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Sentenza CC n. 1987 del 16 gennaio 2015

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Sentenza CC n  1987 del 16 gennaio 2015

Sentenza CC n. 1987 del 16 gennaio 2015

Il d.m. 5 febbraio 1998 (modificato dall’art. 1 del d.m. 5 aprile 2006, n. 186) si riferisce alla «individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22» ed ha, perciò, una portata limitata alle attività, ai procedimenti e ai metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal decreto stesso: rifiuti liquidi, granulari, fastosi fanghi (art. 1).

L’art. 8 dello stesso decreto ministeriale, intitolato «Campionamenti e analisi», richiama le norme UNI 10802 per il campionamento di rifiuti, agli specifici fini della loro caratterizzazione chimico-fisica (comma 1) e si riferisce a campionamenti e analisi che sono effettuati a cura del titolare dell’impianto ove i rifiuti siano prodotti (comma 4). Si tratta, dunque, di un insieme di disposizioni prive di portata generale, perché dirette allo specifico scopo di disciplinare le analisi effettuate a cura del titolare dell’impianto di produzione di rifiuti, ai fini della loro caratterizzazione chimico-fisica, per le sole tipologie di rifiuti individuate dallo stesso decreto ministeriale.

Penale Sent. Sez. 3 Num. 1987 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA
Data Udienza: 08/10/2014

