Tribunale di Gorizia del 26 novembre 2021: Ordinanza Greenwashing
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Tribunale di Gorizia del 26 novembre 2021: prima ordinanza in Italia in materia di Greenwashing
ID 15870 | 25.02.2022 / Ordinanza in allegato
Il 26 novembre 2021 è stata emessa, da parte del Tribunale di Gorizia, la prima ordinanza cautelare in materia di greenwashing. Tale atto risulta essere uno tra i primi anche in Europa.
Per greenwashing si intende una comunicazione non veritiera, ingannevole e non scientificamente verificabile orientata a presentare in modo falso o esagerato l’immagine di un’impresa impegnata a favore dell’ambiente. Lo scopo di tale comunicazione non veritiera è quella di attirare l’attenzione e il gradimento della clientela/consumatore, danneggiando in questo modo la competitività delle aziende più virtuose.
Il tribunale di Gorizia ha affermato in sentenza che “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore”.
Per ovviare a ciò, il Tribunale riconosce che le dichiarazioni ambientali “verdi” devono essere caratterizzate da chiarezza, veridicità e accuratezza. Infatti, secondo studi dell’Unione Europea, la metà dei consumatori controlla le informazioni presenti sulla confezione per sapere se il prodotto sia ecologico o meno e gran parte di essi ha difficoltà a capire quali prodotti sono veramente eco-friendly.
Le etichette ambientali non devono quindi essere fuorvianti, per assicurare ai consumatori una corretta comunicazione ambientale.
Il 25 novembre 2021, il Tribunale di Gorizia ha accolto con ordinanza cautelare il ricorso d’urgenza presentato da Alcantara S.p.A. nei confronti del competitor Miko S.r.l. in materia di greenwashing, emettendo, di fatto, la prima pronuncia della magistratura ordinaria sul tema, dopo i numerosi interventi del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Alcantara S.p.A. è una azienda umbra nota per la produzione e commercializzazione su scala globale dell’omonimo tessuto, materiale che viene realizzato grazie ad una tecnologia proprietaria della società. Tale materiale è impiegato in diversi settori produttivi in ragione della sua resistenza, adattabilità e semplicità di manutenzione. Dal 2009, inoltre, l’azienda si impegna a realizzare una produzione Carbon free, e permette agli utenti del proprio sito internet di accedere ad una serie di certificazioni ottenute dalla società.
Miko S.r.l. è, parimenti, una realtà italiana, che nasce in Friuli-Venezia Giulia nel 1997 e guadagna il favore di clienti in tutto il mondo grazie alla produzione e commercializzazione di “Dinamica”, una microfibra realizzata in parte con poliestere riciclato che abbina resistenza a leggerezza, consentendo un uso assai versatile di tale tessuto. Miko S.r.l., inoltre, attraverso il proprio sito internet e altri mezzi di comunicazione online e offline, informa i suoi clienti di avere particolarmente a cuore l’ambiente, mediante la pubblicazione di diversi green claim.
Proprio su quest’ultimo argomento si snoda la questione in esame: con ricorso ex artt. 669 bis e 700 c.p.c. depositato in data 15 luglio 2021 avanti il Tribunale di Gorizia, Alcantara ha infatti chiesto al Giudice di “disporre a carico di Miko (…) l’inibitoria con effetto immediato dalla diffusione in via diretta o indiretta dei messaggi pubblicitari ingannevoli (…) sia nella versione in italiano che in inglese, e veicolati su ogni canale di comunicazione, online e offline, in quanto integranti ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.”. I messaggi pubblicitari che l’attrice definisce ingannevoli sono proprio quelle affermazioni a fini commerciali di carattere green e ambientalistico che la convenuta attribuisce, falsamente, al proprio prodotto, al suo impiego e al suo metodo di produzione. Tali asserzioni riguardano, secondo quanto sostenuto da parte attrice e riportato dal Giudice nell’ordinanza, la composizione e la derivazione del tessuto commercializzato da Miko, l’utilizzo di coloranti naturali, la riciclabilità e l’asserita riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80%. Esse rientrano nel cosiddetto fenomeno del greenwashing, che rappresenta una particolare tipologia di pratica commerciale scorretta e di concorrenza sleale.
Miko ha effettivamente rimosso parte dei claim contestati da Alcantara; tuttavia il Tribunale di Gorizia ha rilevato come ciò non rappresentasse altro che un palliativo, essendo possibile per la convenuta “riutilizzarli semplicemente accedendo al sito ovvero riportandoli sui canali social, potendo ben determinare una nuova ripresa a cascata degli stessi” (pag. 7 dell’ordinanza).
Pertanto l’esito della vertenza è stato deciso dal Giudice Dott.ssa Francesca Clocchiatti con la citata ordinanza che “inibisce, con effetto immediato, in via diretta e indiretta, la diffusione dei messaggi pubblicitari ingannevoli”, sia quelli oggetto di denuncia dell’attrice, sia “ogni informazione non verificabile sul contenuto di materiale riciclato nel prodotto Dinamica, sia nella versione in italiano che in inglese, in qualsiasi forma ed in qualsiasi contesto e sito, a mezzo internet su qualunque sito e social media, reti televisive, quotidiani e stampa, riviste, messaggi promozionali televisivi, volantini e in ogni caso veicolati con qualsiasi canale di comunicazione, online e offline, ordinandosi l’immediata rimozione da ogni possibile contesto dei predetti messaggi pubblicitari” (pag. 8, punto 1, dell’ordinanza).
Il Giudice ha inoltre comminato una pena accessoria di grande rilevanza: la pubblicazione dell’ordinanza di condanna sulla home page del sito internet della convenuta, con evidenti ricadute in termini reputazionali.
Il termine “Greenwashing” risale alla seconda metà del secolo scorso e deriva dalla deformazione di “Whitewash”, letteralmente “imbiancare”, che in una accezione più ampia comprende in sé il significato di “nascondere”. È stato utilizzato inizialmente in un essay dell’ambientalista e ricercatore americano Jay Westerveld che attirava l’attenzione dell’opinione pubblica su un fenomeno diffuso fra gli albergatori negli anni ’80: essi invitavano i propri clienti a non sostituire gli asciugamani ove ciò non fosse stato davvero necessario, sostenendo che i continui lavaggi avrebbero comportato un grosso impatto ambientale. In realtà, ciò che animava gli albergatori non era tanto la cura per l’ambiente, quanto piuttosto la prospettiva di ottenere un certo risparmio in termini economici.
Questo genere di asserzioni dall’afflato ambientalistico, tese a dare l’impressione che un prodotto o un servizio abbiano un impatto positivo (o del tutto privo di ripercussioni) sull’ambiente, o siano quantomeno dannosi in misura minore per l’ambiente rispetto a prodotti o servizi concorrenti, vengono definiti anche “green claim” nel mondo del marketing. Tali pratiche rappresentano “una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l’ambiente”. L’obiettivo è, dunque, catturare l’interesse e il favore dei consumatori; ciò, sfruttando l’attenzione che questi ultimi hanno sviluppato, sempre più, verso le tematiche ambientali.
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Sentenza in allegato
Collegati
ISO 14020: etichettature ambientali
Direttiva 2005/29/CE
Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n. 146
Orientamenti attuazione direttiva 2005/29/CE pratiche commerciali sleali
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Ordinanza Tribunale di Gorizia del 26 novembre 2021.pdf |
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Tags: Ambiente