stata introdotta nell’ordinamento italiano in esito al recepimento della direttiva europea IED, disposto mediante la legge di delegazione europea 2013, legge numero 96 del 2013, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea.
La legge numero 96 del 2013, nel delegare il Governo ad adottare i decreti legislativi per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati, tra le quali la direttiva 24/11/2010, n. 2010/75/UE, ha fissato i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega, stabilendo anche il termine per l’esercizio della stessa.
Il Governo ha esercitato la delega legislativa adottando il decreto legislativo numero 46 del 2014, per il recepimento, in particolare, della citata direttiva 2010/75 relativa alle emissioni industriali.
Utilizzando la tecnica della novella legislativa, le norme di attuazione della direttiva sono state introdotte nel codice dell’ambiente, decreto legislativo numero 152 del 2006, corpus normativo contenente il complesso delle disposizioni in materia ambientale.
Il decreto legislativo 03/04/2006, n. 152, per quanto di interesse, è stato modificato introducendo nell’articolo 5, al comma 1, la lettera v-bis) recante la definizione della relazione di riferimento nei termini seguenti: si tratta di informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività. Tali informazioni riguardano almeno: l'uso attuale e, se possibile, gli usi passati del sito, nonché, se disponibili, le misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee che ne illustrino lo stato al momento dell'elaborazione della relazione o, in alternativa, relative a nuove misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee, tenendo conto della possibilità di una contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte delle sostanze pericolose usate, prodotte o rilasciate dall'installazione interessata. Le informazioni definite in virtù di altra normativa che soddisfano i requisiti di cui alla presente lettera possono essere incluse o allegate alla relazione di riferimento. Nella redazione della relazione di riferimento si terrà conto delle linee guida eventualmente emanate dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/UE.
Di particolare rilevanza, per la questione controversa, è la novella dell’art. 29-sexies (Autorizzazione integrata ambientale) recata dall'art. 7, comma 5, lett. f), D.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, mediante l’aggiunta, tra gli altri, degli attuali commi 9-quinquies e 9-sexies.
Il comma 9-quinquies dispone che l'autorità competente stabilisce condizioni di autorizzazione volte a garantire che il gestore:
a) quando l'attività comporta l'utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose, tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito dell'installazione, elabori e trasmetta per validazione all'autorità competente la relazione di riferimento di cui all'articolo 5, comma 1, lettera v-bis), prima della messa in servizio della nuova installazione o prima dell'aggiornamento dell'autorizzazione rilasciata per l'installazione esistente;
b) al momento della cessazione definitiva delle attività, valuti lo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti usate, prodotte o rilasciate dall'installazione;
c) qualora dalla valutazione di cui alla lettera b) risulti che l'installazione ha provocato un inquinamento significativo del suolo o delle acque sotterranee con sostanze pericolose pertinenti, rispetto allo stato constatato nella relazione di riferimento di cui alla lettera a), adotti le misure necessarie per rimediare a tale inquinamento in modo da riportare il sito a tale stato, tenendo conto della fattibilità tecnica di dette misure;
d) fatta salva la lettera c), se, tenendo conto dello stato del sito indicato nell'istanza, al momento della cessazione definitiva delle attività la contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito comporta un rischio significativo per la salute umana o per l'ambiente in conseguenza delle attività autorizzate svolte dal gestore anteriormente al primo aggiornamento dell'autorizzazione per l'installazione esistente, esegua gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere o ridurre le sostanze pericolose pertinenti in modo che il sito, tenuto conto dell'uso attuale o dell'uso futuro approvato, cessi di comportare detto rischio;
e) se non è tenuto ad elaborare la relazione di riferimento di cui alla lettera a) al momento della cessazione definitiva delle attività esegua gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere o ridurre le sostanze pericolose pertinenti in modo che il sito, tenuto conto dell'uso attuale o dell'uso futuro approvato del medesimo, non comporti un rischio significativo per la salute umana o per l'ambiente a causa della contaminazione del suolo o delle acque sotterranee in conseguenza delle attività autorizzate, tenendo conto dello stato del sito di ubicazione dell'installazione indicato nell'istanza.
Il successivo comma 9-sexies prevede che con uno o più decreti del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stabilite le modalità per la redazione della relazione di riferimento di cui all'articolo 5, comma 1, lettera v-bis), con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare con riferimento alle attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda.