_______


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è parzialmente fondato.
3.1. - Il primo motivo di doglianza - con cui si rilevano, in relazione al capo A dell'imputazione, l'erronea applicazione dell'art. 8 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998 e l'erronea applicazione della norma CNR IRSA, quaderno 64/1985, nonché la carenza e manifesta illogicità della motivazione relativamente ai campionamenti dei rifiuti - è infondato.
3.1.1. - Come correttamente evidenziato dalla Corte d'appello, il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 (modificato dall'art. 1 del d.m. 5 aprile 2006, n. 186) non ha applicazione diretta nel caso di specie. Esso si riferisce alla «individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22» ed ha, perciò, una portata limitata alle attività, ai procedimenti e ai metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal decreto stesso: rifiuti liquidi, granulari, fastosi e fanghi (art. 1). L'art. 8 dello stesso decreto ministeriale, intitolato «Campionamenti e analisi», richiama le norme UNI 10802 per il campionamento di rifiuti, agli specifici fini della loro caratterizzazione chimico-fisica (comma 1) e si riferisce a campionamenti e analisi che sono effettuati a cura del titolare dell'impianto ove i rifiuti siano prodotti (comma 4). Si tratta, dunque, di un insieme di disposizioni prive di portata generale, perché dirette allo specifico scopo di disciplinare le analisi effettuate a cura del titolare dell'impianto di produzione di rifiuti, ai fini della loro caratterizzazione chimico-fisica, per le sole tipologie di rifiuti individuate dallo stesso decreto ministeriale.
E tale conclusione trova conferma nella stessa sentenza Cass., sez. 3, 27 aprile 2010, n 16386, richiamata dalla difesa. In tale pronuncia si afferma, infatti, che l'uso del metodo UNI 10802 non è obbligatorio e che la scelta sul metodo da utilizzare per il campionamento è questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto (in senso analogo, sez. 3, 30 maggio 2007, n. 24481, Rv. 236890); con la conseguenza che è necessario e sufficiente che il giudice motivi circa le ragioni per le quali viene utilizzato il diverso metodo IRSA CNR anziché il metodo UNI 10802.
3.1.2. - La Corte d'appello ha fornito un'adeguata motivazione in punto di fatto, perché ha rilevato che nel caso di specie i rifiuti oggetto di campionamento erano derivati da demolizioni e, dunque, non potevano rientrare, neanche per tipologia, nell'ambito di applicazione della norma UNI 10802, la quale, nel richiamare la necessità di ottenere un campione rappresentativo del rifiuto tal quale è, si riferisce a rifiuti omogenei, quali sono quelli liquidi, granulari, pastosi, fangosi. E la setacciatura costituisce un passaggio necessario del campionamento, in presenza di macerie, mattoni, terreni assai eterogenei tra loro. Del tutto correttamente la stessa Corte d'appello ha poi evidenziato che, anche a prescindere dalla correttezza del metodo di analisi e campionamento seguito, non si vette comunque in ipotesi di inutilizzabilità patologica; con la conseguenza che, a seguito della scelta degli imputati per il rito abbreviato, l'eventuale inutilizzabilità non potrebbe essere comunque rilevata (ex plurimis, sez. 3, 24 gennaio 2006, n. 6757; sez. 3, 13 maggio 2014, n. 40209).
3.2. - Il secondo motivo di ricorso, anticipato in alcuni passaggi del primo motivo - con cui si lamenta la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d'appello afferma che i rifiuti provenivano tutti dalla Portovesme s.r.l. e avevano sicura destinazione al sito della Tecnoscavi s.r.l. - è invece fondata.
La Corte territoriale non ha, infatti, fornito un'adeguata motivazione al rilievo difensivo secondo cui i rifiuti presenti nel sito della Tecnoscavi s.r.l. non erano solo
• quelli della Portovesme, ma anche altri, come risulterebbe dalla documentazione prodotta e relativa al conferimento dei rifiuti in tale sito da parte di imprese diverse.
In altri termini, la circostanza che i rifiuti provenissero dalla società Portovesme e avessero come sicura destinazione la cava della Tecnoscavi non è sufficiente a dimostrare che i rifiuti che sono stati concretamente oggetto di campionamento siano proprio quelli provenienti dalla prima. La Corte d'appello non ha, infatti, specificato il luogo nel quale i prelievi sono avvenuti.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata quanto al reato di cui al capo A, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari, perché proceda a nuovo giudizio fornendo adeguata motivazione sulla corrispondenza tra i rifiuti oggetto di campionamento e quelli provenienti dalla Portovesme s.r.l.
3.3. - Il terzo motivo di ricorso - riferito alla motivazione circa l'elemento soggettivo - è invece infondato. La sentenza impugnata evidenzia chiari indici di una piena consapevolezza degli imputati circa l'abusiva miscelazione di rifiuti e, più in generale, circa la loro abusiva gestione. I dati fondamentali sono costituiti, sul punto, dalla circostanza che gli imputati erano i responsabili tecnici di settore della Portovesme s.r.l. e che essi avevano una chiara consapevolezza della non corrispondenza dei bassi costi di gestione rispetto all'effettiva natura dei rifiuti prodotti, che avrebbero richiesto costi ben più alti; erano inoltre pienamente consapevoli dell'illiceità delle modalità di smaltimento. Né la mancata conoscenza diretta da parte degli imputati del legale rappresentante della Tecnoscavi s.r.l. può essere ritenuta rilevante in contrario, anche perché, dalle conversazioni telefoniche intercettate risulta che entrambi erano a conoscenza dell'attività di smaltimento abusivo svolta da tale società (pagine 19 e 20 della sentenza impugnata).
3.4. - Quanto al reato di cui al capo B - oggetto del quarto e del quinto motivo di doglianza - lo stesso deve essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, in mancanza di elementi in base ai quali poter pronunciare una sentenza di assoluzione
ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. Infatti, l'eventuale accoglimento delle doglianze aventi ad oggetto la motivazione della sentenza sul punto potrebbe al più condurre all'annullamento con rinvio della sentenza stessa.
