Interpello ambientale 08.04.2024 - Impianti di depurazione acque reflue urbane: Trattamento rifiuti
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Interpello ambientale 08.04.2024 - Impianti di depurazione acque reflue urbane: Trattamento rifiuti
ID 21659 | 09.04.2024 / In allegato Testo interpello Ambientale
L’art. 27 del decreto-legge n. 77 del 31 maggio 2021 ha introdotto, all’art. 3 septies del D.lgs. 152/2006, l’istituto dell’interpello in materia ambientale, che consente di inoltrare al Ministero della transizione ecologica istanze di ordine generale sull’applicazione della normativa statale in materia ambientale. Una possibilità riconosciuta a Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Città metropolitane, Comuni, associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale o presenti in almeno cinque regioni o province autonome.
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Art. 3-septies (Interpello in materia ambientale)
1. Le regioni,le Province autonome di Trento e Bolzano, le province, le citta' metropolitane, i comuni, le associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni o province autonome di Trento e Bolzano, possono inviare al Ministero della transizione ecologica istanze di ordine generale sull'applicazione della normativa statale in materia ambientale. La risposta alle istanze deve essere data entro novanta giorni dalla data della loro presentazione. Le indicazioni fornite nelle risposte alle istanze di cui al presente comma costituiscono criteri interpretativi per l'esercizio delle attivita' di competenza delle pubbliche amministrazioni in materia ambientale, salva rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con efficacia limitata ai comportamenti futuri dell'istante. Resta salvo l'obbligo di ottenere gli atti di consenso, comunque denominati, prescritti dalla vigente normativa. Nel caso in cui l'istanza sia formulata da piu' soggetti e riguardi la stessa questione o questioni analoghe tra loro, il Ministero della transizione ecologica puo' fornire un'unica risposta.
2. Il Ministero della transizione ecologica, in conformita' all'articolo 3-sexies del presente decreto e al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, pubblica senza indugio le risposte fornite alle istanze di cui al presente articolo nell'ambito della sezione "Informazioni ambientali" del proprio sito internet istituzionale di cui all'articolo 40 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, previo oscuramento dei dati comunque coperti da riservatezza, nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
3. La presentazione delle istanze di cui al comma 1 non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme ambientali, ne' sulla decorrenza dei termini di decadenza e non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
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Interpello ambientale 08.04.2024
Quesito
Con istanza di interpello formulata ai sensi dell’articolo 3 septies, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, codesta Amministrazione ha richiesto un’interpretazione della vigente normativa in materia ambientale sui seguenti aspetti:
a) se gli impianti di depurazione privi di autorizzazione ai sensi della Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (d’ora in avanti “TUA”), ma esclusivamente autorizzati ai sensi dell’art. 124 TUA, nonché, eventualmente, ai sensi dell’art. 269 TUA, possano ricevere i fanghi derivanti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente ai fini del completamento del complessivo processo di trattamento, previa comunicazione all’autorità competente e nelle ipotesi di cui all’art. 110, comma 3, lett. c) TUA;
b) di fornire chiarimenti in ordine alla documentazione necessaria al trasporto di detti fanghi nel caso in cui ricorra la fattispecie di cui all’art. 110, comma 3 lett. c) TUA.
Riferimenti normativi
Con riferimento al quesito proposto, rilevano i seguenti riferimenti normativi:
- L’art. 110 TUA (trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane). In particolare:
- Il comma 1 vieta «l’utilizzo degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane per lo smaltimento di rifiuti»;
- I commi 2 e 3 individuano una serie di deroghe a tale divieto. Per un verso, «l’autorità competente, d’intesa con l’ente di governo dell’ambito, in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento, autorizza il gestore del servizio idrico integrato a smaltire nell’impianto di trattamento di acque reflue urbane rifiuti liquidi, limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di depurazione» (comma 2).