In attuazione di quanto disposto da quest’ultimo comma è stato emanato il D.M. 13 novembre 2014, n. 272, impugnato dalla ricorrente per vizi propri e illegittimità derivata, in quanto atto presupposto dei provvedimenti impugnati.
I primi motivi di impugnazione (1° gruppo di motivi) sono riferiti alla illegittimità delle note ministeriali recanti le determinazioni sulla relazione di riferimento, per vizi propri.
Con il primo motivo, in particolare, si deduce violazione dell’articolo 5, comma 1, lettera V bis, del decreto legislativo 152 del 2006 nonché dell’articolo 22 della direttiva IED e delle linee guida europee: le note impugnate sarebbero illegittime in quanto rappresenterebbero l’inadeguatezza delle caratterizzazioni già eseguite dalla ricorrente perché non sarebbe dimostrata l’impossibilità pratica del verificarsi di una contaminazione del suolo e delle acque sotterranee; ma le linee guida europee prevederebbero invece che la relazione di riferimento non è richiesta nel caso di installazioni esistenti ove siano state adottate misure atte a impedire in concreto la contaminazione del suolo o delle acque sotterranee; mancherebbero quindi i presupposti per le determinazioni ministeriali, essendo state adottate adeguate misure gestionali, per cui neppure sarebbe necessario presentare la relazione di riferimento; al riguardo la ricorrente pone in evidenza le tecniche di progettazione dei serbatoi, i sistemi di allarme applicati, le tecniche di movimentazione delle sostanze e la pavimentazione dell’area industrializzata, con opportune pendenze e adeguata rete fognaria, oltre a sottolineare la dotazione di un sistema di gestione integrato della salute, sicurezza, ambiente e prevenzione degli incidenti rilevanti.
Con il 2º motivo si deduce violazione della normativa nazionale e comunitaria sotto altro profilo: le note impugnate sarebbero assolutamente carenti di motivazione, non essendo specificato il motivo per cui le attività di caratterizzazione sarebbero necessarie nonostante le misurazioni già disponibili effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee.
Con il 3º motivo si deduce la illegittimità dei provvedimenti impugnati per difetto di istruttoria in quanto il Ministero, dopo aver imposto alla ricorrente il termine di 12 mesi per effettuare le caratterizzazioni, ha richiesto entro lo stesso termine alla Regione siciliana e alla Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque dello stesso Ministero di esprimersi in merito alla pertinenza e alla coerenza delle informazioni fornite dalla ricorrente con la relazione di riferimento, allo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee, al programma di controlli per le acque sotterranee e per il suolo; la contraddittorietà tra la richiesta di pareri alle autorità interpellate e l’imposizione dei nuovi oneri di caratterizzazione dimostrerebbe la carenza di istruttoria da cui sarebbero affetti i provvedimenti impugnati.
Con il 4º motivo si deduce la illegittimità delle note impugnate per lesione del principio di proporzionalità essendo imposte misure inappropriate in quanto eccessive rispetto all’obiettivo da perseguire, pur essendo disponibili informazioni rese dalla società ricorrente nell’ambito della relazione di riferimento relativa alla procedura di bonifica ambientale incardinata presso il Ministero.
Con il 5º motivo si deduce eccesso di potere per sviamento, in quanto il Ministero userebbe la procedura di validazione della relazione di riferimento per imporre alla ricorrente obblighi più gravosi che sarebbero legittimi solo in difetto di informazioni disponibili sul quadro ambientale del sito; in particolare l’imposizione della caratterizzazione sul cosiddetto “top soil” si risolverebbe nella surrettizia integrazione del piano di caratterizzazione già approvato dal Ministero nell’ambito dei progetti di bonifica, andando ben oltre lo scopo istituzionale della relazione di riferimento che consiste nella fotografia efficace dello stato ambientale di un sito, sconfinando nella finalità di ripristino delle matrici ambientali contaminate che concerne, invece, gli interventi di messa in sicurezza e bonifica.
Con il 2º e con il 3º gruppo di motivi, la ricorrente deduce la illegittimità derivata dalle note ministeriali, determinata dalla dedotta illegittimità del decreto ministeriale 272 del 2014, applicato al caso concreto con i provvedimenti impugnati.