Anche a prescindere dalla correttezza dei calcoli effettuati dai ricorrenti e volendo, dunque, considerare esistenti sospensioni della prescrizione per complessivi 172 giorni, il reato, la cui consumazione si è esaurita il 31 dicembre 2007, è abbondantemente prescritto alla data della pronuncia della presente sentenza. Si tratta, infatti, di fattispecie contravvenzionale, per la quale il termine prescrizionale complessivo è di cinque anni, ai sensi degli artt. 157, primo comma e 161, secondo comma, cod. pen.
In conclusione, deve essere data prevalenza alla causa di estinzione, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto al reato di cui al capo B dell'imputazione, per essere lo stesso estinto per prescrizione 3.5. - Il sesto motivo di doglianza - con cui si deduce l'avvenuta abrogazione del reato di cui all'art. 258, comma 4, del d.lgs. n. 152 2006, contestato al capo E dell'imputazione - è manifestamente infondato.
Nella sua formulazione originaria, la disposizione stabiliva che, per il trasporto di rifiuti non pericolosi senza formulario ovvero con indicazione nel formulario di dati incompleti o inesatti, trovava applicazione la sanzione amministrativa, mentre per il trasporto nelle medesime condizioni di rifiuti pericolosi la sanzione applicabile era quella dell'articolo 483 cod. pen. Tale ultima sanzione si applicava anche a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi dei rifiuti, forniva false indicazioni sulla natura, la composizione e le caratteristiche chimico-fisiche di rifiuti stessi oltre a chi faceva uso di un certificato falso durante il trasporto; e ciò a prescindere dal fatto se i rifiuti fossero pericolosi o non pericolosi. A seguito della sostituzione della disposizione ad opera del d.lgs. n. 205 del 2010, art. 35, comma 1, lettera c), la disciplina è rimasta - per la parte che qui interessa - immutata. Si continua a prevedere infatti che «si applica la pena di cui all'art. 483 cod. pen. a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto». Come già evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte (sez. 3, 17 dicembre 2013, n. 3692), il certificato di analisi dei rifiuti si distingue dal semplice formulario di accompagnamento in ragione del fatto che esso risponde all'esigenza di certezza pubblica e proviene da un soggetto qualificato e abilitato all'esercizio di una specifica professione che comporta l'esternazione di dati precedentemente acquisiti attraverso specifiche metodologie concernenti la natura, la composizione e le caratteristiche dei rifiuti, tanto che la specifica violazione prevista dalla disposizione in esame si pone in rapporto di specialità rispetto al reato di cui all'art. 481 cod. pen. È questa la ragione per cui il legislatore ha previsto e continua a prevedere la sanzione penale per la predisposizione e l'uso del certificato falso, prescindendo dalla natura pericolosa o non pericolosa dei rifiuti.
Correttamente, dunque, la Corte d'appello ha ritenuto applicabile nel caso di specie l'art. 258, comma 4, ultima parte, del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione al quale - come visto - non è intervenuta alcuna abrogazione.
3.6. - Venendo alla responsabilità penale per tale fattispecie - oggetto del settimo motivo di ricorso - deve rilevarsi che la Corte d'appello ha correttamente desunto la falsificazione dei rapporti di prova relativi alla qualità dei rifiuti dalle conversazioni telefoniche del settembre 2007, dalle quali risulta un'istigazione di Zucca in tal senso.
In particolare, dopo aver evidenziato che i materiali prelevati dal camion proveniente dalla Portovesme s.r.l. il 13 gennaio 2007 non erano, come falsamente dichiarato, rifiuti misti di costruzione e di demolizione, ma rifiuti pericolosi, i giudici di secondo grado hanno valorizzato l'univoco tenore delle conversazioni del settembre 2007, nelle quali l'imputato si riferiva sia alla necessità di predisporre false certificazioni per i rifiuti gestiti in quel periodo, sia di "sistemare" il pregresso in modo analogo. Tale essendo il quadro probatorio, la stessa Corte distrettuale ha correttamente ritenuto irrilevanti le generiche deduzioni difensive secondo cui non vi sarebbe stata di fatto alcuna corrispondenza fra quanto attestato dai certificati e quanto richiesto dall'imputato Zucca.
Ne deriva l'infondatezza della doglianza.
2.8. - L'ottavo motivo - dedicato, in generale, alle carenze di motivazione presenti nella sentenza - è invece inammissibile. I ricorrenti non specificano, infatti, quali sarebbero in concreto tali carenze, rendendo così impossibile per questa Corte ogni verifica sul punto.
2.9. - Il nono motivo di censura - con cui si deducono la mancanza di motivazione in ordine alla commisurazione della pena e al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche - è parzialmente fondato.
La motivazione della sentenza impugnata è, infatti, sufficiente solo quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, laddove la Corte territoriale fa riferimento a dati correttamente ritenuti decisivi quali: la gravità dei reati, la durata delle condotte per un tempo significativo, la mancanza della prospettazione di elementi positivi di giudizio. In relazione alla commisurazione della pena, la motivazione è, invece, carente, perché manca ogni riferimento all'applicazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con riguardo al caso concreto. La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari, perché provveda a nuovo giudizio, fornendo adeguata motivazione limitatamente alla determinazione della pena per il reato di cui al capo E dell'imputazione. Le rilevate carenze motivazionali devono essere, infatti, ritenute assorbite quanto al reato di cui al capo A, per il quale è stato pronunciato annullamento con rinvio in riferimento alla responsabilità penale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata: senza rinvio quanto al reato di cui al capo B, per essere lo stesso estinto per prescrizione; con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari quanto al reato di cui al capo A e quanto alla determinazione della pena per il reato di cui al capo E. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 1'8 ottobre 2014.

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