Tale decisione si fonda, infatti, sul dato letterale fornito dall’art. 6 della direttiva, ai sensi del quale in assenza di criteri a livello comunitario, e solamente in tal caso, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile.

È, dunque, la stessa direttiva a non riconoscere il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che, citando la sentenza in commento, la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.

Il Legislatore, ha correttamente investito, con l’art. 184-ter del D.L.vo 152/2006, il regolamento ministeriale del potere di intervenire ai fini della “declassificazione” caso per caso, individuando “specifiche tipologie di rifiuto” e prevedendosi “se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti”, e considerando “i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto”.

Inoltre è netta la posizione su circolari del Ministero dell’Ambiente: il Consiglio di Stato afferma che “non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da circolari emanate dal Ministero dell’Ambiente, cui compete, più propriamente, l’esercizio del potere regolamentare in materia”.

E' quindi irrilevante la nota n. 10045 del Ministero dell'Ambiente, del 1° luglio 2016, avente ad oggetto proprio l’applicazione del citato art. 184-ter.