Il 2º e il 3º gruppo di motivi devono essere scrutinati con priorità logica rispetto al 1° gruppo, essendo inutile entrare nel merito dei provvedimenti impugnati, concretamente attuativi del decreto ministeriale 272 del 2014, qualora sia accertata la illegittimità del decreto presupposto.
In realtà è oggettivamente impossibile valutare la legittimità delle note ministeriali che ripetono dal decreto 272 del 2014 il contenuto e la sostanza della relazione di riferimento senza preventivamente accertare la legittimità dello stesso decreto ministeriale 272 del 2004.
Con il primo motivo del secondo gruppo si deduce che il decreto ministeriale 272 del 2014 sarebbe illegittimo in via derivata, nella parte in cui, al fine della redazione della relazione di riferimento per le installazioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale, stabilisce specifiche modalità di indagini integrative sui suoli e sulle acque sotterranee, inclusa la nuova caratterizzazione dello strato di terreno più superficiale; in questo, il decreto sarebbe attuativo di una norma primaria costituzionalmente illegittima, l’articolo 29 sexies, comma 9 sexies, del decreto legislativo numero 152 del 2006, norma introdotta dal decreto legislativo numero 46 del 2014; essa sarebbe contraria alla Costituzione principalmente per eccesso di delega in quanto né la legge delega, né la normativa comunitaria prevederebbero la possibilità di introdurre nel sistema giuridico nazionale specifiche modalità di caratterizzazione delle matrici ambientali nell’ambito della relazione di riferimento.
In particolare la legge delega numero 96 del 2013, per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea, legge di delegazione europea 2013, all’articolo 1, comma 1, dispone che il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi per l’attuazione delle direttive, tra cui è compresa la direttiva IED, secondo le procedure, i principi e criteri direttivi di cui agli articoli 31 e 32 della legge numero 234 del 2012.
L’articolo 3 della legge delega detta i principi e criteri direttivi specifici per l’attuazione della direttiva. Ma nessuna previsione della direttiva europea consentirebbe l’introduzione negli ordinamenti nazionali di modalità di redazione della relazione di riferimento di tenore analogo a quelle previste dalla norma nazionale. Ne deriverebbe l’illegittimità degli oneri aggiuntivi, per contrasto con i criteri di semplificazione, accelerazione e razionalizzazione dettati dall’articolo 3 della legge delega numero 96 del 2013.
La questione di legittimità costituzionale sollevata con il primo motivo è manifestamente infondata.
La direttiva europea attuata nell’ordinamento italiano, all’articolo 22, paragrafo 2, prevede l’obbligo di elaborare la relazione di riferimento per il caso di attività comportante l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose, tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito dell’installazione.
La direttiva non entra nel dettaglio delle modalità specifiche di redazione della relazione di riferimento, come è naturale che sia, trattandosi di direttiva e non di regolamento europeo, quindi di una fonte di diritto che non disciplina immediatamente e completamente la materia oggetto di intervento, ma si limita a stabilire gli obiettivi da perseguire con la regolamentazione, lasciando agli Stati membri la determinazione dei mezzi più idonei.
Si deve ritenere, quindi, che la direttiva europea non impedisca allo Stato italiano la regolamentazione di dettaglio della relazione di riferimento, anzi imponga per la sua stessa natura tale attività di regolamentazione.
La stessa legge delega, stabilendo i principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva europea, ha rimesso al Governo la disciplina di dettaglio, nell’ambito della quale deve necessariamente e legittimamente essere compresa la normativa recata dai commi 9 quinquies e 9 sexies dell’articolo 29 sexies del decreto legislativo 152 del 2006.
Ne deriva l’infondatezza del motivo.
Con una 2ª censura si deduce la illegittimità costituzionale dell’articolo 29 sexies, comma 9 sexies, del decreto legislativo numero 152 del 2006 per eccesso di delega, quindi sempre in relazione agli articoli 76 e 77 della Costituzione, ma sotto diverso profilo.