In ogni caso, il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all’autorità competente di cui all’art. 124 TUA, è comunque autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, nel rispetto dei pertinenti valori limite previsti dalla legge, taluni rifiuti e materiali, a condizione che provengano dal proprio ATO o da altro ATO sprovvisto di impianti adeguati. Tali rifiuti e materiali sono: «a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura; b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3; c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente» (comma 3);
- L’art. 183 TUA, che contiene le definizioni applicabili al settore dei rifiuti.
- L’art. 124 TUA, in base al quale «[t]utti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati» (comma 1) e che individua il relativo regime autorizzativo, esteso altresì all’esercizio degli impianti di depurazione di acque reflue urbane (comma 3);
- L’art. 23 direttiva 2008/98/CE del 19 dicembre 2008 (d’ora in avanti, “direttiva quadro sui rifiuti”), in base al quale «[g]li Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente»;
- L’art. 208 TUA, che individua il regime autorizzativo degli impianti di trattamento (smaltimento e recupero) dei rifiuti;
- L’art. 74, comma 1, lett. bb), TUA definisce i «fanghi» come «i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane»;
- L’art. 184, comma 3, lett. g), TUA, ai sensi del quale «[s]ono rifiuti speciali […] i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti […] dalle reti fognarie».
L’allegato D alla Parte Quarta del testo unico ambientale, che riporta il codice EER 190805 riferito ai «fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane», e il codice EER 200306 (rientrante nel capitolo 20 dedicato ai «Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata») comprendente i «rifiuti della pulizia delle fognature»;
- L’art. 127 TUA, che recita «i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione» (comma 1) e ne è vietato «lo smaltimento […] nelle acque superficiali dolci e salmastre» (comma 2).
Considerazioni del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica
Atteso il quadro normativo esposto, sentita la Direzione Generale Economia Circolare, competente in materia di rifiuti, si formulano le seguenti considerazioni.
Ai sensi degli articoli 23 della direttiva 2008/98/CE e 208 ss. TUA, le attività di trattamento dei rifiuti (smaltimento e recupero), sono esercitate previo rilascio di un apposito titolo autorizzativo da parte dell’amministrazione regionale.
Per altro verso, l’art. 110, comma 1, TUA, introduce un generalizzato e radicale divieto di smaltimento di rifiuti presso impianti di trattamento di acque reflue.
A sua volta, il suddetto divieto è sottoposto a due ordini di deroghe, entrambe istituite a esclusivo beneficio di impianti di depurazione rientranti nella gestione del servizio idrico integrato.
In base al comma 2 dell’art. 110 TUA, l’autorità competente, d’intesa con l’ente di governo d’ambito, può autorizzare il gestore del servizio idrico integrato allo smaltimento di rifiuti nel proprio impianto di trattamento di acque reflue urbane «in relazione a particolari esigenze», non specificate altrimenti. La disposizione, nondimeno, individua tre requisiti necessari ai fini del rilascio di tale autorizzazione: i) che lo smaltimento avvenga «nei limiti della capacità residua di trattamento» dell’impianto, ii) che i rifiuti siano liquidi e iii) che presentino caratteristiche «compatibili con il processo di depurazione».
Il secondo ordine di deroghe è disciplinato dal successivo comma 3.
Tale disposizione stabilisce che il gestore del servizio idrico integrato è «comunque autorizzato ad accettare» nei propri impianti di depurazione una serie di materiali, anche qualificabili come rifiuti, «previa comunicazione all’autorità competente ai sensi dell’articolo 124», ossia l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione allo scarico.
La fattispecie presenta caratteri particolarmente circoscritti.
Posto, infatti, che la disposizione precisa sia la destinazione dei materiali («impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate»), sia la loro provenienza («provenienti dal proprio Ambito territoriale ottimale oppure da altro Ambito territoriale ottimale sprovvisto di impianti adeguati»), sia le modalità di esercizio dell’attività (nel rispetto dei «valori limite previsti dall’articolo 101, commi 1 e 2»), ai sensi dell’art. 110, comma 3, cit. possono essere accettati presso impianti di depurazione solo tre tipologie di «rifiuti e materiali»: «a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura; b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3; c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente».