L’articolo 1, comma 1, della legge delega numero 96 del 2013, nel determinare i principi e criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto seguire per l’attuazione delle direttive, rinvia espressamente agli articoli 31 e 32 della legge numero 234 del 2012; a sua volta, l’articolo 32 richiamato, al comma 1, prescrive che gli atti di recepimento di direttive europee non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse ai sensi dell’articolo 14, commi 24 bis, 24 ter e 24 quater della legge numero 246 del 2005; norme tutte che vietano l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, fatte salve circostanze eccezionali, valutate nell’analisi di impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria; le norme sarebbero state adottate al fine di frenare il fenomeno del cosiddetto “gold plating”; invece, ad avviso della ricorrente, la normativa nazionale sarebbe stata adottata in violazione dei suddetti criteri.
Anche la 2ª questione di legittimità costituzionale sollevata è manifestamente infondata.
Preliminarmente, si deve considerare che la direttiva 2010/75, incidendo nella materia ambientale, trova base giuridica negli articoli 192 e 193 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che permettono agli Stati membri di mantenere e adottare misure di protezione più rigorose.
Quindi, seppure l’intervento normativo avesse introdotto livelli di regolazione superiori a quelli minimi imposti a livello europeo, non per questo potrebbe essere ritenuto illegittimo, non essendo pertinenti alla materia ambientale le norme, richiamate dalla ricorrente, vietanti, in linea generale, il cd. “gold plating”.
Nel caso di specie, peraltro, nessuna regolazione superiore ai livelli minimi è stata introdotta dalla norma recata dalla legge delegata che si è limitata a specificare i presupposti e il contenuto della relazione di riferimento, completando la disciplina introdotta solo a livello più generale dalla direttiva europea.
Con una 3ª censura si deduce la illegittimità costituzionale della stessa disposizione per eccesso di delega sotto altro profilo, non essendo stati rispettati i termini per l’esercizio delle deleghe dettati dall’articolo 1, comma 2, della legge numero 96 del 2013, da essa individuati ai sensi dell’articolo 31, comma 1, della legge numero 234 del 2012, senza alcun riferimento al successivo comma 3 del medesimo articolo 31. Pertanto, essendo previsto dall’articolo 31, comma 1, per le direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto, il termine di 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega per l’adozione da parte del Governo di decreti legislativi di riferimento e considerato che la legge delega è entrata in vigore il 4 settembre del 2013, essendo già scaduto il 7 gennaio 2013 il termine per il recepimento della direttiva, il legislatore delegato avrebbe dovuto adottare il decreto legislativo di recepimento entro il 4 dicembre 2013, alla scadenza dei 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea; invece, essendo stato emanato il decreto legislativo numero 46 del 2014 solo il 4 marzo 2014, risulterebbe superata la scadenza per l’esercizio della delega.
Anche la 3ª questione di legittimità costituzionale sollevata è manifestamente infondata.
Per comprendere la questione è necessario riprodurre il contenuto dell’art. 31 della L. 24/12/2012, n. 234, Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, articolo rubricato “Procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea”.
Il comma 1 del suddetto art. 31, in relazione alle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, prescrive che il Governo adotti i decreti legislativi entro determinati termini; nello specifico, per le direttive il cui termine sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, ovvero scada nei tre mesi successivi, come accaduto nel caso concreto, il Governo adotta i decreti legislativi di recepimento entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge.
Al comma 3 lo stesso articolo 31 dispone che nel caso in cui la legge di delegazione europea abbia indicato per gli schemi dei decreti legislativi di recepimento l’obbligatoria acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi.
Il termine per l’esercizio della delega stabilito dall’articolo 1, comma 2, della legge numero 96 del 2013 con riferimento all’articolo 31, comma 1, della legge numero 234 del 2012, seppure testualmente non comprensivo della proroga trimestrale prefigurata dal comma 3 dello stesso articolo 31, non esclude la legittimità di tale proroga, essendo necessario il parere delle commissioni parlamentari, nella specie tempestivamente richiesto mediante trasmissione al Parlamento dello schema di decreto legislativo.
La proroga del termine, per il caso di obbligatoria acquisizione dei pareri delle commissioni parlamentari, è dettata in linea generale dalla legge 234 del 2012 per l’esercizio di tutte le funzioni di delegazione legislativa al Governo; dunque, non vi è ragione per ritenere che il Parlamento, approvando la legge numero 96 del 2013, abbia voluto eccezionalmente e implicitamente fissare un termine improrogabile, mediante una tecnica di rinvio parziale.
L’omesso riferimento al comma 3 dell’articolo 31 deve intendersi in funzione acceleratoria, tenuto conto del ritardo nel recepimento della direttiva, per la quale era stata già avviata una procedura d’infrazione comunitaria.
Quindi, per ragioni logico-sistematiche, non si può ritenere che il legislatore delegante, omettendo di rinviare anche al comma 3 della disposizione richiamata, abbia inteso qualificare come perentorio il termine per l’esercizio della delega, essendo carente qualsiasi indicazione sulla perentorietà del suddetto termine.
Ne deriva la tempestività dell’esercizio della delega legislativa.
Esaurito l’esame del secondo gruppo di censure, con cui sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale manifestamente infondate, si può procedere allo scrutinio del terzo gruppo di motivi.
Con il 3º gruppo di censure la ricorrente deduce la illegittimità del decreto ministeriale 272 del 2014 in via propria.
Il primo motivo di illegittimità dedotta del decreto ministeriale 272 del 2014 per vizi propri riguarda le modalità di adozione dei regolamenti mediante decreti ministeriali, disciplinate dall’articolo 17 della legge numero 400 del 1988; nonostante la natura regolamentare del decreto, non sarebbe stata seguita la procedura di formazione del regolamento prescritta dall’articolo 17 della legge. Infatti il decreto non risulta comunicato al presidente del Consiglio dei ministri prima dell’emanazione, non risulta essere stato sottoposto al parere del Consiglio di Stato, né al visto e alla registrazione della Corte dei conti; inoltre non è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, essendo stata resa nota in Gazzetta l’adozione del decreto con uno scarno comunicato e non è neppure recata la denominazione di regolamento.
Il motivo è fondato.
La natura regolamentare del decreto ministeriale numero 272 del 2014 non può essere negata.
Essa si desume dal contenuto del decreto che lo distingue chiaramente da un atto amministrativo generale.
Come è noto, l’atto amministrativo generale disciplina una singola fattispecie, esaurita la quale vengono meno tutti i suoi effetti.
Ne sono esempi di scuola il bando di un concorso pubblico oppure il disciplinare di una gara di appalto pubblico.
Il regolamento, invece, disciplina una fattispecie astratta, regolando una serie indeterminata di casi concreti, per cui i suoi effetti giuridici sono ripetibili nel tempo.
Quindi, l’atto amministrativo generale è connaturato dalla generalità ma non dall’astrattezza del suo contenuto, rivolgendosi a destinatari non determinabili a priori, ma solo a posteriori, ma una volta per tutte, come, negli esempi richiamati, i candidati che presenteranno domanda di partecipazione al concorso pubblico oppure le imprese che chiederanno di essere ammesse alla gara d’appalto.
Invece un regolamento, oltre alla generalità, è connaturato dall’astrattezza del suo contenuto di regolazione, presentandosi come vera e propria fonte di diritto, secondaria rispetto alla legge, ma che condivide con la legge, appunto, la natura di fonte di diritto in contrapposizione a quella di provvedimento amministrativo propria dell’atto amministrativo generale.
La giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare i principi illustrati.
È sufficiente, al riguardo, richiamare l’orientamento del Consiglio di Stato, Sez. VI, 18-02-2015, n. 823, per cui i caratteri che, sul piano del contenuto sostanziale, valgono a differenziare i regolamenti dagli atti e provvedimenti amministrativi generali vanno individuati in ciò, che quest'ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili. I regolamenti, invece, sono espressione di una potestà normativa attribuita all'Amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano appunto i caratteri della generalità e dell'astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell'applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono.
Applicando al caso concreto i principi anzidetti si deve ritenere che il decreto ministeriale numero 272 del 13 novembre 2014, recando le modalità per la redazione della relazione di riferimento, introduce delle vere e proprie norme giuridiche, individuando i presupposti dell’obbligo di presentazione della relazione di riferimento, all’articolo 3, la tempistica per la presentazione della relazione, all’articolo 4, i contenuti minimi della relazione, all’articolo 5.
Non si può ritenere, dunque, che il decreto ministeriale costituisca un semplice strumento tecnico, essendo palese il contenuto giuridico delle disposizioni in cui è complessivamente articolato.
Neppure si può negare la natura regolamentare del decreto in quanto destinato solo ai titolari di determinate installazioni, con esclusione dei titolari di centrali termiche a gas naturale, perché la delimitazione dei soggetti destinatari dell’intervento giuridico costituisce essa stessa espressione di potestà normativa.