Ai sensi dell’art. 74, comma 1, lett. bb), TUA, i fanghi, per un verso, in quanto «residui» della depurazione non possono, neanche astrattamente, assumere le caratteristiche dei rifiuti liquidi cui si riferisce la lett. a), e, per altro verso, in quanto «provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane», non sono suscettibili di essere identificati con i rifiuti di cui alla lett. b) provenienti dalla manutenzione dei sistemi individuali o degli altri sistemi pubblici o privati per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche.
Di conseguenza, perché essi possano essere trattati in impianti di depurazione, è necessario che siano ricompresi nella fattispecie della lett. c) dell’art. 110, comma 3, cit. e, dunque, che non siano qualificabili come rifiuti (così, anche TAR Lazio, Latina, sez. I, 13 novembre 2023, n. 778).
Come ampiamente affermato dalla giurisprudenza, anche eurounitaria, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, occorre fare riferimento al dato funzionale, essendo rifiuto tutto ciò di cui il detentore si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo ( si veda in tal senso, TAR Campania, Salerno, sez. II, 29 novembre 2021 n. 2590; Id., 28 settembre 2021 n. 2012; Id., 2 marzo 2021 n. 537; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 23 febbraio 2023 n. 477; TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 15 dicembre 2020 n. 239; Id., , 9 dicembre 2020 n. 237; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 4 novembre 2019 n. 2302).
D’altra parte, «l’“intenzione” di disfarsi di un oggetto non può che desumersi in via induttiva, e per presunzioni, dagli elementi di fatto “esteriori”» (TAR Valle d’Aosta, sez. I, 16 settembre 2020 n. 41; TAR Umbria, sez. I, 21 novembre 2022 n. 831).
Tali principi sono validi anche con riferimento alla qualificazione dei fanghi di depurazione come rifiuti.
Pertanto, ancorché l’art. 184, comma 3, lett. g), TUA, ricomprenda tra i rifiuti speciali «i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue», la natura di rifiuto di tali sostanze dipende dall’accertamento dell’animus derelinquendi del detentore ovvero della sussistenza in capo a questi di un obbligo di disfarsene.
D’altra parte, ciò si desume dallo stesso art. 127 TUA là dove sottopone i fanghi alla disciplina dei rifiuti, «ove applicabile […]».
Ove non sussista un obbligo di disfarsi ex lege, l’accertamento dell’intenzione di disfarsi non può che essere esperito in concreto (Cass. pen., sez. III, 14 febbraio 2011, n. 5356) e, pertanto, si tratta di una valutazione che esorbita dalle competenze in questa sede esercitate dallo scrivente Ministero.
Tuttavia, è possibile individuare in via meramente esemplificativa alcuni criteri suscettibili di costituire indizi ai fini della qualificazione o meno dei fanghi come rifiuti, anche alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali.
A tal proposito, si osserva che ai fini della qualificazione di rifiuto dei fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue di cui all’art. 74, comma 1, lett. bb) TUA, l’ordinario requisito dell’animus derelinquendi deve essere interpretato alla luce dei criteri specifici “di settore”.
In particolare, ai sensi dell’art. 127, comma 1, TUA, i fanghi «sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione».
Per quanto più in questa sede interessa, la formulazione della disposizione conferma la necessità di accertare la sussistenza degli ordinari requisiti di qualificazione di un oggetto o una sostanza come rifiuti ex art. 183, comma 1, lett. a) TUA. Nondimeno, tali requisiti non possono – neanche astrattamente – sussistere prima del completamento del trattamento di depurazione che, in altri termini, costituisce una circostanza necessaria (ma non sufficiente) ai fini della qualificazione dei fanghi di depurazione come rifiuto. Ciò si evince chiaramente, sul piano letterale, dall’uso di una locuzione avverbiale connettiva con valore limitativo («comunque solo») peraltro appositamente introdotta dall’art. 9 d.l. 14 aprile 2023, n. 39, che ha novellato l’art. 127 cit. (in questo senso, si è espresso già questo Ministero, riscontrando ad altra istanza di interpello con nota prot. n. 43130 del 22.03.2023).
Tale conclusione non si pone, peraltro, in contrasto con la giurisprudenza che ha ritenuto applicabile ai fanghi la «disciplina sui rifiuti in tutti i casi in cui il trattamento [depurativo] non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio» (Cass. pen., sez. III, 5 ottobre 2011, n. 36096; similmente, Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 2023, n. 1685), dal momento che le fattispecie oggetto di tali giudizi sono governate ratione temporis dalla previgente versione dell’art. 127 TUA.
Ad ogni modo, non si può fare a meno di rilevare una certa contraddittorietà del citato formante giurisprudenziale, suscettibile di minarne l’attitudine a fornire soluzioni capaci di andare oltre il singolo caso concreto. Infatti, poco prima di enunciare il principio sopra riportato, la sentenza ha altresì riconosciuto che il «momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi […] viene individuato nella fine del complessivo trattamento» (Cass. Pen., sez. III, 5 ottobre 2011, n. 36096).
Dal canto suo, la fattispecie prevista dall’art. 110, comma 3, lett. c) TUA, appare del tutto complementare all’art. 127 TUA.
Infatti, i materiali conferibili in impianti di depurazione, sprovvisti di titoli autorizzativi per il trattamento di rifiuti, sono di due tipi. Da una parte, quelli «derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria», quindi non sottoposti a trattamento depurativo; dall’altra, quelli provenienti da «altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento […] non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente».
Da ciò si desume che, per poter essere conferiti in impianti di depurazione ex art. 110, comma 3, lett. c) TUA, detti fanghi non devono aver subito un trattamento depurativo completo. Il conferimento dei fanghi ai sensi della suddetta lett. c) è, infatti, esclusivamente funzionale a consentire l’esecuzione del trattamento depurativo o il suo proseguimento, ove non completato per ragioni tecniche o economiche presso l’impianto di provenienza.
Là dove questo fosse invece stato completato, l’attività esercitata presso l’impianto ricevente dovrebbe qualificarsi come smaltimento.
In applicazione di tali disposizioni, la giurisprudenza più recente ha enucleato alcuni elementi atti a far presumere l’assenza di un animus derelinquendi. Si tratta, evidentemente, di indici presuntivi, privi di valore assoluto, che devono essere valutati in relazione agli elementi del caso concreto.
In una fattispecie analoga a quella qui in esame, il giudice amministrativo ha escluso la qualificazione di rifiuto dei fanghi di depurazione a seguito dell’accertamento di due elementi concorrenti, l’uno soggettivo, l’altro oggettivo.
Dal primo punto di vista, è stata ritenuta indicativa dell’assenza di un’intenzione di disfarsi del materiale, da parte del detentore, la circostanza per cui il soggetto titolare dell’impianto di depurazione destinatario dei materiali fosse lo stesso titolare dell’impianto di depurazione conferente.
Sotto il profilo oggettivo, invece, l’insussistenza dell’animus derelinquendi, perché non ancora completato il trattamento di depurazione, è stata desunta dal fatto che si trattasse «di fanghi di depurazione ancora liquidi, prodotti da processi depurativi biologici, prelevati […] direttamente dalle vasche della linea liquami o delle prime sezioni della linea fanghi degli impianti di depurazioni minori» (TAR Latina, n. 778/2023).
A tal proposito, è opportuno ribadire che, singolarmente considerati, i due elementi presentano natura meramente indiziaria e che la loro attitudine a dimostrare l’assenza di animus derelinquendi si evince solo all’esito di una complessiva valutazione della fattispecie concreta che spetta all’autorità competente ai sensi dell’art. 110, comma 3, TUA.
Quanto esposto consente di rispondere anche al secondo quesito proposto da codesta Amministrazione, relativo alla documentazione necessaria per il trasporto dei fanghi da conferire ai sensi dell’art. 110, comma 3, lett. c) TUA.