Per le considerazioni esposte, si deve concludere che il decreto ministeriale 272 del 2014 abbia natura regolamentare, nello specifico trattandosi di regolamento di attuazione della norma primaria recata dall’articolo 29 sexies del codice ambientale.
Trattandosi di un regolamento, esso avrebbe dovuto essere adottato in ossequio alla disciplina dettata dall’articolo 17 della legge numero 400 del 1988 “Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
Il suddetto articolo 17, al comma 3 definisce i regolamenti ministeriali, prevedendo che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
Al successivo comma 4, dispone che i regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di «regolamento», sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
Il rispetto della procedura dettata dalla legge 400 del 1988 non riveste un carattere meramente formale, ma costituisce condizione di legittimità del regolamento adottato.
Ciò è stato costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa per cui ai sensi dell'art. 17 della Legge 23 agosto 1988 n. 400, l'esercizio della potestà normativa attribuita all'esecutivo, quando sia necessario e consentito, deve svolgersi con l'osservanza di un particolare modello procedimentale, secondo cui per i regolamenti di competenza ministeriale sono richiesti il parere del Consiglio di Stato, la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, il visto e la pubblicazione nella "Gazzetta Ufficiale"(Cons. Stato, Sez. VI, 18-02-2015, n. 823).
Per stigmatizzare la cogenza del modulo procedimentale necessario per l’esercizio della potestà normativa del potere esecutivo giova richiamare la fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 04-05-2012, n. 9 che ha così statuito:
Nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno efficacemente descritto in termini di ''fuga dal regolamento'' (che si manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni legislative, tramite l'adozione di atti normativi secondari che si autoqualificano in termini non regolamentari) deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, più in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti ''atipici'', di natura non regolamentare, specie laddove la norma che attribuisce il potere normativo nulla disponga in ordine alla possibilità di utilizzare moduli alternativi e diversi rispetto a quello regolamentare tipizzato dall'art. 17 legge n. 400/1988.
Pertanto, accertato che il decreto ministeriale è stato adottato senza udire il parere del Consiglio di Stato, senza essere sottoposto al visto e alla registrazione della Corte dei conti, senza essere integralmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, in accoglimento della censura dedotta, si deve concludere per la illegittimità del decreto ministeriale numero 272 del 2014.
L’accoglimento del motivo assorbe il 2º, il 3º e il 4º motivo di impugnazione del decreto ministeriale, per altri asseriti vizi propri.
Essendo stata accertata la illegittimità del procedimento di formazione del regolamento è inutile entrare nel merito delle singole disposizioni censurate, essendo irrimediabilmente viziato il regolamento nel suo insieme.
Parte ricorrente, quindi, non potrebbe trarre ulteriori vantaggi dall’eventuale accoglimento delle ultime censure dedotte, così come dei motivi raggruppati nel primo gruppo di motivi di impugnazione, alla luce della considerazione che l’accertata illegittimità del decreto ministeriale 272 del 2014 travolge i provvedimenti amministrativi impugnati, concretamente lesivi dell’interesse dedotto in giudizio.
Interesse che viene pienamente ed efficacemente tutelato mediante l’accoglimento del ricorso, per l’accertata illegittimità del decreto ministeriale numero 272 del 13 novembre 2014 e il conseguente annullamento delle note ministeriali impugnate in quanto affette da illegittimità derivata, per aver dato esecuzione concreta a un regolamento illegittimo.
In conclusione, i ricorsi devono essere accolti, con l’annullamento degli atti impugnati, ma le spese processuali devono essere interamente compensate tra le parti costituite, per la novità e la complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Riunisce il ricorso numero di registro generale 2350 del 2017 al ricorso numero di registro generale 2326 del 2017.
Accoglie il ricorso numero di registro generale 2326 del 2017 e, per l’effetto, annulla le note impugnate del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 30874 del 21 dicembre 2016 e prot. n. 1726 del 4 novembre 2016.
Annulla il decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare numero 272 del 13 novembre 2014.
Accoglie il ricorso numero di registro generale 2350 del 2017 e, per l’effetto, annulla le note impugnate del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 30878 del 21 dicembre 2016 e prot. n. 1723 del 4 novembre 2016.
Annulla il decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare numero 272 del 13 novembre 2014.
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