A tal proposito, si potrebbe assumere che l’assenza della qualificazione di rifiuto dei fanghi sia suscettibile di escludere la loro sottoposizione all’intero plesso normativo in materia di rifiuti, ivi comprese le disposizioni concernenti gli obblighi di tenuta dei registri e degli altri documenti necessari ai fini del trasporto.
Tale conclusione, tuttavia, non tiene conto del particolare statuto cui sono sottoposti i fanghi, in relazione alla loro qualifica giuridica di rifiuto, di cui si è dato ampiamente conto supra, giustificato dai caratteri peculiari di tale sostanza.
Ora è necessario osservare che, alla luce delle disposizioni che impongono la preventiva autorizzazione di qualunque scarico (art. 124 TUA), nonché il radicale divieto di scarichi sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo (art. 103 TUA) e di scarichi diretti nelle acque sotterranee o nel sottosuolo (art. 104 TUA), l’art. 127, comma 1, TUA, là dove stabilisce che la sottoposizione dei fanghi alla disciplina in materia di rifiuti è configurabile «comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione» non riguarda solo il momento a partire dal quale i fanghi sono astrattamente qualificabili come rifiuti.
Piuttosto, da una lettura sistematica delle suddette disposizioni si evince l’esistenza di un divieto di trattare i fanghi presso impianti di depurazione diversi dall’impianto in cui le acque reflue sono “originariamente” convogliate, con un correlativo divieto di movimentazione dei fanghi prima della loro sottoposizione a un integrale processo depurativo effettuato presso tale impianto.
Così ragionando, l’art. 110, comma 3, lett. c) TUA si configura come una deroga a tale divieto generale. In quanto tale, esso presenta presupposti e limiti specifici non suscettibili di interpretazione estensiva.
In particolare, la deroga è funzionale a garantire la possibilità di completare in altro impianto il trattamento depurativo ove ciò non sia tecnicamente o economicamente possibile nell’impianto di provenienza.
Ne consegue che l’assenza della loro qualificazione come rifiuti è esclusivamente funzionale alla non applicabilità delle disposizioni in materia di autorizzazione alla gestione dei rifiuti negli impianti di depurazione, non anche a quelle informate alle esigenze di tracciabilità.
Queste ultime, pertanto, in applicazione dei principi generali in materia di tutela dell’ambiente (Cons. Stato n. 1685/2023) devono ritenersi operative ogni qual volta i fanghi siano movimentati, siano o meno qualificati come rifiuto, sussistendo un divieto assoluto di disfarsi dei fanghi prima che sia concluso il complessivo processo di trattamento.
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Tutto ciò esposto, è possibile rassegnare le seguenti conclusioni:
a) gli impianti di depurazione privi di autorizzazione ai sensi della Parte Quarta del testo unico ambientale, ma esclusivamente autorizzati ai sensi dell’art. 124 TUA, nonché, eventualmente, ai sensi dell’art. 269 TUA, possono ricevere fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue urbane ai sensi dell’art. 110, comma 3, lett. c) TUA, qualora essi non siano qualificati come rifiuti. Limitatamente a tale fattispecie, condizione necessaria (ma non sufficiente) al fine dell’esclusione della sussistenza di tale qualifica è che i fanghi non abbiano ricevuto un trattamento depurativo completo;
b) ai materiali conferiti ai sensi dell’art. 110, comma 3, lett. c) TUA si applicano gli specifici obblighi di tenuta dei registri e dell’ulteriore documentazione di trasporto.
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Le considerazioni sopra riportate, rese nel rispetto delle condizioni e dei termini di cui all’articolo 3 septies TUA, sono da ritenersi pertinenti e valide in relazione al quesito formulato, con esclusione di qualsiasi riferimento a specifiche procedure o procedimenti, anche a carattere giurisdizionale, eventualmente in corso o in fase di evoluzione, per i quali occorrerà considerare tutti gli elementi pertinenti al caso di specie, allo stato, non a conoscenza e non rientranti nella sfera di competenza di questa Amministrazione.
Fonte: MASE
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